CAPPELLO, Benedetto
Primo dei cinque figli maschi di Lorenzo di Stefano di Lorenzo e di Pierina di Giovanni Dolfin di Vittore, nacque il 28 dic. 1653 e si sposò il 30 nov. 1672 con Foscarina di Agostino Lando dalla quale ebbe cinque figli: Elisabetta, che andrà sposa ad Angelo Morosini e, poi, ad Andrea Mocenigo, e quattro maschi, tutti chiamati Benedetto Nicolò, distinti solo dall'ordinale.
Capitano di Vicenza dal novembre 1679 ai primi di maggio del 1682, considera "tra le incombenze di questa carica … la più importante ... l'osservatione degl'interessi della camera"; il suo cruccio costante sono perciò i dazi "inafittati", che, in mancanza di "pretendenti", deve assegnare a cifre inferiori rispetto alle precedenti "condotte".
Le frequenti inondazioni dei fiumi obbligano inoltre il C. a "divertire con l'otturatione delle rotte et restauratione de gl'arzeni quei danni che dalla copia abondante de' nevi vengono". Cerca infine di sedare discordie ormai secolari tra gli abitanti dei Sette comuni, non ricusando di intraprendere "sopra quelle alte montagne asprissimi viaggi": si ricordano una sua discutibile sentenza a proposito di una prolungata lite tra Asiago e Valstagna e l'appoggio dato ai tre comuni "grossi" (Asiago, Enego, Lusiana), cui i quattro piccoli (Foza, Gallio, Roana, Roza) contestavano i sei voti loro attribuiti nelle ballottazioni.
Il C. fu quindi dei Dieci savi, e, come commissario ai confini, definì assieme ai rappresentanti imperiali la linea di demarcazione nel Friuli orientale tra terre venete e arciducali. Lo stampatore Giuseppe Prosdocimi dedicò a lui, savio di Terraferma, La Morea combattuta dall'armi venete,con li successi in Levante nella campagna 1686 (Venetia 1686) di un non meglio precisato D.P.B.F. Nel 1698 sostenne, di contro a Nicolò Michiel, l'opportunità di concedere la grazia, richiesta dall'imperatore, al cardinal Vincenzo Grimani, privato della nobiltà; e la sua tesi, basata su argomentazioni di mera convenienza, convinse la maggioranza dei senatori.
Scoppiata in Europa la crisi per la successione al trono di Spagna, Venezia divenne immediatamente oggetto di pressioni, cortesi nella forma minacciose nella sostanza, da parte francese e imperiale: si voleva la sua adesione a un'alleanza o, almeno, la possibilità di poter disporre liberamente delle sue terre e del suo mare, entrambi essenziali alle operazioni di guerra.
Il Senato scelse il C., allora savio del Consiglio, come proprio portavoce nei colloqui semiufficiali coll'inviato asburgico e con quello francese, giunti entrambi, formalmente in incognito e senza una precisa veste, all'inizio del 1701 a Venezia. Col primo, il cardinale Giovanni Filippo di Lamberg, il C. si incontrò due volte, il 29 e il 30 gennaio, in casa di tal "Chedeler mercante alemano", presso il quale il prelato aveva preso alloggio.
Dopo un giudizio scettico sulle velleità mediatrici del papa, il Lamberg consegnò al C. una lettera dell'imperatore ove chiedeva a Venezia di negare le piazze d'armi e lo stanziamento di truppe ai Francesi, e di respingere qualsiasi forma d'allenza con questi. Il giorno dopo il C., a nome del Senato, ribadì la fiducia della Repubblica nella mediazione papale, il suo desiderio di pace, la volontà di mantenere le buone relazioni coll'Impero; e con cortese elusività si sottrasse ad ogni parola impegnativa, insistendo sull'inutilità di accordi vincolanti dato che il conflitto, grazie ai buoni uffici di Clemente XI, si sarebbe evitato.Ben più frequenti e prolungati gli incontri col fiduciario di Luigi XIV, il cardinale Cesare d'Estrées che, col falso nome di abate di Rivalta, dimorava al convento dei Frari; iniziati il 5 febbraio durarono sino al settembre del 1702.
Mentre al Lamberg furono sufficienti due colloqui, pago di essere in qualche maniera garantito sull'estraneità di Venezia, il d'Estrées si trattiene a lungo perché venuto con intenti molto più ambiziosi: indurre Venezia ad allearsi, pubblicamente o segretamente, con la Francia, oppure, in via subordinata, convincerla ad entrare in una lega difensiva formata dagli Stati italiani e presieduta da Clemente XI. Dal canto suo assicurava che al proprio sovrano erano totalmente estranei interessi territoriali in Italia. Il C., al solito, evitava di dire alcunché di preciso, irritando a volte l'impetuoso cardinale che invano chiedeva parole meno vaghe: "io ho benissimo inteso la risposta - prorompeva il 21 febbr. 1701 -, ma questa è oscura ed oracolo. Qual'interpretatione doveva darle il Re?". Né certo lo placava l'astuta replica del C.: "Sua Eminenza m'insegnava che a me non è lecito interpretare li sensi del mio Prencipe, che il far comento sopra li medesimi... sarebbe delitto".
Appressatasi intanto minacciosa la guerra, il comandante delle forze francesi in Italia, maresciallo Tissé, si recò a Venezia, ove pose, col procurator Foscarini, le basi d'un accordo, concluso poi dal d'Estrées col C., in merito alle condizioni della presenza delle sue truppe in terra veneta. Coll'inizio delle operazioni militari le conversazioni del cardinale col C. proseguirono, senza molto frutto: continue insistenze perché Venezia si impegni da un lato, complimentose risposte, ma sempre negative, dall'altro. Si aggiunsero motivi di reciproche lagnanze: il C. ad esempio protesta per l'occupazione di Palazzolo nel Bresciano e il d'Estrées si adira per il libero transito, nell'Adriatico, di imbarcazioni con per gli Imperiali, giustificando nel contempo l'ingresso di fregate regie per impedirlo. Ma per quanto si sforzi non smuove il Senato dalla neutralità; anzi, dopo la vittoria di Eugenio di Savoia a Carpi sul Catinat del 9 luglio 1701, il partito imperiale guadagna nuove simpatie tra i senatori. Così, richiamato da Luigi XIV che lo invia, come proprio rappresentante presso Filippo V, il d'Estrées abbandona Venezia nell'autunno del 1702, amareggiato dalla sostanziale inutilità delle sue pressioni.
Il C. morì a Venezia, il 23 maggio 1701 per un attacco di gotta. Dall'inventario del 14 giugno risulta possessore di un palazzo riccamente arredato a S. Salvador, di proprietà nel Veronese e di circa 3.500 "campi" nella zona di Loreo.
Fonti e Bibl.: Le lettere inviate dal C. da Vicenza, Archivio di Stato di Venezia, Senato. Vicenza e Vicentin, filze 59, 60e Capi del Consiglio dei Dieci. Lettere di rettori e di altre cariche, buste 233, 234; Ibid., Avogaria di Comun, 60, c. 74r; 93, c. 65v; 159; Ibid., Giudici di petizion. Inventari, busta 400 n. 16; lettere del C. in Venezia, CivicoMuseo Correr, mss. P. D. C. 1067/222, 611; Die Relationen der Botschafter Venedigs über Deutschland und Österreich, a cura di I. Fiedier, in Fontes rerum Austriacarum, s. 2, XXVII, Wien 1867, p. 439; Relazioni di ambasciatori sabaudi genovesi e veneti... (1693-1713), a cura di C. Morandi, Bologna 1935, pp. LV, 210-211 n.; F.Nicolini, L'Europa durante la guerra di successione di Spagna…, Napoli 1937-1939, I, p. 388; II, p. 356; III, pp. 148, 330; Id., Vico storico, a cura di F. Tessitore, Napoli 1967, pp. 384 n. 142, 385-88; P. Garzoni, Ist. della Repubbl. di Venezia, Venezia 1719-20, I, p. 786; II, pp. 73-78, 91, 118 ss., 140 s., 233; [B. Bressan], Serie dei podestà e dei vicari della città e terr. di Vicenza..., Vicenza 1877, p. 140; G. Soranzo, Bibl. venez., Venezia 1885, p. 341 n. 4104; C. Frati-A. Segarizzi, Cat. dei codici marc. italiani..., I, Modena 1909, p. 292 n. 153; S. Rumor, Bibl. stor. della città e provincia di Vicenza, Vicenza 1916, pp. 598 n. 6416, 605 n. 6500; G. C. Zimolo, La neutralità di Venezia sul principio della guerra per la successione di Spagna, in Scritti storici in onore di C. Manfroni..., Padova 1925, pp. 238 n., 243-250, 252; Id., Venezia e la campagna del Forbin nel 1702, in Archivio veneto-tridentino, IX(1926), pp. 156-172 passim; Id., Tre campagne di guerra (1701-1703)e la Repubblica di Venezia, in Archivio veneto, s. 5, III (1928), pp. 185-276 passim; G.e P. Zorzanello, Inv. dei manoscritti delle Biblioteche d'Italia, LXXXVII, pp. 14, 87.