DI FALCO, Benedetto
Non si conosce la data di nascita del D., avvenuta presumibilmente a Napoli nei primi anni del XVI secolo. Di certo nel 1535 vedeva la luce il suo primo lavoro intitolato Descrizione de' luoghi antiqui di Napoli e del suo amenissimo distretto nella cui ultima parte si rivolgeva all'imperatore Carlo V che in quell'anno era entrato a Napoli reduce dalla spedizione di Tunisi.
Solo recentemente Ottavio Morisani (editore dell'opera, Napoli 1972) ha riscoperto nella Biblioteca nazionale di Napoli una copia di questa prima impressione che si considerava perduta. Lo stesso Croce, per la biografia del D., si era servito della seconda edizione stampata in Napoli, "appresso Joan Paolo Suganappo in la piazza degli Armieri" nel 1549. Iniziando dalla descrizione di Posillipo, attraverso strade, chiese, monumenti, si tessono le lodi di Napoli e dei dintorni, in particolare di Pozzuoli; seguono ampie digressioni su costumi e tradizioni napoletane. C'era nei contenuti di quest'opera anche un intento polemico nei confronti di Pandolfo Collenuccio "bugiardo scrittore e maligno" per aver accusato i Regnicoli di poca fedeltà per i loro sovrani.
Nello stesso anno usciva a Napoli, "per Martinio Canze [Matteo Cancer] da Brescia e ad instantia de li honorabili uomini Antonio Iovine et Francesco Vitolo Librari Napoletani", il Rimario del Falco tra i primi esemplari "di qualche ampiezza in questo genere". Fino ad allora infatti i rimari avevano come riferimento i versi di Petrarca. Il D. sceglie dieci autori disponendoli secondo un preciso ordine: Petrarca, Boccaccio, Dante, Ariosto, Pulci, Sannazaro, Bembo, Landino, Machiavelli e Castiglione. Significativa appare l'importanza assegnata a Dante, generalmente considerato scrittore non degno di imitazione; a questo proposito c'è da rammaricarsi della perdita di un'opera intitolata Apologia di Dante.
Interessante del Rimario la posizione del D. sulla controversa questione della lingua. Egli ipotizza, infatti, Venezia come centro dal quale "con la consulta de' dotti" far partire la riforma "dell'idioma italiano" per farne "una lingua comune a tutti". L'opera è dedicata ai lettori; nell'introduzione sono ricordati con ossequio e ammirazione Fabrizio Gesualdo signore di Consa, Camillo Gesualdo arcivescovo di Consa, Antonio Doria, Scipione Capece, Giovambattista Carafa priore di Napoli e il fiorentino Antonio di Gagliano. Nella chiusa c'è un significativo atto di sottomissione a P. Bembo.
Alla fine dell'opera il D. rinvia ad un vocabolario della lingua volgare pronto per essere stampato, ma che non vide mai la luce. Nel maggio 1538 stampato in Napoli "per Ioanne Sultbach Alemano" vedeva la luce il Trattato di amore dedicato alla "Eccellente Segnora Faustina Carrafa" contessa di Pacentro, moglie di Raimondo Orsini. Secondo il D. quattro sono le cause che determinano l'amore: formale, materiale, efficiente e finale. Significativo è l'abbandono dei luoghi comuni della poesia specialmente petrarchesca.
Il 18 ott. 1539 ancora a Napoli veniva stampato un volume di prosodia per coloro che scrivevano versi in latino intitolato Syllabae poeticae ad rem poeticam necessariae commodiori atque faciliori ordine quam pridem ordinatae a Benedicto Falco Neapolitano, e dedicato a Giovan Tommaso Di Capua, suo discepolo. Lo stesso redigeva, due anni dopo, la prefazione del De origine Hebraicarum, Graecarum ac Latinarum literarum, deque numeris omnibus che si presume il D. abbia composto durante un soggiorno presso i Di Capua.
Nel 1545 Vincenzo Tuttavilla, conte di Sarno, lo volle maestro dei suoi giovani vassalli; nel 1548 pubblicava, a Sarno, "per Franciscum Fabrum Picenum" un libro sui barbarismi latini intitolato Multa vocabula barbara a Latinae linguae vero ac Germano usu remota atque alia studiosis iuvenibus pernecessaria ad institutiones grammaticales pertinentia. Per Benedictum De Falco Neapolitanum dudum recognita. Il D., malato di gotta, si ritraeva dalla vita tumultuosa napoletana. Aveva avuto la fortuna di trovare quel Tuttavilla che, memore degli elogi a lui intessuti nella Descrizione di Napoli, lo aveva provvidenzialmente accolto a Sarno. A Napoli il viceregno di don Pietro di Toledo rappresentò una significativa svolta nella storia del Reame. I sintomi di quanto le cose stessero cambiando sono rilevabili dalla decisione del Toledo di sciogliere oltre alle accademie napoletane dei Sereni e degli Ardenti, i cui aderenti avevano largamente partecipato ai tumulti del 1547, anche quella meno "impegnata" degli Incogniti, nella quale militava con il nome di Astemio il Di Falco. Quest'ultima accademia, che si muoveva intorno all'agostiniano Baldassarre Maracca, vescovo di Lesina, era più vicina alle tenerezze dei versi che all'impegno civile.
Nell'edizione del 1549 della Descrizione di Napoli il pur tranquillo erudito D., dopo aver parlato delle "tre nobilissime accademie in Napoli", nelle quali "tanti studiosi e nobilissimi giovani virtuosamente dimorano", ha un moto di stizza per la "diabolica discordia che gli ha disuniti e separati". Non sappiamo quanto fosse chiaro agli occhi del D. il preciso calcolo governativo mirante a soffocare ogni germe di autonomia; di certo possiamo dire che nel pur non approfondito giudizio sulla realtà storica intorno a lui, sono comunque lontane le conformistiche affermazioni di un Miccio miranti a giustificare la chiusura delle accademie per evitare ogni possibile politicizzazione delle stesse.
Non si conosce la data di morte del D.; ma questa certamente avvenne dopo il 1568: in quell'anno si trova, infatti, nella terza edizione della Descrittione una sua dedica al magnifico Raimondo Poggiolo.
Fonti e Bibl.: B. Chioccarelli, De illustribus scriptoribus qui in civitate et Regno Neapolis ab orbe condito ad annum usque MDCXXXXVI floruerunt, I, Neapoli 1780, pp. 98 s.; C. Minieri Riccio, Mem. stor. degli scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 16; Id., Catalogo dei libri rari, I, Napoli 1864, pp. 153 s.; B. Croce, Il primo descrittore di Napoli: B. D., in Aneddoti di varia letteratura, I, Bari 1953, pp. 274-292; R. Colapietra, La storiografia napoletana nel secondo Cinquecento, in Belfagor, XV (1960), 4, pp. s.; B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze 1971, p. 346.