FORTINI, Benedetto
Figlio di ser Lando di Fortino (notaio nativo di Cicogna, piccolo centro nel Valdarno Superiore) nacque verso la metà del sec. XIV in Firenze, dove il padre si era trasferito per esercitare la sua professione. Restano nell'ombra gli anni della sua formazione, ma certamente egli crebbe in un ambiente colto, considerate l'attività paterna e la circostanza che la madre Niccolosa sembra poter essere individuata come una figlia di Bonifacio Buonaiuti di Coppo Stefani, fratello del famoso cronista Marchionne. Si dedicò agli studi di diritto e, come lui, almeno due dei suoi numerosi fratelli: Paolo e Francesco.
Le prime notizie in nostro possesso relative all'attività del F. risalgono al 1374 e ce lo presentano, già notaio affermato, attendente alle funzioni di coadiutore alle Tratte del cancelliere della Repubblica, importante ufficio cui competeva l'adempimento delle mansioni connesse al procedimento di selezione per le maggiori magistrature cittadine. Nella Cancelleria egli prestò la propria opera di assistente a partire dal 31 maggio e ancora nel corso dell'anno successivo, durante il quale sbrigò anche una parte del lavoro inerente la redazione della corrispondenza ufficiale della Signoria. Era allora cancelliere C. Salutati e l'incarico rappresentò per il F. non soltanto il primo passo di una brillante carriera, ma anche l'avvio di una protratta collaborazione professionale con l'esponente di maggior rilievo della prima generazione umanistica fiorentina.
All'interno del funzionariato in servizio a Firenze il F. dovette presto distinguersi per cultura e capacità di dettatore e il 4 febbr. 1376 fu scelto per affiancare il Salutati nella carica di cancelliere, a pari condizioni e con uguali mansioni dell'umanista, per il termine di un anno a partire dal 22 giugno successivo. Il provvedimento, senza precedenti per la Cancelleria fiorentina, fu dettato dall'esigenza di far fronte alla straordinaria attività diplomatica sostenuta dall'ufficio nella fase più critica del famoso conflitto con il papa, conosciuto come guerra degli Otto santi.
Allora più che mai il cancelliere non era chiamato soltanto a dare veste formale alle istanze governative in politica estera, ma alla sua abilità retorica era affidato il compito di fare delle lettere ufficiali della Signoria un efficace strumento propagandistico e apologetico al servizio della causa cittadina. La valutazione del rilievo e dell'originalità del contributo portato dal F. all'attività della Cancelleria è questione controversa. Non si possiedono sue lettere autografe per l'anno in cui ricoprì la carica di cancelliere insieme con il Salutati, quando probabilmente compilò un proprio registro, oggi andato perduto. Numerose missive di sua mano, alcune anche di una certa importanza, sono invece individuabili nei registri della corrispondenza della Repubblica del 1375 e del primo semestre del 1376, riferibili pertanto al periodo in cui egli operò quale assistente del Salutati. La più recente storiografia sulla Cancelleria fiorentina del tardo Trecento propende, in ogni modo, ad attribuirgli un ruolo assolutamente subalterno rispetto a quello del Salutati.
La collaborazione del F. con la Cancelleria non si esaurì del tutto con lo scadere del suo mandato e la sua scrittura ricompare talvolta anche nei registri delle carte prodotte dall'ufficio negli anni successivi, nel corso dei quali egli ricoprì numerose altre cariche pubbliche. Nel 1381 fu segretario della Signoria (funzione che svolse ancora nel 1402 e nel 1406); tra il 1384 e il 1385 e, quindi, pressoché ininterrottamente dal 1389 al 1406, fu cancelliere dei Dieci di balia; nel 1393 assunse l'incarico di notaio dell'Entrata della Camera del Comune; infine fu ripetutamente nominato console e consigliere dell'arte dei giudici e notai. Già nel settembre del 1374 era stato inviato quale ambasciatore in Siena e svariati furono anche gli incarichi diplomatici che gli vennero successivamente affidati dai dirigenti fiorentini. Nel 1392 si recò due volte a Urbino e, sempre nello stesso anno, svolse una missione presso la Compagnia di S. Giorgio, nel 1396 fu a Lucca, nel 1397 a Bologna. Inviato nel 1402 a Padova presso l'imperatore Roberto di Baviera, questi gli conferì il titolo di conte palatino.
I pochi dati in nostro possesso relativi al suo status socioeconomico, evidentemente elevato, testimoniano come la posizione di rilievo che si era conquistata negli uffici cittadini dovesse essere remunerativa. Nel 1403 egli risultò infatti appartenente al più alto 3% di tutti i contribuenti del quartiere fiorentino di residenza, San Giovanni. Inoltre, la dichiarazione presentata agli ufficiali del Catasto dal figlio Bartolomeo nel 1427, contenente la descrizione di un lungo elenco di beni immobili, fa presupporre che l'eredità lasciatagli dal padre fosse stata assai cospicua.
Il nome del F. resta legato in particolare alla magistratura dei Dieci di balia, la commissione preposta alla gestione degli affari bellici, al servizio della quale egli entrò come segretario nell'ottobre del 1384, al momento stesso della sua prima istituzione. Nel redigere la corrispondenza per conto dei Dieci per circa quindici anni egli ebbe modo, infatti, di esercitare le arti retoriche apprese alla scuola del Salutati: appartengono a questo periodo le sue lettere migliori, ispirate al pathos repubblicano e libertario con il quale l'umanista dava espressione all'ideologia governativa fiorentina. All'attività svolta per l'ufficio è riferibile anche la più famosa missiva attribuita al suo ingegno, datata 25 genn. 1391 e diretta dai Dieci alla vicina città di Siena con l'intento di convincerne i governanti a recedere dall'alleanza stipulata con Gian Galeazzo Visconti. L'autenticità del documento, tuttavia, non è del tutto certa: non se ne trova infatti traccia nei registri dei Dieci, pur esistenti per il periodo, ed è ipotizzabile che in realtà esso sia la rielaborazione di una lettera redatta nella stessa data dal Salutati a nome della Signoria.
Per la regolarità con la quale mantenne l'incarico presso i Dieci di balia nel corso dei difficili anni della minaccia viscontea il F., pur non esercitando alcun potere deliberativo, dovette rappresentare un elemento di riferimento all'interno della magistratura che, come accadeva per gli altri uffici, veniva rinnovata a scadenze ravvicinate. Sotto questo aspetto egli svolse un ruolo analogo a quello di altri funzionari - il cancelliere della Repubblica e il notaio delle Riformagioni - i quali, nel rapido avvicendarsi delle cariche governative, assicuravano continuità all'operato delle istituzioni. Una tale posizione difficilmente poteva essere mantenuta del tutto esente da implicazioni politiche.
Sembra che il F. godesse di particolare fiducia da parte dei dirigenti del regime instauratosi in seguito alla reazione antipopolare del 1382. Quando questi nel 1393, nell'intento di allontanare dai posti di potere gli elementi a loro politicamente sgraditi, procedettero alla distruzione delle "borse" che contenevano i nomi degli eleggibili per le cariche pubbliche e all'effettuazione di un nuovo scrutinio, il F., il cancelliere e il notaio delle Riformagioni furono i soli tre funzionari cittadini messi al corrente delle istruzioni segrete inerenti la delicata operazione. Egli fu inoltre il primo esponente della sua famiglia ad acquisire un certo grado di distinzione politica. Nel 1384, e poi ancora nel 1403, fece parte del Collegio dei dodici buonuomini, nel 1399 fu dei capitani di Parte. Nel maggio 1406, alla scomparsa del Salutati, tornò a occupare l'ufficio di cancelliere della Repubblica, questa volta quale unico titolare. Di questo suo secondo incarico nella Cancelleria rimane un solo registro di lettere, nessuna delle quali di particolare rilievo stilistico.
Del resto, egli mantenne la carica soltanto pochi mesi, in quanto la morte lo colse in Firenze tra l'8 e il 9 dic. 1406. Fu onorato con funerali solenni dalla Repubblica, che aveva servito fino al suo ultimo giorno di vita, ed ebbe sepoltura nella basilica di S. Croce, dove, davanti all'altare grande, gli eredi posero un'iscrizione di marmo in sua memoria.
Dalla moglie Margherita, di cui non si conosce il casato, il F. ebbe certamente un figlio di nome Bartolomeo; è documentata anche l'esistenza di almeno altri due suoi figli: Lorenzo e Niccolosa, quest'ultima presumibilmente andata in moglie a Ricoldo di ser Pagolo Ricoldi.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. III, 156, cc. 36v-40r; Catasto, 80, cc. 565v-568v; Dieci di balia, Carteggio, Legazioni e commissarie, 1-3; Manoscritti, Carte dell'Ancisa, 326, c. 411r; 329, cc. 13v-16r; 353, cc. 31v-32v; 355, c. 292rv; 359, cc. 494r-495v; Ibid., 252, Priorista Mariani, V, c. 1138r; Signori, Carteggio. Prima Cancelleria, Missive, 15, 16, 27; Lettera dei Dieci di balia del Comune di Firenze alla Signoria di Siena, in Piovano Arlotto, II (1859), pp. 85-90; D. Marzi, La Cancelleria della Repubblica fiorentina, Firenze 1910 (rist. anast. ibid. 1987), pp. 13, 19, 119, 128, 153-156, 160, 424, 429 s., 493, 495, 514, 578; L. Martines, The social world of the Florentine humanists. 1390-1460, Princeton 1963, pp. 55, 106 s.; Id., Lawyers and statecraft in Renaissance Florence, Princeton 1968, p. 164; R.G. Witt, C. Salutati and his public letters, Genève 1976, pp. 15 ss.; D. De Rosa, C. Salutati: il cancelliere e il pensatore politico, Firenze 1980, pp. 6-11, 104, 151; R.G. Witt, Hercules at the crossroad: the life, works and thought of C. Salutati, Durham, NC, 1983, pp. 177, 124; Il notaio nella civiltà fiorentina, Firenze 1984, p. 40.