COLUCCI, Benedetto (Benedetto di Coluccio)
Nacque a Pistoia, probabilmente nel 1438.
La sua famiglia (il cui nome era forse Fetti), di umili origini, si era trasferita da Pescia, a Monsummano e successivamente a Pistoia, dove un Giovanni di Coluccio aveva ottenuto la cittadinanza nel 1362; il padre, Coluccio, con la sua professione di "barbiere" (che allora includeva redditizie attività di bassa pratica medica) dovette raggiungere una discreta posizione sociale ed economica, perché fu membro del Consiglio del Comune ed ebbe varie cariche pubbliche a partire dal 1426. Coluccio, che morì nel 1461, ebbe, oltre al C., almeno un altro figlio, Giuntino, del quale si ricorda la carica di notaio dei Priori di Pistoia tenuta nel 1453.
Il C. fece i suoi primi studi a Pistoia, forse con Simone di Lunigiana, e nel 1452, o più probabilmente nel 1455, andò a Firenze dove fu alla scuola del retore Timoteo Maffei.
Sul trasferimento a Firenze si hanno nel suoi scritti testimonianze contraddittorie: nel Lazareus dice che il padre lo mandò a Firenze quando temeva di vederlo coinvolto nei sanguinosi avvenimenti che turbarono Pistoia durante l'adolescenza del giovane, e aggiunge che la cosa gli fu gradita perché sapeva come nella vicina città insegnasse allora Carlo Marsuppini. Poiché il Marsuppini morì il 24 apr. 1453, questa notizia farebbe pensare che il C. abbia lasciato la famiglia alla fine del 1452, quando aveva circa quattordici anni; ma sappiamo che gli avvenimenti per i quali si allontanò da Pistoia si svolsero nel 1455, e d'altra parte egli stesso, in un passo della sua Oratio funebris per il concittadino Antonio Partini, scritta a breve distanza di tempo, ricorda che non aveva avuto la possibilità di conoscere né Leonardo Bruni né il Marsuppini. Nel Declamationum liber il Marsuppini è poi ricordato in un passo dove non è detto in modo del tutto chiaro se sia stato maestro del Colucci. Sembra dunque che questi solo nel 1455 sia passato a Firenze.
Qui fece un primo soggiorno piuttosto breve, e dopo qualche mese di permanenza rientrò a Pistoia per assistere alla solenne pacificazione delle fazioni cittadine promossa dai commissari inviati dal governo fiorentino. Ritornato a Firenze, dove era ospite di Mariotto Bartolini - forse legato alla sua famiglia - continuò gli studi di grammatica e di retorica e fece amicizia con il Ficino, quasi coetaneo del C., dedicandosi anche alla filosofia sotto l'insegnamento di Giovanni Argiropulo.
Durante questi studi trascrisse, in un codice che è ora alla Biblioteca universitaria di Bologna (Cod. lat. 1425), l'Etica nicomachea e gli Economici di Aristotele nella versione latina del Bruni. Di Aristotele possedeva nel 1459 anche la Logica, e ciò fa pensare che i suoi studi di filosofia siano stati abbastanza approfonditi, anche se non lasciarono molte tracce nella sua attività, che fu principalmente quella di un letterato e di un retore.
Nell'ambiente fiorentino dovette farsi presto notare per la sua bravura, perché nel 1455, o nell'anno seguente, venne invitato a preparare la già ricordata Oratio funebris per Antonio Partini, un ricco banchiere pistoiese che si era stabilito a Firenze e aveva stretto amichevoli rapporti con i Medici; e facendo le lodi del Partini il C., già abbastanza disinvolto nel comporre in latino, si preoccupava soprattutto di esaltare Cosimo il Vecchio e il suo governo. In questi anni passati a Firenze, con l'aiuto del Ficino riuscì a farsi conoscere e a farsi notare appunto da Cosimo il Vecchio, che gli concesse qualche familiarità e lo accolse, insieme con lo stesso Ficino, quando nel maggio 1459 ricevette nella sua villa di Careggi monsignor Niccolò Forteguerri, vescovo di Teano, che era reduce da una missione politica a Napoli e stava per recarsi al convegno indetto da Pio II a Mantova. Non sappiamo se avesse avuto in precedenza rapporti con il concittadino Forteguerri; appare in ogni caso probabile che questi, forse d'accordo con il Medici, lo abbia invitato ad accompagnarlo a Mantova, in un viaggio che ebbe inizio il 5 giugno. Più tardi il C. scrisse, nel Lazareus, di essere partito per suggerimento di personaggi insigni. Ma a Mantova si poté trattenere per poco, perché una malattia lo costrinse a tornare presto a Pistoia, dove restò in convalescenza per tutta l'estate del 1459 e dove concepì il disegno di un'opera storica che non portò a termine. Dopo un periodo per il quale non abbiamo sue notizie, nel 1462 o nel 1463 venne eletto maestro di grammatica dal Comune di Pistoia, e con questo incarico rimase nella sua città fino al 1467, senza scrivere altro che un mediocre sonetto in volgare per il Forteguerri, nel frattempo (1463) diventato cardinale.
Intorno al 1465 il C. dovette sposarsi con una donna della quale non conosciamo il nome e che nell'ottobre 1473 gli aveva dato già cinque figlie. Successivamente ebbe un altro figlio, Iacopo, che divenne notaio e possedette una casa in Pescia. Dati i suoi modesti guadagni, questi oneri familiari, come traspare dalle sue lettere, furono per il C. fonte di molte difficoltà e preoccupazioni.
Passato a insegnare grammatica a Empoli nel 1467, vi rimasè fino all'autunno del 1471, mantenendo però i contatti con Firenze e industriandosi come meglio poteva di migliorare la propria posizione con l'aiuto dei Medici.
Continuò ad avere rapporti con il Ficino, e in questi anni probabilmente consolidò la sua amicizia con il geografo Francesco Berlinghieri, con Alessandro Braccesi (che più tardi gli avrebbe dedicato un suo epigramma latino) e con altri esponenti del mondo umanistico fiorentino. Da questi contatti dovette essere stimolato a comporre alcuni scritti nei quali usava la sua abilità di retore per esprimere sentimenti di ammirazione verso i Medici e la loro politica. Il 1° apr. 1468 pronunciò un'orazione latina davanti ad Alfonso d'Aragona duca di Calabria, allora in Toscana come alleato dei Fiorentini, e nello stesso anno scrisse probabilmente il De discordiis Florentinorum, dove narrava gli avvenimenti della congiura antimedicea ordita nel 1465-1466 dalla fazione dei cosiddetti poggeschi, guidati da Niccolò Soderini e da Dietisalvi Neroni, e parlava poi della guerra che i congiurati mossero contro Firenze, dopo la fuga, con un esercito comandato da Bartolomeo Colleoni e appoggiato tacitamente da Venezia. Questa operetta di carattere storico, piena di enfatiche lodi per Cosimo il Vecchio, per Piero e Lorenzo de' Medici, rivela soprattutto interessi letterari e spirito cortigiano, ma non è priva di valore come fonte per gli avvenimenti ai quali si riferisce, anche perché fu scritta a breve distanza dalla loro conclusione, forse nell'autunno 1468. In quello stesso anno si ritiene che il C. abbia portato a compimento, rielaborando note e abbozzi preparati nell'estate del 1459, un'altra opera storica, il Lazareus, nel quale racconta, rifacendosi ai suoi ricordi personali, i sanguinosi episodi avvenuti nel contado pistoiese nel 1455 ed esalta (descrivendolo come un eroe di stampo antico poco corrispondente al vero protagonista della vicenda) la figura di Lazzaro Palandri, un seguace dei Cancellieri che in quegli episodi ebbe una parte di rilievo. Anche in quest'opera sono evidenti la tendenza all'artificio retorico e il desiderio di magnificare la politica fiorentina; nel suo carattere cronachistico, essa offre tuttavia molti particolari utili e costituisce una interessante testimonianza sui fatti pistoiesi del 1455.
Dietro questa attività letteraria del 1468, si avverte nel C. il desiderio di lasciare Empoli, dove stava malcontento e in difficili condizioni economiche. Il 9 marzo di quell'anno scriveva a Lorenzo il Magnifico di sperare di essere chiamato a Firenze; ma poi le cose andarono diversamente e dovette rimanere a Empoli ancora per tre anni. Nel 1471 passò a Colle di Val d'Elsa, sempre come maestro di grammatica, e neanche quella sede gli piacque. Lo mettevano in angustie i magri guadagni e il gravoso carico familiare, e l'11 ott. 1473 scriveva a Lorenzo di essere in una situazione "miserrima". Per gli scolari di Colle compose in questi anni un discorso di introduzione alla lettura di Virgilio (la Oratio ante lectionem Vergilii) nel quale illustrava il valore del poeta latino e sosteneva che nella sua opera e negli scritti del "padre" Cicerone erano le più alte espressioni, e le più durature, dell'ingegno e della civiltà dei Romani.
Nell'estate del 1473 Lorenzo doveva aver già deciso dì aiutarlo e di dargli un posto migliore: ma ancora in ottobre il C. non sapeva che cosa si volesse fare di lui e diceva di sperare in una sistemazione a Firenze o a Pisa, nello Studio che proprio in quel tempo vi veniva ricostituito. La decisione che egli attendeva venne poco dopo: fu infatti chiamato a insegnare grammatica a Firenze nell'autunno del 1473 o, come sembra più probabile, nel corso del 1474 (questo particolare non è del tutto chiaro: cfr. Lorenzo de' Medici, Lettere, I, pp. 296 s.; A. F. Verde, Lo Studio fiorentino, II, p. 120).
Fra il febbraio e il settembre 1474 compose la sua opera maggiore, il Declamationum liber, dove parlava di incontri nell'Accademia ficiniana ai quali aveva partecipato nei giorni dal 25 al 27 dicembre 1473. A due scritti che aveva preparato in precedenza - la Oratio ad Sixtum IV e la Oratio ad Ferdinandum Siciliae regem - riunì nel Liber declamationum altre tre orazioni che sarebbero state pronunciate nel corso di quegli incontri accademici. Secondo il suo racconto, quindici giorni prima il Ficino aveva invitato cinque giovani nobili fiorentini a preparare altrettante orazioni dirette a principi italiani per esortarli alla guerra contro i Turchi; alla data stabilita si ritrovarono con il Ficino il Poliziano, Niccolò Michelozzi, Naldo Naldi e Alessandro Braccesi. Il C. intervenne per caso, per chiedere notizie al Michelozzi sulla recente morte del cardinale Forteguerri (21 dic. 1473). Durante i tre giorni delle riunioni accademiche gli invitati pronunciarono a turno le orazioni ordinate dal Ficino: Giovanni Cavalcanti si rivolse a Sisto IV, Bindaccio Ricasoli a Ferdinando d'Aragona, Paolo Antonio Soderini al Senato veneto, Francesco Berlinghieri a Galeazzo Sforza e Carlo Marsuppini il Giovane al Senato fiorentino. L'opera è preceduta da una dedica a Giuliano de' Medici e comprende anche osservazioni e commenti del Ficino, del Poliziano (che pronuncia un breve elogio di Lorenzo de' Medici) e di altri dei presenti. Alla fine si legge che il Ficino ha ordinato al C. di annotare quanto è stato detto in quei giorni e di scriverne un opuscolo, da dedicare a Giuliano. Non prive di un certo fervore religioso, le Declamationes sono una singolare celebrazione della grandezza dei Medici e della cultura fiorentina del tempo: e le parole di approvazione del Ficino, che le inviò a Lorenzo e a Giuliano con una lettera (Opera, I, p. 618) in cui chiamava il C. "Mercurii comes", fanno pensare che questo scritto sia espressione di idee comuni all'ambiente ficiniano e costituisca un'utile testimonianza sull'organizzazione dell'Accademia platonica e sulle sue analogie con le associazioni religiose fioretitine contemporanee. Nell'ambito di questi rapporti cui si rifanno le Declamationes, è probabilmente da porre anche la nota lettera con la quale il Ficino (Opera, I, p. 647), rispondendo alle esortazioni del C. confermava la sua volontà di difendere il cristianesimo e quei principi religiosi che soli, diceva, davano valore alla vita umana.
L'attività letteraria del C. dopo la composizione delle Declamationes fu assai scarsa: negli ultimi mesi del 1474 scrisse un'altra orazione a Galeazzo Sforza (Declamatio ad Galeatium Sfortiam), nell'ottobre 1478 una orazione (il cui testo non ci è arrivato) al duca Ercole d'Este, allora comandante delle truppe fiorentine nella guerra seguita alla congiura dei Pazzi, e sempre in relazione ai fatti di questa guerra scrisse nell'aprile 1479 un'orazione (anch'essa perduta) a Gian Galeazzo Maria Sforza. Per gli anni successivi abbiamo su di lui scarse notizie. Il 16 genn. 1480 scrisse a Lorenzo, che era a Napoli presso il re Ferdinando, una lettera piena di espressioni di fedeltà e di devozione; nel 1482 dedicò al giovanissimo Piero di Lorenzo de' Medici (nato nel 1472) la Historiola amatoria, storia romanzesca di un amore contrastato e poi felice che avrebbe avuto come protagonisti due giovani pistoiesi al tempo della peste del 1348.
Al C., quando fu chiamato a insegnare grammatica a Firenze, venne assegnato un salario annuo di 100 fiorini che gli dava maggiori possibilità rispetto al passato ma che non era probabilmente sufficiente per i suoi bisogni: negli anni successivi fece vari debiti, e il 26 dic. 1477 chiese a Lorenzo, certamente per motivi economici, di fargli avere la carica di rettore dell'ospedale di S. Maria del Ceppo di Pistoia. Non ebbe il posto desiderato e la sua situazione peggiorò molto quando il salario gli venne ridotto, nel 1480, a 60 fiorini. Le ristrettezze in cui presumibilmente si trovò per questa decisione dei suoi superiori dovettero spingerlo a cercare una nuova sistemazione fuori di Firenze: il 17 maggio 1482 rinunciò così alla condotta nello Studio fiorentino e dal novembre successivo passò in quello bolognese, dove insegnò oratoria, arte poetica e grammatica fino al 1506, con un salario che all'inizio era di 100 lire di bolognini e che forse in seguito, analogamente a quanto avvenne per il grecista suo collega Antonio Codro Urceo, che insegnava le stesse discipline, gli fu aumentato prima a 125 e poi a 150 lire l'anno. Del periodo bolognese non ci resta nessuno scritto di lui: la sua operosità di retore era stata legata a circostanze pratiche che non dovettero ripresentarsi più quando si fu allontanato da Firenze e dai Medici.
Dopo il 1506 si perdono le sue tracce. Il Salvi lo dice attivo nel 1515; ma secondo ogni apparenza si tratta di una notizia senza fondamento, ed è probabile che il C. sia morto a Bologna nel 1506 o poco dopo.
Opere: De discordiis Florentinorum liber, a cura di L. Mehus, Florentiae 1747; Lazareus, ad Iulianum Medicem, in F. A. Zaccaria, Bibliotheca Pistoriensis, Augustae Taurinorum 1752, pp. 287-297; il Declamationum liber, la Declamatio ad Galeatium Sfortiam, la Oratio ad Alphonsum Calabriae ducem, la Oratio ante lectionem Vergilii, la Historiola amatoria, il Sonettoal card. di Teano e le Epistolae sono stati pubblicati da A. Frugoni, in Scritti inediti di B. C. da Pistoia, Firenze 1939. Per una parte delle lettere vedi anche A. Chiti, Alcune notizie su B. C., in Bullett. stor. pistoiese, II (1900), pp. 97 s., e A proposito dell'insegnamento di B. C. a Colle, in Miscell. stor. della Valdelsa, IX (1901), pp. 199 s. Della Oratio funebris in mortem Antonii Partini pubblicò alcuni brani L. Manicardi, Di una "oratio funebris" inedita di B. C., in Bullett. stor. pistoiese, XV (1913), pp. 67-74, da un codice (ora disperso) della Biblioteca comunale di Correggio, Archivio di memorie patrie, Miscellanea. Il Cod. lat. 1425 con i testi aristotelici copiati dal C. fu descritto da L. Frati, Indice dei codici latini conservati nella R. Bibl. Univers. diBologna, in Studi ital. di filol. classica, XVII (1909), p. 93.
Fonti e Bibl.: M. Ficino, Opera, I, Basileae 1576, pp. 618, 647; Lorenzo de' Medici, Lettere, I, a cura di R. Fubini, Firenze 1977, pp. 296 s., 478; A. M. Bandini, Catalogus codicum Latinorum Bibliothecae Laurentianae, III, Florentiae 1776, col. 781; C. Malagola, Della vita e delle opere di Antonio Urceo detto Codro, Bologna 1878, pp. 479 s.; I Rotuli dei lettori... dello Studio bolognese..., a cura di U. Dallari, I, Bologna 1888, ad Ind.; A. Braccesi, Carmina, a cura di A. Perosa, Firenze 1944, p. 103; A. F. Verde, Lo Studio fiorentino, 1473-1503. Ricerche e docum., II, Firenze 1973, pp. 120-123; Id., Giovanni Argiropulo e Lorenzo Buonincontri professori nello Studio fiorentino, in Rinascimento, s. 2, XIV (1974), pp. 284-287; M. Salvi, Historie di Pistoia, III, Venezia 1662, p. 79; L. Melius, B. C. Vita et Scripta, in De discordiis Florentinorum, pp. XIVXXXII; A. M. Bandini, Specimen literaturae Florentinae saeculi XV, I, Florentiae 1748, pp. 203 s.; A. F. Zaccaria, Bibliotheca Pistoriensis, pp. 191 s.; G. B. Mittarelli, Bibliotheca codicum mss. Monasterii S. Michaelis Venetiarum, Venetiis 1779, coll. 122 s.; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., VI, 3, Modena 1790, p. 1117; V. Capponi, Bibliografia pistoiese, Pistoia 1874, pp. 132 s.; Id.. Biografia pistoiese, Pistoia 1878, s.v.; A. Corradi, Notizie sui profess. di latinità nello Studio di Bologna sin dalle prime memorie, in Docum. e studi pubblic. per cura della R. Deputaz. di st. patria per le prov. di Romagna, II, Bologna 1886, pp. 420 s., 448; A. Mori, Un geografo del Rinascimento: Francesco di Niccolò Berlinghieri, in Arch. stor. ital., s. 5, XIII (1894), pp. 345 s.; A. Zanelli, Del pubblico insegnamento in Pistoia dal sec. XIV al XVI, Pistoia 1900, pp. 54 s.; A. Chiti, Alcune notizie su B. C., cit., pp. 81-98; Id., A proposito dell'insegnamento di B. C. a Colle, cit., pp. 198 s.; M. Morici, Maestri valdelsani in Pistoia dal secolo XIV al XVI, in Miscellanea storica della Valdelsa, IX (1901), p. 41; A. Della Torre, Storia dell'Accad. platonica di Firenze, Firenze 1902, pp. 706-712, 805-808; G. B. Picotti, Tra il poeta e il lauro, Torino 1915, p. 18; Id., La giovinezza di Leone X, Milano 1927, pp. 14, 49, 259, 289; C. Stomaiolo, Codices Urbinati Latini, III, Romae 1921, p. 238; G. Zaccagnini, Pistoiesi scolari o lettori nello Studio di Bologna dal XIII al XVIII sec., in Bull. stor. pistoiese, XXXVIII (1936), pp. 76 s.; P. O. Kristeller, Supplementum Ficinianum, Florentiae 1937, I, pp. 115 s., II, pp. 231 s.; A. Chiti, rec. a Scritti inediti di B. C., in Bullettino storico pistoiese, XLII (1940), pp. 44 s.; P. O. Kristeller, Lay Religious Tradition and Fiorentine Platonism, in Studies in Renaiss. Thought and Letters, Roma 1956, pp. 110, 112; A. Frugoni, in Scritti ined. di B. C., cit., pp. I-XVII; Id., Enea Silvio Piccolomini e l'avventura senese di Gaspare Schlick, in La Rinascita, IV (1941), p. 245; Id., L'umanista B. C. da Pistoia, in Mom. della Rinascita e della Riforma cattol., Pisa 1943, pp. 37-48; A. Perosa, Storia di un libro di poesie dell'umanista Alessandro Braccesi, in La Bibliofilia, XLV (1943), p. 171; L. Martines, The Social World of the Florentine Humanists, 1390-1460, London 1963, p. 346; A. Rochon, La jeunesse de Laurent de Médicis (1449-1478), Paris 1963, ad Indicem; M. Martelli, Studi laurenziani, Firenze 1965, pp. 53, 111; E. Garin, Storia della filosofia ital., Torino 1966, p. 423; I. Maïer, Ange Politien. La formation d'un poète humaniste (1469-1480), Genève 1966, pp. 21, 69 s.; A. F. Verde, Lo Studio fiorentino, 1473-1503, I, Firenze 1973, pp. 43, 52, 56, 65, 75, 82, 110, 136, 158, 167, 178, 186, 202, 211, 257, 259; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I-II, ad Indices.