CINQUANTA, Benedetto
Nato probabilmente a Milano, non se ne conosce la data di nascita, che il Doglio fa risalire al 1580 senza specificare la fonte da cui ha appreso la notizia. Rivestì l'abito dei frati minori osservanti del convento di S. Maria della Pace a Milano, acquistando una certa fama per la sua cultura teologica e le qualità oratorie rivelate come predicatore. A Milano svolse un'intensa attività, sia letteraria sia sacerdotale; scrisse infatti tra il 1616 e il 1617 alcuni drammi religiosi che richiamano i consueti titoli del teatro sacro del tempo, la Maddalena convertita (Milano 1616), la Resurrezzione di Cristo (ibid. 1617), e fu iscritto all'Accademia dei Pacifici.
Il 20 maggio 1617 il C. fu eletto padre provinciale, e l'anno successivo nominato definitore per la provincia Cismontana nel capitolo generale riunito a Salamanca. Pare che dimorasse per qualche tempo in Spagna, come potrebbero dimostrare alcuni spagnolismi ricorrenti nelle sue opere e la prolungata interruzione che subì il suo lavoro di scrittore. Infatti, dopo aver pubblicato Il ricco Epulone (Milano 1621), il C. non consegnò alle stampe nessun testo fino al 1628, quando uscirono a Milano le sue due opere: lo Specchio dei prelati e la Natività del Signore. Si presume quindi che tra il 1628 e il 1630 fosse ritornato nella capitale lombarda, dove fu testimone della peste del 1630, e offrì la sua assistenza agli appestati (Pizzagalli, p. 160).
In seguito riprese a comporre testi teatrali e d'altro genere, editi tutti a Milano: nel 1632 la tragedia La peste del 1630, le Quarant'ore-Sermoni XL, gli Idilli della Passione;, nel 1633 la sacra rappresentazione Il figliuol prodigo;nel '34 Il fariseo e il pubblicano e la tragedia S. Agnese.
Nella produzione successiva al presunto soggiorno spagnolo, il C. mostra di preferire generalmente soggetti che si prestano ad una rappresentazione tragica della storia sacra ed umana: la passione di Cristo gli ispira dodici idilli a fosche tinte, nei quali l'autore traccia l'itinerario di una dolente e commossa.Via Crucis; mentre la drammatica situazione, da lui personalmente vissuta, di un'intera cittadinanza sconvolta per l'epidemia, ispira Lapeste del 1630. L'opera, senza dubbio tra le più significative del C., presenta un quadro impressionante di Milano in preda alla pestilenza, alla conseguente, miseria e allo scatenarsi di innumerevoli soprusi e violenze, determinati dal generale stato di confusione.
Il prologo della tragedia è recitato da Milano in persona. Subito dopo il C. colloca la scena in porta Tosa e sviluppa alcune esili trame narrative, delle quali la prima e più importante è quella del giovane bolognese Casimiro giunto a Milano per visitare un amico e sorpreso dalla peste, il quale, dopo aver acquistato un medicamento per l'amico infermo, viene fermato dagli sbirri e scambiato per un untore. Inseguito dalla polizia, egli si traveste da facchino ed assiste, non riconosciuto, alla morte dei suoi persecutori, finché turbato da tanti orrori, decide di farsi frate. Parallela a questa prima vicenda si svolge la storia della giovane e ricca Quirina, rimasta orfana dei padre vittima della peste. Il commissario vorrebbe condurla al lazzaretto, ma la fanciulla si rifiuta ed ottiene di essere rinchiusa nella sua casa; in seguito, stanca della solitudine, si fa aprire da un monatto, tocca alcuni oggetti infetti e, ammalatasi, muore miseramente. Infine nel caso della bella e procace Ginepra che, guarita dalla peste e rimasta sola al mondo, è costretta a prostituirsi per sopravvivere, il C. esamina con notevole spregiudicatezza la condizione femminile del tempo. Una penetrante analisi della società contemporanea rivelano, inoltre, le numerose scene corali, in cui sono ritratti bizzarri scienziati, medici e astrologi, popolane schiette e pronte, loschi sciacalli di strada.
L'attenzione che alcuni studiosi hanno rivolto alla tragedia del C. non è motivata unicamente dai dati.che essa attendibilmente fornisce sulla peste a Milano (e come tale venne studiata e ricordata dal Manzoni), ma anche dal modo nuovo con cui l'autore concepisce il teatro edificante: l'intento moralistico di rappresentare il luttuoso avvenimento della peste per incitare gli uomini alla penitenza e alla preghiera si avvale infatti di un vasto, popolare affresco della Milano secentesca, che rimane impresso nella memoria.
Non si conosce la data della sua morte, che dovette probabilmente sopraggiungere dopo il 1635, perché l'ultima notizia relativa al C., contenuta in un documento dell'Archivio di Stato di Milano (cart. 607, Conventi), loricorda in qualità di priore del convento della Pace alla data del 2 luglio 1635.
Bibl.: L. Allacci, Drammaturgia, Roma 1666, pp. 7, 128, 361, 505; F. Picinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, pp. 80 ss.; F. Argelati, Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, I, Mediolani 1745, col. 433; F. Forcella, Milano nel sec. XVII, Milano 1898, p. 99; L. Wadding, Scriptores Ordinis minorum, Romae 1906, p. 40; A. M. Pizzagalli, Fra B. C. e il Manzoni, in Convivium, IX (1937). pp. 158-170; F. Doglio, Il teatro tragico ital., Parma 1960, pp. XCV-XCVII; A. Manzoni, Appendice storica su la colonna infame, in Tutte le opere, a cura di A. Chiari-F. Ghisalberti, II, 3, Milano 1968, p. 704; Storia della letter. ital., a cura di E. Cecchi-N. Sapegno, V, Milano 1970, pp. 575-580; C. Jannaco, Il Seicento, Milano 1973, p. 368.