CAPRA, Benedetto (Benedictus de Benedictis de Perusio, Benedictus Perusinus, Benedictus Philippi, Benedictus ser Philippi, Benedictus Capra alias Capramorta, Benedetti Benedetto)
Nacque a Perugia nell'ultimo decennio del secolo XIV, primogenito del notaio Filippo; non è conosciuto il nome della madre. Il suo avo Benedetto "Peri Benincase", che era stato soprannominato "Becello", era originario di Migiana di Monte Tezio, nell'estremo contado di Porta S. Angelo, e aveva ottenuto la cittadinanza perugina, con i fratelli Marino e Ceccarello, nel 1371 per aver prontamente pagato una imposta straordinaria del Comune.
L'ascesa sociale della famiglia è confermata dal fatto che, ottenuta la cittadinanza e insieme l'iscrizione nel catasto della parrocchia di S. Fortunato, borgo di Porta S. Angelo (1379), fuori della cerchia muraria antica, poco dopo il nucleo familiare risulta stabilmente insediato nella parrocchia di S. Donato, all'interno della "civitas" (1384). Il processo d'integrazione sociale di questa famiglia montanara si conclude perfettamente entro l'arco di due generazioni: "Becello" un figlio notaio, Filippo (padre del C.), un nipote professore nello Studio (il C. stesso) e un altro notaio, Piergiovanni (fratello del C.); Tancio (da non confondersi con suo fratello Costanzo), un altro figlio di "Becello", ha sei figli, tra cui due notai (Benedetto e Tezio), uno professore (Giacomo) e due speziali (Antonio e Simone), tutti cugini del C.; non fa meraviglia che fra tanta parentela le fonti private e addirittura quelle ufficiali qualche volta siano incorse in errore, specialmente nell'indicazione dei patronimici.
Intorno al 1445 questa famiglia assunse il cognome "de Benedictis" con il quale il C. e i suoi parenti intesero consolidare la loro posizione sociale, facendo dimenticare le umili origini. Benedetto, tuttavia, appare più frequentemente indicato nelle fonti con il soprannome di Capra a partire dal 1447(cod. 209 della Capitolare di Lucca). Tale soprannome, spiegato dalla più tarda tradizione perugina (Frollieri) con un difetto della voce (spiegazione che però non giustifica l'altro nomignolo di Capramorta con cui il C. è indicato nel cod. 441 della suddetta biblioteca), si trasformò successivamente in cognome dei discendenti del C. (Bini). Lo stemma assunto dal C. nel 1447 (scudo sagomato e banda con tre monti a sei cime) si osserva ancora sull'architrave della porta d'ingresso di quella che fu la sua casa, all'altezza del numero civico 6 di via delle Prome.
Quasi del tutto sconosciuto è il periodo della formazione giovanile e degli studi giuridici del C., che figura per la prima volta come giudice del Comune di Perugia "super comuni dividundo" nel semestre aprile-settembre 1420. Ma se il fratello Piergiovanni ottenne il privilegio del tabellionato nel 1416, tenuto conto della maggiore lunghezza del "curriculum" degli studi di diritto civile e canonico in confronto di quello del notariato, si potrà assegnare al periodo tra il 1416 e il 1420l'anno in cui conseguì la laurea in utroque, forse a Bologna sotto il magistero di Giovanni da Imola, di cui il C. ricorda l'insegnamento in una lettera del 1458 all'amico e compagno di studi Giovanni Guidoni. Gli stessi titoli delle opere del C., che ripetono fedelmente quelli del canonista imolese e i riferimenti frequentissimi all'autorità di lui da una parte, la cronologia dell'insegnamento bolognese di Giovanni, certa solo per il periodo indicato, dall'altra, potrebbero confermare l'ipotesi suddetta.
L'attività del C. dal 1420 al 1470 è testimoniata da innumerevoli fonti perugine, specialmente per quanto concerne gli incarichi ricoperti nel Comune, i quali, in genere, non potevano ripetersi prima di tre anni: dodici volte fu giudice "super comuni dividundo", sette volte consultore degli officiali del catasto e sette dei conservatori della moneta, cinque volte consultore dei direttori del Comune (che giudicavano sull'equità delle imposte e sulle vertenze in occasione di appalti pubblici) e cinque dei massari, quattro volte consultore dei sindaci del podestà (o del bargello o del maggior sindaco), trascurando altri uffici minori ricoperti una o più volte e le sostituzioni o "surrogazioni" di colleghi assenti o defunti. Non è facile, o è senza altro fuori posto, attribuire significato politico a certe mansioni, come quella di capitano di Parte guelfa, quando il contenuto di tale ufficio, sotto l'aspetto politico, era solo un ricordo nel governo tutto aristocratico e clericale della Perugia del sec. XV. A guardare bene, il C. fu un cittadino e uno studioso ligio a tutti i governi, fuori della mischia politica, fortunato con la signoria di Braccio da Montone, sotto cui ebbe inizio la sua carriera di docente, e con Martino V dopo il ritorno di Perugia alla Chiesa, come anche nel periodo successivo, che vide la breve signoria del Piccinino e poi quella più o meno scoperta dei Baglioni.
Nell'ottobre del 1422 dovette iniziare quella sua lunghissima attività di professore, "legum doctor", nella università di Perugia, che si protrasse ininterrottamente quasi per un cinquantennio; infatti il 19 luglio 1423 è registrato il pagamento della seconda rata del salario assegnatogli: 15 fiorini d'oro; dunque, in tutto, 30 fiorini annui. Un modesto e regolare inizio, se si considera che in quello stesso elenco Ludovico da Imola, alla fine della carriera, figura con 190 fiorini. Tuttavia, la sua dottrina fu conosciuta e si affermò ben presto, quando i monaci olivetani lo chiamarono come consulente nella spinosa questione per l'eredità di Francesco di Puccio ad essi contestata dalla vedova Nina. Il C. ebbe come avversario Matteo Feliziani, affermato giurista dello Studio perugino. Nel 1427 fu poi eletto priore del Collegio dei giudici, mentre suo fratello Piergiovanni era eletto priore del consorzio dei notai.
Con eguale costanza e impegno attese alla professione di docente, deciso ad emergere tra lo stuolo di civilisti e canonisti dello Studio, molti dei quali affermatissimi. La produzione scientifica del C. data dal 1426 (secondo la testimonianza del ms. 373/3 della Bibl. Classense) con la Lectura super Sexto, divisa in due parti, secondo la tradizione scolastica (la prima parte comprendente i primi due libri del Sesto, la seconda gli altri tre, come meglio appare dal corso del 1431, tramandatoci dai mss. 34-35 della collegiata di S. Felice di Gerona).
Fino a tutto l'inno accademico 1437-1438, il C. continuò a leggere il Sesto, con ogni probabilità; nell'elenco dei salari di quest'anno gli si vede attribuita la somma di 20 fiorini, 10 in meno di quella del 1423 e 75 in meno di quella del 1431. Nessuna fonte spiega la ragione di tale vistosa diminuzione. Se, infatti, tra il settembre del 1430 e l'ottobre del 1433 il suo nome non figura nel libro degli "Offici" del Comune, tuttavia il ritmo degli incarichi affidatigli diventa intensissimo dal 1434 e tenderà a rallentare solo con la vecchiaia.
Nel 1438 ottenne la cattedra, con la lettura de mane, delle Decretali, che sarà sua fino alla morte, e passò allo stipendio di 120 fiorini annui. (L'insegnamento del diritto canonico a Perugia al tempo del C., era articolato in tre letture de mane delle Decretali, certamente le più prestigiose, con due letture de sero, tenute generalmente dai principianti; tre professori leggevano, poi, il Sesto e due le Clementine, di sera; al Decreto era riservata solamente una lettura, anche questa di sera).
Nel 1444 nacque una controversia tra i professori dello Studio perugino, tra cui il C., e il Consiglio dei dieci che si opponeva all'aumento di stipendio a quelli, concesso dalla Camera apostolica. Il C. fu allora sul punto di trasferirsi a Ferrara. Risolto il contrasto con i docenti dell'università cittadina, i Dieci riuscirono a persuadere il C. a non lasciare Perugia.
Il periodo compreso tra il 1447 e il 1469 è quello più intenso per l'operosità scientifica del Capra. La cattedra delle Decretali, la professione di consulente e l'avvocatura dello Stato, insieme con altre numerose incombenze, lo impegnarono in una produzione varia e continua. Nel 1443-44 leggeva il secondo libro delle Decretali; nel 1447 era al terzo (De vita et honestate clericorum), che commentava durante la quaresima fino al titolo 31 (De regularibus), mentre il suo collega e concittadino Filippo Franchi svolgeva il resto (secondo la testimonianza di Corrado Ranieri da Gualdo Tadino nel cod. 209 della Capitolare di Lucca). Dal gennaio 1450 al marzo del 1452 lesse tutto il primo libro; del 1459 è il commento al terzo libro, dal titolo 24 (De donationibus). Non hanno datazione certa le letture degli altri libri delle Decretali, pur tramandate da vari manoscritti. Negli anni 1455-57 scrisse i Tractatus varii iuridici, secondo il titolo del cod. 441 della Capitolare di Lucca. Una nuova lettura dei libri III-V del Sesto, secondo il cod. Barb. lat. 1656, il C. avrebbe eseguito nel biennio 1468-70; ma la notizia sarebbe in contraddizione con quella del Diplovataccio, che nel 1469 assegna al C. la lettura della prima parte delle Decretali fino al titolo De iudiciis (II, 1). Tra il 1455 e il 1463. stando ai dati occasionali forniti dall'opera, scrisse i 166 Consilia utilissima ac cotidiana super materia ultimarum voluntatum, conformemente al titolo dell'edizione perugina del 1477, fatta preparare e stampare dal figlio Filippo.
Nello stesso tomo di anni si andò consolidando la posizione del C. all'interno della classe politica perugina. Nel 1451, scaduto dall'ufficio di giudice del Comune, fu eletto consultore dei conservatori della moneta e poi degli officiali del catasto; nel novembre fu nominato "recordator publice utilitatis", ufficio straordinario e delicatissimo istituito nel 1428, con il quale si stabiliva che una commissione di cinque integerrimi cittadini doveva collaborare con i Dieci nell'esame dei problemi più difficili e urgenti dello Stato.
Nel 1453, difese, con altri giuristi dello Studio perugino, l'abbazia di S. Pietro, accusata da mercanti e finanzieri cittadini di manomettere il patrimonio monastico con disinvoltura, trascurando le disposizioni canoniche, in seguito ad una operazione di alta finanza conclusa dai monaci che avevano alienato immobili poco redditizi siti a Perugia e acquistato case e botteghe a Firenze.
Riconfermato nel 1455, 1456 e 1459 nella carica di avvocato del Comune, il C. nel maggio 1458 fu chiamato dai Dieci a presiedere, con Giovanni Montesperelli, una commissione di studio per la riforma degli statuti della città. L'iniziativa era stata presa dietro esortazione del celebre predicatore dell'Osservanza, fra' Cherubino da Spoleto. Costui, insieme con due giuristi (Pietro degli Ubaldi e Bartolomeo Schiatti), due procuratori, due notai, e il cancelliere del Comune, Girolamo Ronchi da Faenza, doveva riferire le proposte e le discussioni degli esperti al C. e al Montesperelli; senza il parere e il consenso di costoro nulla si sarebbe potuto decidere. Ma. molto probabilmente l'iniziativa rimase allo stato delle buone intenzioni perché le fonti non vi fanno più riferimento. Essa è, comunque, un indizio della crisi della vita politica cittadina, crisi che sfocerà nei disordini dell'anno successivo.
Un altro campo vastissimo alla dottrina del C. si offrì in Perugia in seguito alla fondazione del Monte di pietà, nel 1462. L'istituto, promosso dai francescani dell'Osservanza in collaborazione col Comune, che stanziò 3.000 fiorini, come capitale di fondazione, incontrò, sul piano dottrinario, tenacissime opposizioni; varie difficoltà, inoltre, protrassero l'inizio dell'attività creditizia fino al 25 febbr. 1463. Una settimana prima, la commissione comunale appositamente nominata e composta di quindici cittadini, tra cui il C. e l'altro giurista Della Cornia, fissò il tasso d'interesse nella misura del 10%, disposizione fatta propria dal vescovo Vannucci in un decreto emesso due giorni dopo e nel quale venivano esposti in nuce tutti gli argomenti che legittimavano moralmente quel tasso. Quegli argomenti saranno ripresi in seguito da tutti i giuristi, compreso il C., nei loro innumerevoli "consilia" scritti in difesa del nuovo istituto. Anche nel 1466 il C. fu chiamato a giudicare sulla validità di una riformanza con cui i Dieci, nel novembre del 1465, avevano creato una filiale del Monte di pietà, derogando arbitrariamente ai capitoli dello statuto del Monte stesso. Anche in questo caso il C. fu presidente di una commissione di giuristi, formata dai suoi ex discepoli e colleghi Baldo Bartolini, Pietro degli Ubaldi e Pierfilippo Della Cornia. La esperienza acquisita in materia, l'amicizia con alcuni francescani, come il concittadino fra' Fortunato Coppoli e s. Giacomo della Marca, la fama e l'autorità di canonista (dopo la morte del Montesperelli, nel 1464, il C. era il decano del Collegio dei giuristi dello Studio) lo convinsero a scendere nella grande polemica che in quegli anni si accese in Italia, rimbalzando dalle cattedre delle università ai pulpiti delle chiese e delle piazze, sulla liceità dell'interesse nelle operazioni bancarie del Monte di pietà. Tra il 1463e il 1469scrisse due consigli sull'argomento, uno dei quali sembra perduto; sottoscrisse quelli dei colleghi, che a loro volta sottoscrivevano i suoi.
Tale molteplice attività di scrittore e controversista non lo distolse da altri numerosi impegni, sia come avvocato del Comune sia come cittadino eminente, acui si ricorreva per aiuto, consiglio e collaborazione. Nel 1463 dovette difendere il Comune in una difficile e lunga vertenza con il priore di Roma dell'Ordine di S. Giovanni, fra' Battista Orsini, spalleggiato dal governatore di Perugia. Ricorsero a lui nel medesimo anno di nuovo i benedettini di S. Pietro per ottenere da Pio II la restituzione di un ricco beneficio dell'abbazia, rimasto vacante per la morte del cardinale Alessandro Oliva; la Repubblica di Lucca lo consultò, nell'autunno del 1465, per una questione di rappresaglie. A questo lavoro vanno aggiunti gli uffici che, con ritmo incessante, gli cadevano sulle spalle dalle "borse" del Comune: consultore dei direttori nel 1463 e 1464, dei conservatori della moneta nel 1465 e 1466, giudice nel 1467.
Una tale laboriosità, un tale cumulo di incarichi retribuiti, l'insegnamento (dal 1462almeno percepiva 190 fiorini all'anno), e l'intensissima attività di consulente privato, riversarono sul C. una ricchezza ingente, di cui fu saggio amministratore, coadiuvato dal figlio Filippo, mercante (che era nato come Felice, Veronica, Marsia e Caterina dal suo matrimonio con Costanza di Filippo "Iacobi" avvenuto tra il 1430e il 1433). Il catasto, che egli ebbe personale dopo la separazione dal fratello Piergiovanni nel 1450, le carte di alcuni notai che lavorarono lungamente per lui e altre fonti documentarie danno la possibilità di conoscere il volume di affari che egli trattò nel periodo di oltre 50 anni. Dotate le quattro figlie, che al momento dell'anello rinunziavano regolarmente a tutti i diritti in favore del fratello, il capitale immobiliare verso il 1470 era stimato per un imponibile di oltre 7.000 lire, certamente uno dei più cospicui della Perugia del Quattrocento. Il nucleo principale delle proprietà era costituito dai fondi di Monte Tezio, luogo d'origine della famiglia, ma il patrimonio, aumentando aveva messo salde radici sia in città sia nel contado circostante. Il figlio Filippo fu l'organizzatore espertissimo d'una economia ad alto livello di rendimento per le varie possibilità di scegliere le forme migliori d'investimento del danaro, con scambio continuo tra agricoltura e commercio. Le forme più comuni della conduzione agricola furono per il C. l'affitto e la mezzadria; in città acquistava case e fondaci, concessi poi in locazione ad artigiani e mercanti; somme piccole e grandi erano impegnate in operazioni lucrose con la tesoreria della Camera apostolica, con gli appaltatori delle varie gabelle, delle "comunanze", e con altri operatori economici. La trama fittissima degli affari s'intreccia (e qualche volta si scontra) con quella della vasta parentela, originaria o d'acquisto, ma in ogni caso agganciata alla classe aristocratica, borghese o intellettuale di Perugia. In conclusione, la situazione economica della famiglia del C. non sembra aver conosciuto crisi e fu sempre in graduale e sicura espansione.
Nel pieno dell'attività di docente di consulente pubblico e privato, di uomo d'affari, di cittadino tra i più in vista, la morte lo raggiunse, forse improvvisamente, il 3 genn. 1470. Fu sepolto nella chiesa di S. Agostino, dove non esistono più tracce della tomba che gli fu riservata.
Qualche autore ha dubitato della data suddetta, a ciò indotto dalla incertezza del Diplovataccio. Ma la notizia, tramandata da chi gli fu discepolo devoto, è confermata dalle fonti ufficiali perugine. Il C., infatti, era stato consultore del catasto nel semestre aprile-settembre 1469 e "insaccolato" per l'ufficio di avvocato del Comune. Quando, il 21 ott. 1470, fu estratto il suo nome, l'addetto alla cancelleria provvide subito a notare l'avvenuta sostituzione "per mortem".
L'opera scientifica del C. nel campo giuridico-canonistico, quanto più stimata e famosa nei secoli XV e XVI, altrettanto è stata dimenticata nei secoli posteriori, fino a sopravvivere solo nei repertori di erudizione giuridica e letteraria. Verso l'inizio del sec. XX il Gierke tornava a dare grande risalto al C. nell'ambito dei maestri del diritto pubblico medievale. Più recentemente, il Curcio ha fatto del C. addirittura un "giusnaturalista radicale", senza avvertire che se nel contenuto il giusnaturalismo del giurista perugino non è diverso, grosso modo, da quello dei maestri del Rinascimento, nei presupposti etici e teologici c'è un abisso tra le due concezioni del diritto naturale.
Opere. La ricognizione dei codici e delle edizioni a stampa delle opere del C. che qui segue non è completa se non per i quattro gruppi di manoscritti della Biblioteca Apostolica Vaticana, della Capitolare Feliniana di Lucca, della Bibl. del Collegio di Spagna di Bologna - le tre raccolte più ricche - e per quello della Comunale di Perugia. Il Mazzuchelli parla di codici esistenti al suo tempo nella Bibl. Colombina di Siviglia, ma essi non figurano nel catalogo a stampa di cui ora si dispone; non si ha notizia, altresì, di altri codici già in possesso, sempre secondo il Mazzuchelli, di Antonio Agostini arcivescovo di Tarragona. Parimenti, non si trova più nel Collegio di Spagna di Bologna il cod. 114 segnalato dal Mazzuchelli. Per la compilazione dell'elenco circa le opere concernenti il Corpus iuris canonici, si è seguito l'ordine cronologico che si può desumere dai manoscritti datati.
Apparatus in Sextum Decretalium, prima parte (lib. I-II): Gerona, Biblioteca della collegiata di S. Felice, cod. 34 (già Seminario 163); Lucca, Biblioteca capitolare Feliniana, cod. 278, seconda parte Gib. III-V); Gerona, Biblioteca della collegiata di S. Felice, cod. 35 (già Seminario 164; cfr. J. Janini - J. M. Marqués, Manuscritos de la Colegiata de San Félix de Gerona, in Hispania sacra, XV[1962], p. 426); Bibl. Ap. Vat., cod. Vat. lat. 11501(cfr. J. Ruysschaert, Codices Vaticani latini 11414-11709, Città del Vaticano 1959, pp. 144-46); Barb. lat. 1656; Lucca, Bibl. cap. Feliniana, cod. 210, Perugia, Bibl. comunale, cod. 2827 (cfr. P. O. Kristeller, Iter Italicum, II, p. 62; prima e seconda parte (lib. I-V): Bologna, Bibl. del Collegio di Spagna, cod. 116 (incompleto); Ravenna, Bibl. Classense, ms. 373/3.
Lectura(recollectio, reportatio)super libris Decretalium, lib. I: Bibl. Ap. Vat., Vat. lat. 4914; Lucca, Bibl. capitolare Feliniana, cod. 208; Bologna, Bibl. del Collegio di Spagna, codd. 84, 113; Napoli, Bibl. nazionale, cod. XIII. A. 19; lib. II: Bibl. Ap. Vat., Vat. lat. 4915, 2282; Barb. lat. 1416; Chig. E. VII. 209 (tit. 19 "De probationibus"); Bologna, Coll. di Spagna, cod. 86; Napoli, Bibl. nazionale, cod. I.A. 19; lib. III: Lucca, Bibl. capitolare Feliniana, cod. 209; Roma, Bibl. Casanatense, cod. 461 (già D.I.3; cfr. Catalogo dei manoscritti della Bibl. Casanatense, a cura di C. Moricca Caputi, V, Roma 1958, p. 96); Bologna, Collegio di Spagna, codd. 85, 86 e 115; Napoli, Bibl. nazionale, cod. VII. D.76; lib. IV e V: Bologna, Collegio di Spagna, cod. 115 (contiene anche il lib. III).
Lectura super Clementinis, lib. I-V: Lucca, Bibl. capitolare Feliniana, codd. 210 e 211; lib. II e III: Bologna, Bibl. del Collegio di Spagna, cod. 86 (incompleto); Napoli, Bibl. nazionale, cod. VII.D.77.
In Titulum "De iudiciis"et capitulum "Quintavallis": Lucca, Bibl. capitolare Feliniana, cod. 375; Perugia, Bibl. comunale, cod. 48 (A 48), cc. 171ra-193v; Napoli, Bibl. nazionale, codd. IV.H21 e VII.D.76.
Tractatus varii iuridici (Decretales II, 22-30: De fide instrumentorum,De praesumptionibus,De iureiurando,De exceptionibus,De praescriptionibus,De sententia et re iudicata,De appellationibus,De clericis peregrinantibus,De confirmatione): Bibl. Ap. Vat., Barb. lat. 1419; Lucca, Bibl. capit. Feliniana, cod. 441; Perugia, Bibl. com. cod. 48 (A 48)2 cc. 1ra-171ra (cfr. A. Bellucci, Invent. dei manoscritti della Bibl. di Perugia, V, Forlì 1895, p. 220). Consilia: Bibl. Ap. Vat., cod. Vat. lat. 2640, c. 37rv; Ott. lat. 1598. cc. 17r-18r; Ott. lat. 1726, cc. 208r-210v; Ott. lat. 1727, cc. 24r-25r, 120r-124r, 147r-150v, 159rv; Urb. lat. 1132 (Cfr. C. Stornajolo, Codices Urbinates latini, III, Città del Vaticano 1921, p. 166); Vat. Ross. XI, 207, c. 226r; Barb. lat. 1396; Bologna Bibl. del Collegio di Spagna, cod. 81, cc. 89r-91r, 97r-100r; Perugia, Bibl. comunale, cod. C 54, cc. 1r-5v, 7r-8v; cod. 1007, cc. 60r-68v (cfr. Bellucci, Inventario, cit., p. 120); Ravenna, Bibl. Classense, cod. 485/2 (13 consigli); cod. 485/6 (un consiglio); Spoleto, Arch. capit., Liti e questioni, 1, fasc. 7; Napoli, Bibl. naz., codd. V.H.8 e VII.D.77.
Edizioni: Conclusiones,regulae,tractatus et communes opiniones, a cura di Desiderio Guidone Ascolano, Venetiis, apud Comminum de Tridino, 1568 (dell'opera, in due volumi manoscritti, l'Ascolano dichiara di pubblicarne, emendato, uno soltanto); Repetitionum ad Constitutiones Clementis papae V, vol. VI, Venetiis, apud Iunctas, 1587; Thesaurus communium opinionum et conclusionum, Francofurti, Sigmund Feyerabendt, 1584; Consilia utilissima ac cotidiana super materia ultimarum voluntatum, Perugia, Johan Wydenast e compagni, 27 giugno 1476; Pavia, Franciscus de Guaschis, 27 settembre 1498 (cfr. Gesamtkatalog der Wiegendrucke, III, n. 3815; Indice generale deli incunabuli delle Biblioteche d'Italia, I, n. 1452; G. Ricciarelli, I prototipografi in Perugia. Fonti documentarie, in Boll. della Deput. di storia patria per l'Umbria, LXXVII[1970], 2, pp. 99-103, dove dimostra che non il Wydenast, ma Giovanni di Giovanni da Augusta è lo stampatore dell'edizione perugina). Altre edizioni: Venetiis, apud Philippum Pincium Mantuanum, 1501; Lugduni 1556; Venetiis 1576 (con i "consilia" di Ludovico Bolognini).
Fonti e Bibl.: Arch. Segr. Vat., Diversorum cameralium 12, c. 146v; Vat. lat. 9265: G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, cc. 291v, 292v; Archivio di stato di Perugia, Offici 7(1418-1432), cc. 9r, 12r, 15v, 33r, 40r, 44r, 57r, 75r, 80r; 8 (1433-1444), cc. 6v, 14r, 17r, 19r, 21v, 38r, 39r, 43v, 44v, 51v, 52r, 54v, 59v, 64v, 75v; 9 (1444-1455), cc. 4v, 9r, 25r, 27r, 39r, 48r, 49v, 64r, 73v, 75r, 77r, 111rv; 10 (1455-1466), cc. 24r, 31v, 72r, 88v; 11 (1466-1476), cc. 5v, 23r, 20, 38r; Consigli e riformanze 69 (1432-1433), c. 231r; 73 (1437), c. 104r; 74 (1438), cc. 14r, 43r,59r, 64v; 78 (1442), c. 144r; 80 (1444), cc. 120v, 121r, 129r, 137r; 81 (1445), cc. 16v-17r; 82 (1446), cc. 35v-37r, 76rv, 78rv; 92 (1455), c. 23r; 92 (1456) c. 32v; 95 (1459), c. 7rv; 99 (1463), cc. 21v-22v, 105rv, 106r, 112v-113v; 102 (1466), c. 82rv; 106 (1470), c. 62v; Catasti I, 23, cc. 100r-104v, 220r, 294r, 301r, 307r, 444; 25, c. 158v; Conservatori della moneta 68, c. 2r; 69, c. 2v; 73, c. 9v; 74, c. 9v; Camera Apostolica 1, cc. 79r, 102v; 9, cc. 3v, 35rv; 15, c. 146r; Iura diversa (1400-1450) carta sciolta datata 29 ott. 1427; fasc. 1, 19 dic. 1439; Notarile, not. Angelo d'Antonio, prot. 230, cc. 8v-9v, 81v, 91r, 98v, 106v, 121rv, 146rv, 149v-151r, 236r, 237r, 254v, 256v, 273r, 275r, 293r, 385rv; bastardello 263, cc. 1ry, 19rv, 20rv, 26r-28r, 91r, 94r; bast. 264, cc. 4v-5r, 17r, 28rv, 32v-33r, 100v; bast. 265, cc. 14rv, 67ry, 72v-73r, 108rv, 175rv; notaio Matteo Nardi, prot. 324, c. 62rv; notaio Simone di Giovanni, prot. 270, c. 28v; notaio Agostino di Luca, prot. 256, c. 4v; 257, c. 104rv; notaio Tolomeo di Niccolò, prot. 403, cc. 185r-186r; Corporazioni relig. soppr., Monte Morcino, cass. 7, mazzo 45, n. 49; Perugia, Biblioteca com., cod. 63 (B 7): Memorie di Girolamo Frollieri, cc. 53v-54r; cod. 1344, c. 80r; Ibid., Archivio di S. Pietro, pp. 203: E. Agostini, Famiglie perugine, cc. 130-236v; ms. 220: Id., Dizion. perugino storico, pp. 435-37, Donationum C (PD 4), p. 583; Donationum Z (P D 24), p. 1064; Donationum I(P D 10), c. 573v; T. Diplovataccio, De claris iuris consultis, a cura di F. Schulz-H. Kantorowicz-G. Rabotti, in Studia Gratiana, X (1969), pp. 383 s.; G. Gigante, Tractatus de pensionibus ecclesiasticis, Venetiis 1542, c. 72r; G. Panziroli, De claris legum interpretibus, Lipsiae 1721, pp. 175, 195; Matthiae (Matthei) Palmerii Opus de temporibus suis ab anno 1449ad annum 1482, in G. M. Tartini, Rer. Ital. Script., I, Florentiae 1748, col. 250; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital. V, 2, Venezia 1823, p. 455; P. Pellini, Dell'historia di Perugia, Venezia 1664, I, p. 22; II, pp. 538, 594, 643, 671, 847; C. Crispolti, Perugia Augusta, Perugia 1648, pp. 134, 323 s.; A. Mariotti, De' perugini auditori della Sacra Rota Romana, Perugia 1787, p. 206; G. Sardini, Congetture sopra una antica stampa, Firenze 1793 pp. 40 s., 70 s.; V. Bini, Memorie istor. della perugina Università degli studi, Perugia 1816, pp. 267-270; G. B. Vermiglioli, Biografia degli scrittori perugini e notizie delle opere loro, I, Perugia 1828 pp. 206-08; F. C. von Savigny, Gesch. des röm. 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Abbondanza, Roma 1973, pp. 139-42, 302; F. Frascarelli, Nobiltà minore e borghesia a Perugia nel sec. XV, Perugia 1974, pp. 37, 49, 131, 132, 138 ss., 142; Dict. d'Hist. et de Géogr. Eccl., XI, coll. 927 s.; Novissimo Digesto Italiano, II, p. 944.