BENEDETTO da Cesena
Non si conosce l'anno della nascita di B., presumibilmente da collocare nei primi anni del sec. XV. Alcuni accenni autobiografici possono ricavarsi dal suo poema, De honore mulierum: il primo ci riporta al settembre del 1433, data in cui B. doveva trovarsi già a Rimini, se assisté al passaggio di Sigismondo di Lussemburgo che, reduce dall'incoronazione imperiale celebrata in quell'anno a Roma da Eugenio IV, non toccò Cesena (c. 86 r); in un altro luogo (c. 100r) egli ricorda come "pur testé de questa vita... spento" Giusto de' Conti di Valmontone, morto a Rimini nel 1449; due altri passi ci fanno poi sapere che B. era anche pittore (c. 100r) e che aveva avuto due figli, Carlo e Beatrice (c. 91r).
È certo che B. visse a Rimini: nel suo poema si incontrano continuamente nomi di illustri o meno illustri riminesi e quelli di personaggi venuti da ogni parte d'Italia alla corte munifica dei Malatesta. Nessun serio fondamento trova invece la notizia riportata dallo Zazzeri, secondo la quale B. sarebbe stato frate dei monastero di S. Maria del Monte in Cesena: essa potrebbe essere messa in dubbio anche dal tono di alcuni luoghi del poema, in cui si ragiona d'amore, e dall'esistenza dei due figli del poeta; a meno di non voler supporre che B. avesse abbracciato gli ordini in tarda età, dopo aver composto il De honore. Il Quadrio lo dice "poeta laureato" nel 1452 da Niccolò V; quasi certamente egli attinse tale notizia da fra, Bernardino Manzoni, il quale aveva appunto affermato che "Benedictus Caesenas Poeta laureatus, humanarum litterarum peritissimus, scripsit inter caetera lib. de Honore mulierum". Se ciò fosse vero, sarebbe strano che B., così spesso presuntuoso - e in un capitolo dei suo poema fino al punto di voler imitare il Paradiso dantesco - avesse omesso di dichiarare questo suo titolo di merito nel corso della sua opera.
Non potendo risalire alla fonte del Manzoni, l'ipotesi del Massera è forse la più probabile: essere la notizia frutto dell'errore di aver confuso l'incoronazione di Federico III da parte di Niccolò V, avvenuta a Roma il 19 marzo 1452, e ricordata nel De honore (c. 86v), con la laurea a poeta di B. medesimo.
Sulla scorta dei cenni autobiografici espliciti o indiretti contenuti nel poema, il Massera ha cercato di rintracciare qualche ulteriore notizia relativa a B. negli archivi riminesi; e si è imbattuto più volte in un "Benedictus de Cesena racamator". Il primo documento riguardante questo personaggio reca la data 13 febbr. 1436, e da esso si ricava anche il nome del padre di B., Giovanni, già deceduto "ícondam magistri Nannis"); in un documento del gennaio dell'anno seguente si apprende anche che B. "filio condam magistri Nanxùs olim, de Cesena" abitava nella "contrata Sancti Martini civitatis Arimini". I documenti successivi sono del 4 febbr. 1439, del 16 marzo 1442, del 10 sett. 1444, del 17 marzo 1446, del 12 settembre e del 20 dic. 1449, del 25 giugno e dei 3 luglio 1451, del 10 apr. 1454, del 9 apr. 1457, del 16 luglio 1459, del 20 apr. e del 6 giugno 1460, del 1º maggio 1461; l'ultimo è del settembre 1464, ed è la notizia della sua morte, avvenuta nella notte tra martedì 18 e mercoledì 19.
Molti elementi suffragano l'identificazione di questo B. ricamatore con l'autore del De honore mulierum. Dal poema veniamo a sapere che intorno al 1450 B. aveva perduto i due figli; ebbene, nel testamento redatto il 20 apr. 1460 il B. dei documenti riminesi lascia alcuni legati alle sorelle Lucia e Caterina, e tutto il resto dei suoi averi alla moglie Marchina di Giovanni da Fano, da lui sposata dopo il 1437 e prima del 1454 (cfr. i documenti del gennaio 1437, in cui Marchina è "promessa" di B.; e del 10 apr. 1454, atto di vendita al suocero di una casa costituente parte della dote della moglie); questo dimostra che B. nel 1460 non aveva figli e che, se comunque ne avesse avuti, essi sarebbero deceduti in ancor giovane età, al massimo intorno ai vent'anni (1438-40, anno del matrimonio tra B. e Marchina; 1460, anno del testamento). Ora, il B. poeta ci parla di due suoi figli, morti qualche tempo prima del 1453-54, periodo in cui approssimativamente egli compose il De honore; e non è forse inutile notare che per Giusto di Valmontone, morto nel 1449, egli usa l'espressione "pur testé... spento", mentre sembra invece che il dolore per la morte dei figli sia già in parte attutito, se il loro ricordo gli serve per una osservazione di carattere moralistico ("Se i figli tuoi, che morti el cor te invola, Gentil Beatrice e 'l dolce Carlo dico, Che sopra tucti i ciel Dio vede e cola, Credesse el mondo instabile e mendico Posseder tutto ritornando a lui, Venir vorìen sì como a suo nimico"). Dagli atti che ci parlano dei B. ricamatore risulta poi che B. era in amichevoli relazioni con alcuni personaggi riminesi piuttosto in vista, che sono nominati anche nel De honore;e citeremo Roberto Valturio (doc. 10 apr. 1454; De honore, c. 104 r), Niccolò dal Dito (doc. del 9 apr. 1457; De honore, c. 104 v) ed Egidio Guidoni, vescovo di Rimini dal 1450 al 1472 (doc. del 1º maggio 1461, codicillo al testamento; De honore, "pastor nostro", c. 103r, "saggio archimandrita"., ibid.). Attesterebbe inoltre una relazione di lavoro con i Malatesta un elenco, datato 19 genn. 1459, di vesti lasciate a Isotta da Antonio degli Atti, tra le quali si trovava "un vestido... racamado, el quale è appresso de maestro Benedetto" (Rimini, Arch. Notar., Atti Girol. di Baldassarre, Filza 1457-73, c. 10r). Da non trascurare è poi il fatto che nel testamento B. è qualificato "egregius et edoctus vir", aggettivi che mal si attaglierebbero a un semplice ricamat ore artigiano. Sappiamo infine che il B. poeta era anche pittore: ci parla infatti nel suo poema di un ritratto di Giusto de' Conti da lui eseguito (c. 100 r). Ora, il B. dei documenti non è soltanto ricamatore (arte del resto assai affine alla pittura), ma anche pittore: nel testamento egli lasciava alla chiesa di S. Martino dieci lire, perché si provvedesse a far terminare "una pictura seu figura beatissime Virginis Marie" già da lui abbozzata, nel caso che "eius obitum pingere non faciet et non fecerit".
Tutte queste coincidenze e la stretta relazione cronologica tra i due Benedetto da Cesena ci sembrano argomenti notevolmente positivi a suffragarne l'identificazione.
Il De honore mulierum è un grosso poema in terzine in quattro libri (l'ultimo è incompleto), ciascuno diviso in capitoli che, non si sa bene perché, l'autore denomina Epistole. Contenuto in un solo codice, il Vat. Barb. lat. 4004, e stampato nel 1500 da Bartolomeo Zani a Venezia, è dedicato a Malatesta, figlio di Sigismondo Pandolfo Malatesta e di Isotta di Francesco Atti, nato dopo il 1449 e morto nel marzo del 1458. La data di composizione del poema è da porre tra il 1452 (incoronazione di Federico III) e il 1455 (morte di Niccolò V, nominato come vivente nel poema); più esattamente, almeno per quanto concerne la sua ultima parte, nella quale è ricordata la caduta di Costantinopoli, giugno 1453 (c. 91 r), e l'impresa condotta da Sigismondo Malatesta a Vada in Toscana nell'ottobre dello stesso anno (De honore, c. 94 r), si potrebbe indicare il 1454.
Di ben scarso valore poetico, condotto spesso stancamente, il poema riveste oggi quasi esclusivamente un interesse documentario, sia come modesto contributo alla storia della fortuna di Dante nella Romagna del Quattrocento, come ben puntualizzò il Piccioni, il quale però giudicò forse troppo severamente "un plagio" il capitolo del IV libro del De honore in cui B. segue invero assai da vicino, in una specie di arido compendio, il Paradiso di Dante; sia soprattutto come testimonianza sui personaggi componenti la corte dei Malatesta. Assolutamente nulla possiamo dire delle altre opere (coetera) di B. cui accenna il Manzoni.
Fonti e Bibl.: Rimini, Arch. Notarile: Atti Franc. Paponi, Prot. 1434-36, c. 136r; 1436-37, c. 61v; 1437-40, c. 77r; 1442-43, c. 44v; 1445-47, c. 33r; Filza 1442-45, 10 sett. 1444; Filza 1450-54, 25 giugno 1451; Atti Andrea Bambini, Prot. 1449-53, parte I, cc. 57v e 116v; Atti Gaspare Fagnani, Filza 1446-54, c. 111r; Filza 1457, c. 94v; Atti Antonio di Stefano dal Gallo, Testam. 1435-63, cc. 151r, 152r-153v (testamento); Atti Baldass. di Giov. Montefiore, Filza 1453-73, cc. 158r, 160r; Rimini, Bibl. Com., ms. Gambalunghiano 78, c. 35v (necrologio); Rimini, Arch. Stor. Com., pergam. del 10 apr. 1454; B. Manzoni, Caesenae chronologia in duas partes divisa, Pisiis1643, p. 130; C. M. Crescimbeni, L'istoria della volgar poesia, I, Venezia 1731, p. 249; J. B. Braschi, Memoriae Caesenates, Roma 1738, p. 332; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., VI, 2, Modena 1748, pp. 192, 283; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione d'ogni poesia, VI, Milano 1749, p. 211; A. Battaglini, Della corte letter. di Sigismondo Pandolfo Malatesta, in Basinii Parmensis Poetae Opera praestantiora, II, Rimini 1794, p. 122, n. 14; V. Lancetti, Mem. intorno ai poeti laureati, Milano 1839, p. 148; R. Zazzeri, Storia di Cesena, Cesena 1890, p. 353; L. Piccioni, A proposito di un plagiario del "Paradiso dantesco", in Appunti e saggi di storia letter., Livorno 1912, pp. 1 ss. (rec. di R. R[enier], in Giorn. stor. d. lett. ital., XLII [1903], p. 435); F. A. Massera, Malatesta Unghero e la Viola Novella, in La Romagna, XIII (1917), p. 68 n. 1; Id., Un romagnolo imitatore del poema dantesco nel Quattrocento (B. da Cesena), in R. Deputaz. di storia patria per le prov. di Romagna. Doc. e studi, IV (1921), pp. 165-176 (rec. anon. in Giorn. stor. d. letter. ital., LXXXI [1922], p. 124).