DE NOBILI, Benedetto
Nacque da nobile famiglia lucchese certamente sul finire del secolo XV. Entrato nell'Ordine dei predicatori, compare per la prima volta negli Atti dei capitoli di Genova del 1513, quando venne assegnato al convento di S. Domenico di Ferrara come maestro al primo anno del baccalaureato; due anni dopo, nei capitoli generali di Napoli (1515), venne approvato il suo titolo di magister.
Il 16 ott. 1521, in seguito alla rinuncia di Bernardino da Lucca, fu fatto vescovo di Accia in Corsica, titolo che mantenne fino al 1547- Sono scarse le notizie sul suo conto fino all'agosto del 1529, quando, trovandosi egli a Genova, dava segni evidenti di non condividere la linea di condotta del governo della sua città verso i responsabili della congiura dei Poggi (1522), ospitando anzi nella sua abitazione due membri di questa potente famiglia lucchese, Vincenzo e Francesco, venuti a Genova per incontrare l'imperatore Carlo V. Per il resto si perdono le tracce del D. fino a che l'8 genn. 1532 fu creato da Clemente VII commissario apostolico in Lucca e insieme collettore delle decime in Siena e Lucca; quindi, dallo stesso pontefice, governatore di Viterbo nel 1534; ma era a Roma il 29 aprile ed il 7 agosto, quando ebbe l'incarico di ordinare due vescovi. L'anno seguente divenne governatore di Todi prima, il 25 giugno 1535, e di Orvieto poi, l'i i dicembre; con un breve di Paolo III del 5 maggio 1536 venne in seguito deputato al governo di Ascoli dove chiese che fosse restaurata la fortezza Malatesta a porta Maggiore per poter liberare la città dalla piaga del banditismo; ma solo sei mesi dopo, nell'ottobre 1536, veniva posto a sindacato dall'amministrazione camerale. Di nuovo non abbiamo notizie per quasi un decennio, fino a quando, a partire dal 1545, troviamo il D. impegnato nell'attività del concilio di Trento come teologo dell'Ordine dei predicatori e come informatore della Repubblica di Lucca.
Risulta in procinto di partire da Roma già il 27 marzo, quando glì viene rilasciato un lasciapassare per recarsi al concilio; del 28 agosto è poi un breve di Paolo III con cui il pontefice gli riconosceva il diritto al titolo episcopale pur nominando Girolamo Baccaurato vescovo "eletto" della diocesi di Accia per il biennio 1545-46, durante il quale si prevedeva l'assenza del vescovo titolare.
Il D. giunse a Trento il 5 marzo 1546, proprio quando si avviava la discussione sui fondamenù e sulle fonti della fede, ed andò a confluire nella sezione del card. R. Pole. Da allora fu presente a tutte le sessioni successive, anche a quelle del periodo bolognese. Dopo essere intervenuto per una soluzione moderata sulla questione delle traduzioni della Bibbia, fu soprattutto a cominciare dalle discussioni sul peccato originale e sul battesimo che egli diede prova di preparazione teologica e dialettica.
Preoccupato innanzi tutto che alcuni brani dei testi sacri relativi alla conoscenza, propagazione e malizia nel peccato originale fossero spiegati in maniera più chiara, il D. propose il riconoscimento del triplice battesimo, "per aquam, per fiamman, per sanguinem". Anche riguardo al problema dell'Immacolata Concezione, chiese dapprima spiegazioni maggiori sulla santità e sul battesimo quali strumenti della virtù divina, propose poi di omettere i termini di origine scolastica di "formale" e "materiale" a proposito del peccato originale, caldeggiò infine una formula pacifica sul privilegio mariano. Nella congregazione generale del 6 luglio 1546 fu tra i quattro padri deputati alla preparazione del decreto sul problema della giustificazione e si oppose, in seguito, alla teoria propugnata dall'arcivescovo di Siena, Francesco Piccolomini, che voleva la giustificazione ottenuta unicamente mediante la fede senza alcun soccorso delle opere. Non fu invece favorevole alla discussione sul problema della residenza dei vescovi; sostenne anzi che, se non si fossero restituite ai vescovi le loro giurisdizioni, sarebbe stato meglio rimettere al papa l'intera questione e a tale proposito fornì all'assemblea indicazione sui "gravamina" imposti ai titolari delle diocesi piemontesi dal Parlamento di Torino. Numerosi furono anche gli interventi del D. durante le sessioni dedicate ai sacramenti, distinguendosi in particolare nella discussione sull'eucarestia, col sostenere la possibilità di ricevere più numerose grazie con la comunione sotto entrambe le specie.
Il concilio si era intanto trasferito a Bologna; i prelati domenicani si prestarono, in particolare modo. alla celebrazione degli uffici liturgici e tra di essi il D., che celebrò in S. Petronio il giorno di venerdì santo (8 apr. 1547).
Di questa fase bolognese è interessante soprattutto l'atteggiamento tenuto dal D. nelle discussioni sulla penitenza, sull'eucarestia e sul sacerdozio, nelle quali egli si batté sempre perché fossero maggiormente chiarite le proposizioni conciliari e perché si evitasse il duplicamento, spesso inavvertito, dei canoni, rifacendosi di continuo alle autorità proprie della teologia domenicana ed in particolare a s, Tommaso, ma anche a Duns Scoto e a Guglielmo Durante.
La presenza del D. al concilio è attestata dal pagamento delle sovvenzioni, tanto di quelle ordinarie che di quelle straordinarie, che giungono fino al 6 sett. 1549. Ma con il concilio finiscono le notizie certe sul suo conto; è incerta infatti quella che lo indica come vicario generale a Brescia nel 1550., mentre non si conoscono né la data né il luogo della morte.
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