BENEDETTO di Norcia, san
La vita. - I dati sicuri della vita di S. Benedetto sono piuttosto scarsi, e derivano tutti dal libro II dei Dialoghi di S. Gregorio Magno; né si può accogliere come accertato quanto è stato scritto intorno a lui nei secoli posteriori. Così non è attestata con solido fondamento la provenienza del santo dalla gente Anicia, benché Gregorio Magno lo dica di nobile stirpe (liberiori genere exortus).
S. Benedetto nacque, in un medesimo parto con la sorella Scolastica, nell'antica città di Norcia, l'anno 480; ivi passò gli anni della sua puerizia. Adolescente, verso il 497, venne a Roma per attendere agli studî proprî della sua condizione (liberalibus litterarum studiis). Mosso però da un grande amore alla solitudine, abbandonò la città di Roma, e ventenne si diresse ai monti Simbruini, fermandosi tra le insenature rocciose e selvagge di Subiaco. Qui menò vita solitaria, noto per alcun tempo soltanto ad un monaco di nome Romano, che viveva in un vicino monastero sotto la direzione dell'abate Teodato; da Romano ricevette il primo segno di abito monastico (la melote). Dopo un triennio il giovane B. viene richiesto come superiore da alcuni monaci che vivevano a Vicovaro, borgo tiburtino bagnato dall'Aniene, tra Subiaco e Tivoli. Vinte le prime riluttanze, B. accettò di succedere al loro abate defunto, ma presto fu costretto ad abbandonarli come indisciplinati e avvelenatori della sua vita. Tuttavia la fama di lui era cresciuta, e dai dintorni andarono a lui discepoli numerosi anelanti alla disciplina monastica. Perfino da Roma gli arrivarono due giovani patrizî, Mauro e Placido. La pratica della vita monastica a Subiaco fu bruscameute interrotta a causa della nequizia di un prete di nome Fiorenzo, che, non potendo perdere i corpi, tentò di perdere le anime dei discepoli di Benedetto. Egli quindi, verso il 529, sotto il regno di Giustiniano e il pontificato di Felice IV, partì da Subiaco e con i suoi per la via Latina raggiunse Cassino, e di là si spinse sulla vetta del monte, dove sorgeva un grande tempio pagano. Qui trovò più propizio il campo all'opera sua. Distrusse il tempio e l'idolo; costruì il monastero, di cui fu muratore e architetto; predicò il Vangelo ai pochi montanari del luogo, e attese a disciplinare le anime che venivano a lui per il servizio divino. All'età di 67 anni - il 21 marzo 547 secondo la cronologia più generalmente ammessa - rese l'anima a Dio. Il suo corpo fu chiuso nel medesimo avello in cui quaranta giorni prima egli aveva fatto deporre quello della sorella Scolastica: avello preparato sotto l'altare di S. Giovanni Battista, nello stesso luogo in cui prima sorgeva l'ara di Apollo da lui rovesciata.
La regola. - S. Gregorio (Dialoghi, II, c. 36) giudicò la Regula monachorum di S. Benedetto discretissima nella sostanza e chiarissima nella forma (discretione praecipuam, sermone luculentam). Sembra certo che esistessero due esemplari autografi di questa regola: l'uno, consegnato dal santo al discepolo Mauro perché lo propagasse nella Francia, col peso del pane e la misura del vino; l'altro, recato a Roma dai Cassinesi nel 586, e riportato a Montecassino, quando fu rilevato quel monastero per opera dell'abate Petronace. Tra i doni fatti a S. Benedetto da papa Zaccaria vi è quello del libro della regola, quam piissimus pater manu propria scripserat. Da questo autografo l'abate Teodemaro nel sec. VIII fece scrivere un esemplare che trasmise a Carlo Magno.
La regola di S. Benedetto, della cui autenticità non v'ha ragione di dubitare, è un documento monastico di prim'ordine, composto di un prologo e 73 capitoli, che esercitò nel Medioevo un grandissimo influsso. Si può dire che sia il codice più autorevole a cui abbiano attinto tutti i fondatori di ordini o di istituti religiosi che si sono susseguiti da quel tempo fino ai giorni nostri.
S. Benedetto divide i monaci in eremiti o anacoreti, e in cenobiti o monaci propriamente detti, che vivono in comunità. La sua regola è diretta ai cenobiti, cioè ai monaci riuniti in un monastero, viventi sotto un abate, e seguenti la medesima norma di vita.
Il monastero è eretto in una solitudine, attorniato da terre e circondato da mura; ma deve contenere tutto ciò che è necessario alla vita di una comunità: chiesa e oratorio; dormitorî e celle per gli ospiti, i pellegrini, i poveri; il refettorio, la cucina, il cellario, l'orto, il molino, il vestiario o luogo dove si conservano le vesti ed altre masserizie ad uso dei monaci; le officine per le arti e i mestieri, la biblioteca per i codici da leggere e da studiare; lo scriptorium per la trascrizione dei testi antichi (cap. 66). Il monaco attendeva d'ordinario al lavoro manuale e alla coltura delle terre, nonché a leggere, scrivere e studiare (capp. 48, 55, 73). Nei secoli seguenti il lavoro intellettuale giunse ad occupare interamente la giornata del monaco; ma una parte cospicua di tempo fu dedicata alla preghiera obbligatoria sotto forma di salmodia in comune, da recitare a voce alta e cantare in coro. Per questa preghiera, chiamata opus Dei, S. Benedetto è disceso a determinare le più minute particolarità e a concordare le singole parti dell'ufficiatura quotidiana con il ciclo liturgico di tutto l'anno (capp. 8, 19, 42, 47).
Nel concetto di questo legislatore, il cenobio o monastero deve essere sufficiente a sé stesso, sia per la vita materiale e spirituale dell'individuo, sia per la vita e lo sviluppo della comunità, senza che nasca il bisogno ad alcuno di uscire fuori per qualsiasi ragione. È come un piccolo stato, e l'immagine della città antica. Isolato dal mondo, il monastero benedettino deve contenere tutto il necessario per la vita, cioè gli attrezzi e le officine per ricavare dal suolo gli alimenti. Appositi ufficiali presiedono, dirigono e hanno cura della vita di ognuno e della comunità.
A capo della comunità è l'abate, che tiene le veci di Cristo; egli viene eletto dal suffragio della comunità stessa. I suoi poteri durano a vita e la sua autorità sui monaci e sul monastero è grande: egli governa, amministra, regge, istruisce; è responsabile tanto delle finanze del monastero quanto degl'interessi spirituali. Nomina alcuni ufficiali, che hanno attribuzioni particolari, sempre sotto la sua alta giurisdizione e direzione. Membro della comunità, è sottomesso come i monaci alla regola, di cui è custode ed interprete; e vive la stessa vita dei suoi sudditi o figli.
Accanto all'abate sono il praepositus o priore, che lo rappresenta e ne fa le veci; il cellerario che amministra i beni e provvede al necessario; il decano che è incaricato particolarmente di un gruppo di dieci monaci; un portinaio che veglia alla porta del monastero e riceve gli ospiti, i visitatori e i poveri. Un monaco è incaricato particolarmente degli ospiti, un altro dell'educazione e formazione spirituale dei novizî.
All'infuori di questi uffizî, regna nel monastero una perfetta eguaglianza fra tutti i monaci, benché ciascuno tenga ordinatamente il suo posto a seconda della sua entrata in monastero. Vi sono così i seniores e i iuniores. Per le nomine o preferenze unica ragione è il merito della vita e l'osservanza della regola.
Il monastero può ricevere sacerdoti secolari, sia come ospiti, sia come postulanti alla vita monastica, ma con le debite cautele e con le commendatizie; come ammette giovanetti nobili o poveri, offerti dai loro genitori, come oblati, cioè dedicati al servizio divino.
La regola contempla anche il vitto, che è frugale, e il vestito, che deve essere non ricercato, ma quale facilmente si trova nel luogo di residenza, senza preconcetto di finezza e di colore.
Questa regola penetrò facilmente ovunque ed ebbe tosto il predominio sulle altre per la sua discrezione e moderazione, poiché essa ordina che l'abate tutto disponga ed equilibri in maniera che i forti vi trovino gusto e i deboli non si avviliscano (cap. 64). In Italia, Francia, Spagna, Germania e Inghilterra essa fu presto conosciuta e seguita; e nei secoli IX-XI regnò pressoché unica in tutti i monasteri d'Europa. Nel sec. XIX ha ripreso la sua via ascensionale, e gli spiriti affaticati vi si adagiano ancora con serenità e profitto.
Bibl.: Il libro II dei Dialoghi di S. Gregorio, contenente la biografia di S. Benedetto, oltre che nelle edizioni delle opere del pontefice e in Patr. Lat., LXVI, coll. 126-204, fu pubblicato più volte a parte. L'ab. G. Cozza-Luzzi, Historia Sancti Patris nostri Benedicti, a SS. Pontificibus Romanis Gregorio I descripta et a Zacharia graece reddita, Grottaferrata 1880, la pubblicò in greco da un codice ambrosiano e da un altro già di Grottaferrata, ora Vaticano greco 1666, del sec. VIII. G. De Luca ha pubblicato la Vita e regola di S. Benedetto secondo antichi volgarizzamenti, Firenze 1923. Una nuova traduzione ne ha data V. Bartoccetti, nei suoi Fioretti degli antichi Padri, di S. Gregorio Magno (Milano 1925), pp. 39-89. L'ultima versione della Vita e Regola fu curata da P. Lugano (Roma 1929).
Le migliori biografie sono: L. Tosti, Della vita di S. Benedetto, Montecassino 1892; D. A. L'Huillier, Le Patriarche Saint Benoît, Parigi 1905; B. Maréchaux, Saint B., sa vie, sa règle, sa doctrine spirituelle, Parigi 1911; L. Hebrard, Saint Benoît, Parigi 1922; D. Ryellandt, Essai sur la physionomie morale de Saint B., Parigi 1924; S. De Fresnel, Saint B.: l'oeuvre et l'âme du Patriarche, Parigi 1926; L. Salvatorelli, S. Benedetto, Bari 1928; F. Ermini, Benedetto da Norcia, Roma 1929. Sull'ordine di S. Benedetto reca un notevole contributo, L'Italia Benedettina compilata da P. Lugano (Roma 1929).
Per l'arte si ha una buona raccolta in Saint B. dans la peinture, Cinquante reproductions d'oeuvres en phototypie, publié per l'abbaye St. Maurice, Clairvaux 1916.
Innumerevoli sono le edizioni della regola di san Benedetto. Negli ultimi anni il testo fu oggetto di varî studî fra cui notevoli i seguenti: E. Schmidt, Regula S. Patris Benedicti iuxta antiquissimos codices recognita, Ratisbona 1880; E. Wölfflin, Benedicti Regula Monachorum, Lipsia 1895; L. Traube, Textgeschichte der Regula S. Benedicti, Monaco 1898 (2ª ed. riveduta da H. Plenkers, Monaco 1910); G. Morin, Regulae Sancti Benedicti traditio codicum manuscriptorum cassinensium, Montecassino 1900; H. Plenkers, Untersuchungen zur Überlieferungsgeschichte der ältesten lateinischen Mönchsregeln, Monaco 1906; Neuere Arbeiten und Streitfragen über die Benedictinerregel, in Zeitschrift für die österr. Gymnasien, 1902, n. 2; C. Butler, S. Benedicti Regula monachorum: editio critico-practica, Friburgo in B. 1912; F. Stabile, Sul testo e la lingu della Regola di S. Benedetto, in Rivista di filologia e di istruzione classica, XLII (1914), pp. 259-274; B. Linderbauer, S. Benedicti Regula Monachorum, Deggendorf 1922. Maggiori informazioni fino al 1926 si hanno in Rivista storica benedettina (dal 1906). La più recente edizione della Vita et Regula S. Benedicti è quella manuale curata da P. Lugano (Roma 1929).