GIOVIO, Benedetto
Nacque nel 1471 a Como, primogenito di Luigi, il cui cognome si trova attestato anche nella forma Zobius, e Lisabetta Benzi; suo fratello minore era Paolo, storico e vescovo di Nocera. Il G. compì studi giuridici che lo portarono a intraprendere la professione di notaio, che già era stata del nonno Giovanni e del padre. Ebbe anche una discreta cultura umanistica: studiò il greco a Milano con Demetrio Calcondila ed ebbe conoscenze di ebraico e di arabo.
Secondo la testimonianza di Paolo Giovio, alla morte del padre il G. assunse il ruolo di guida e di maestro dei fratelli minori; della considerazione e del rispetto di cui era oggetto resta testimonianza nelle lettere dello stesso Paolo, che a lui si rivolgeva usando sempre formule quali "honorande", "honorandissime" o "colendissime frater".
Fin dal 1494 il G. entrò a far parte del Collegio dei notai di Como; dal 1503 risulta anche cancelliere della curia vescovile della sua città. Dal 1512 fece parte, come da tradizione familiare, del Collegio decurionale di Como, e ricoprì diverse cariche pubbliche: fu tra i savi di provvisione, console di Giustizia e, dal 1533 fino alla morte, cancelliere del Comune.
Dalla moglie Maria Raimondi ebbe sei figli, quattro maschi (Francesco, Alessandro, Cecilio, Giulio) e due femmine. Nella sua vita, trascorsa pressoché interamente a Como tra la professione notarile, gli studi e gli affari di famiglia, ebbe un ruolo importante il fratello minore Paolo, che, attraverso la carriera in Curia, si adoperò, secondo una calcolata ed esplicita strategia familiare, ad aiutare il G. nella sistemazione dei suoi figli. Il G., da parte sua, attendeva agli interessi familiari a Como, mantenendo e ampliando, fra l'altro, la casa e il museo che Paolo aveva progettato. Scriveva Paolo al fratello: "tutto quello che con la servitù e sudori acquistarò sarà a beneficio delli vostri figliuoli […] e io non vi posso promettere altro se non che correranno la fortuna quale corro io" (P. Giovio, Lettere, I, p. 86) e "fate che li putti attendino a studiare, e questo sarali più utile che altro. Io non mancarò mai a loro, né in particolare di aiutarli in mantenimento, né in lasciargli quello poco che ho" (ibid., p. 97). Un altro passo importante delle lettere di Paolo Giovio chiarisce i rapporti con il fratello: "Quanto al scriverme le vostre meschinitate, non lo fate più, perché da me avete sempre quello prometto, e più e manco secondo le mie occorrenzie […] che da me aspettare dobbiate le cose grandi, se Dio le darà, e non le picciole. Che le cose grandi e non le picciole sono necessarie a chi vuol comparire e vivere a forma d'uomo; nelle quali occasioni e bisogni so che voi medemi non mi mancareste, come sempre avete fatto; dil che io me ne truovo ligato più che dal vincolo carnale" (ibid., p. 87).
In una lettera inviata dal G. al fratello, si trova una descrizione del museo gioviano che termina con queste parole: "Hanc autem Musei tui lucubrationem a me iam dudum literis traditam, per hanc epistolam tibi notam facio, ut intelligas me gloriae tuae studiosum esse" (B. Giovio, Lettere, p. 202).
Nel 1530, con i suoi figli e il fratello Paolo, il G. fu insignito da Carlo V del titolo di conte palatino; fu inoltre dispensato dall'obbligo di dare alloggio alle truppe imperiali. Alla fine del 1533 e all'inizio del 1534 risalgono due lettere di Paolo Giovio, che si trovava allora a Como, rispettivamente a Ippolito de' Medici e a Francesco Maria Molza, nelle quali dà notizia delle condizioni del G. e della fama da lui raggiunta di maggior intellettuale comasco: "gionsi in casa mia alli 9 di questo, e trovai mio fratello di sessanta e doi anni senza canizie, fresco sopra tutte le lettere" (P. Giovio, Lettere, I, p. 136); "vi farò ridere di molte cose di queste nostre bande, e maxime dell'opinione che hanno questi litterati di qua, pieni di vocaboli, punti e secreti, fino all'orlo. Sono dotti, ma bizari […]. Mio fratello sta come un Palemone, e mantiene queste controversie, senza darne sentenze, e questo è lo spasso mio" (ibid., p. 137).
Il G. morì a Como il 3 ag. 1545 e fu sepolto con grandi onori nella cattedrale della città, nella quale si conserva ancora la sua epigrafe funeraria apposta dai figli nel 1556.
Dopo la morte, il fratello Paolo compose per lui un elogio che si trova stampato, insieme con un ritratto del G., nella galleria degli Elogia virorum literis illustrium; due tondi marmorei raffiguranti il G., opera di Cristoforo Solari, sono invece conservati presso il Museo civico di Como.
La principale opera composta dal G. è senz'altro la Historia patria, in due libri. Il primo è dedicato alla ricostruzione delle origini e della storia della città di Como fino all'anno 1532; il secondo, a completamento del precedente, presenta un elenco dei vescovi di Como e dei luoghi sacri della città e del contado, tratta del sito originario della città, dei suoi più antichi edifici e degli uomini più illustri di Como, dal poeta Cecilio Stazio al fratello del G., Paolo. L'Historia fu stampata per la prima volta nel 1629 a Venezia, per le cure di Sigismondo Boldoni, dall'editore Antonio Pinello. L'attuale edizione di riferimento è quella curata da F. Fossati nelle Opere scelte del G. (Como 1887); l'edizione Fossati della Historia è stata ristampata, con l'aggiunta di alcune osservazioni di M. Gianoncelli sulla sua tradizione manoscritta (Como 1982).
Numerose sono le poesie latine composte dal G., la maggior parte delle quali è inedita ed è conservata in diversi manoscritti soprattutto comaschi e milanesi. Durante la vita del G. furono date alle stampe un De Venetis Gallicum trophaeum (s.n.t.) e alcuni Disticha ad Franciscum Iulium Calvum, presenti all'interno dei Sacra et satyrica epigrammata di Ludovico Pittorio (Basilea, apud Io. Frobenius, 1518, pp. 49-59). Tra le Opere scelte del G. sono state stampate anche alcune altre composizioni poetiche in latino, fino a quel momento inedite o altrimenti che avevano conosciuto una circolazione molto limitata o in traduzione fra il XVIII e il XIX secolo: si tratta del De fontibus, composto nel 1529 a seguito di una febbre terzana che aveva provocato al G. una grande arsura, e il De tribus divis monticuli Donato, Lugutione, Aemilio.
Legate alla attività del G. come erudito locale sono la trattazione sull'origine comasca di Plinio il Giovane, anch'essa inedita (Enarratio praefationis Historiae naturalis C. Plinii Secundi) e una raccolta epigrafica messa insieme tra gli ultimi anni del XV e il primo decennio del XVI secolo (Veterum monumentorum quae tum Comi tum eius in agro reperta sunt collectanea). Si tratta della più importante raccolta epigrafica comense, di cui resta testimonianza in diverse stesure e che venne usata da Th. Mommsen per il suo Corpus inscriptionum Latinarum. Al G. si deve anche l'Apparatus urbis Novocomensis in adventu Caroli V, ancora inedito, descrizione dei festeggiamenti avvenuti in Como nel 1541 in occasione della visita di Carlo V. Il G. eseguì inoltre alcune traduzioni dal greco in latino, tra le quali ricordiamo un'orazione di Giovanni Crisostomo, l'XI canto dell'Odissea, l'Ero e Leandro di Museo.
Tra il 1520 e il 1521 il G. partecipò alle travagliate fasi finali della pubblicazione dell'edizione tradotta, commentata e illustrata del De architectura di Vitruvio (Como, Gottardo Da Ponte, 1521). La scelta del G. da parte dell'organizzatore e finanziatore dell'impresa editoriale, Luigi Pirovano, si può spiegare considerando che il G. era considerato la figura più prestigiosa di studioso nella Como del suo tempo, con competenze specifiche nello studio delle antichità. Grazie alla recente scoperta del manoscritto autografo di Cesare Cesariano, contenente gli apparati di commento e di illustrazione relativi all'ultima parte dell'opera (Madrid, Real Academia de la Historia, ms. 9.2790), si sono potuti ulteriormente precisare il ruolo che il G., insieme con Bono Mauro, ebbe nel completamento dell'opera e il rapporto con il Cesariano, che non fu di collaborazione, bensì di controllo per conto del Pirovano. Questa situazione ebbe come conseguenza che il G. e il Mauro vennero a prendere di fatto il posto del Cesariano nella redazione della parte finale del commento, nel momento in cui questi, proprio per la scarsa fiducia che l'editore gli mostrava, decise di abbandonare l'opera poco prima della pubblicazione. Della vicenda resta testimonianza anche in alcune lettere di scusa e di chiarimento del G. al Cesariano, il quale però lo ricorda come "notaruzo" in una annotazione presente nel manoscritto madrileno.
Nei volumi contenenti gli atti rogati dal G. in circa cinquanta anni di attività si conservano anche appunti di carattere storico, notizie sulla famiglia, composizioni poetiche e ricordi personali e cittadini, che non sono però mai stati né pubblicati né studiati. Del G. restano infine molte lettere, edite e inedite, testimonianza di una rete di rapporti con i potenti e gli studiosi del tempo, spesso interpellati dal G. al puro fine encomiastico o in circostanze del tutto occasionali. È il caso di Erasmo da Rotterdam, di cui esiste una lettera al G. sulla questione, posta dallo stesso G., dell'interpretazione di un passo del Vangelo di Giovanni. Oltre ai familiari, in primo luogo il fratello Paolo e i figli, corrispondenti del G. furono, fra gli altri, Andrea Alciato, Pietro Aretino, i fratelli Francesco e Marco Fabio Calvo, Gaudenzio Merula; fra gli uomini politici, l'imperatore Carlo V, papa Paolo III, Cosimo I de' Medici. Le Lettere del G. sono state pubblicate a cura di S. Monti nel Periodico della Società storica comense, VIII (1891), 30-31 (l'edizione comprende 107 lettere più una di Paolo Giovio al G.; per altri manoscritti contenenti lettere del G., cfr. Calabi Limentani, Kristeller, Miller).
La cosiddetta Balci descriptio Helvetiae, una sintetica descrizione della Svizzera pubblicata a cura di A. Bernoulli, Basilea 1884 (Quellen zur schweizer Geschichte, VI), con il titolo De antiquitate, de moribus et terra Svitensium… opusculum perbreve era stata attribuita al G. da E. Motta nel 1881 (cfr. Fossati, pp. XVI s.).
Fonti e Bibl.: P. Giovio, Elogia virorum literis illustrium, Basileae 1577, pp. 125 s.; Inscriptiones Galliae Cisalpinae Latinae… pars posterior. Inscriptiones regionum Italiae undecimae et nonae comprehendens, in Corpus inscriptionum Latinarum, a cura di T. Mommsen, V, 2, Berlino 1877, pp. 563, 1083; P. Giovio, Lettere, a cura di G.G. Ferrero, Roma 1956-58, ad ind.; G.B. Giovio, Gli uomini della comasca diocesi antichi e moderni, Modena 1784, pp. 100-103; F. Fossati, Prefazione, in B. Giovio, Opere scelte, Como 1887, pp. VII-XXVI; A. Soffredi, Codici epigrafici di B. G. superstiti nelle biblioteche milanesi, in Comum. Miscellanea di studi in onore di Federico Frigerio, Como 1964, pp. 379-388; I. Calabi Limentani, La lettera di B. G. ad Erasmo, in Acme. Annali della facoltà di lettere e filosofia dell'Università degli studi di Milano, XXV (1972), 1, pp. 5-37; C.H. Miller, A new manuscript of B. G.'s letter to Erasmus, in Moreana, LIII (1977), pp. 65-76; Id., Erasmus' reply to B. G.'s letter, ibid., LIV (1977), pp. 23-25; A. Belloni, L'"Historia patria" di Tristano Calco fra gli Sforza e i Francesi: fonti e strati redazionali, in Italia medioevale e umanistica, XXIII (1980), pp. 213 s.; M. Gianoncelli, Prefazione, in B. Giovio, Historiae patriae libri duo, Como 1982, pp. V-VII; L. Cogliati Arano, Cristoforo Solari ritrattista di B. G., in Paolo Giovio. Il Rinascimento e la memoria. Atti del Convegno, … 1983, Como 1985, pp. 303-307; Contemporaries of Erasmus, a cura di P.G. Bietenholz, II, Toronto-London 1986, p. 102; S. Seidel Menchi, Erasmo in Italia 1520-1580, Torino 1987, pp. 275, 444 s.; T.C. Price Zimmermann, Paolo Giovio. The historian and the crisis of sixteenth century Italy, Princeton 1995, pp. 4, 33, 40, 63, 120, 133, 182, 188, 205 s.; B. Agosti, Riflessioni su un manoscritto di Cesare Cesariano, in Cesare Cesariano e il classicismo di primo Cinquecento, Milano 1996, pp. 67-69; A. Rovetta, Note introduttive all'edizione moderna del primo libro del Vitruvio di Cesare Cesariano, ibid., pp. 247 s., 279; Iter Italicum. A cumulative index to volumes I-VI, s.v. Jovius, Benedictus.