CANTALUPO, Benedetto
Nacque a Napoli il 30 maggio 1802 da Serafina Diana e da Francesco; il padre, di cui rimase presto orfano, era "negoziante", ma vantava titoli nobiliari e beni feudali persi nei secoli passati, che il figlio tentò di farsi riconoscere senza successo. Fu avviato agli studi giuridici e amministrativi dallo zio materno, Francesco Diana, ispettore generale delle contribuzionidirette. Impedito dalla debole salute dall'intraprendere la carriera forense, fu colto sul finire degli studi dai moti liberali del 1820, in cui tentò la sua fortuna come "capitano de' legionari", non esitando in realtà, perlomeno stando alla testimonianza del Cagnazzi, a vantare meriti costituzionali pur di trarre da quel rivolgimento un conveniente inserimento sociale. Ma il C. finì per trovare un definitivo inserimento con la reazione borbonica quando iniziò nel 1824-25 la sua carriera di magistrato, "in considerazione de' servizi resi con opera scientifica". Il 23 giugno 1826 veniva nominato giudice del tribunale civile di Lucera (dove subito istituì un'accademia a gloria dei Borboni), il 6 dic. 1827 in quello di Trani; il 29 nov. 1830 passò alla Gran Corte criminale di Lecce, l'anno appresso a Potenza, nel 1832 a Campobasso (dove stenderà una difesa dei diritti rivendicati dalla città). Il 3 maggio 1836 divenne procuratore regio presso il tribunale civile del Molise, stessa carica che esercitò nel 1838 ad Avellino. Fu nuovamente giudice civile in Catanzaro dal gennaio 1840.
Magistrato che però "ambisce tutte le glorie letterarie come oratore come economista come scrittore di pubblico dritto come giureconsulto", la valutazione che si dava di lui negli stessi ambienti ministeriali era quella di un funzionario fedele pervaso peraltro di quella "smania [che] talvolta può far comparire gli uomini leggieri": piovono a decine in quegli anni, e circolano ben orchestrati dalla propaganda governativa, suoi scritti sugli argomenti più disparati, talora di puro carattere didascalico, talaltra di un livello migliore per quanto enciclopedico. È arduo comunque sceverare dalla profluvie apologetica della dinastia, del Genio de' Borboni, e agiografica del cattolicesimo, le stesse opere più significative sul terreno del diritto e dell'economia, segnate come sono anch'esse da un inconfondibile marchio conservatore.
In effetti, il nucleo ideologico maturato, a suo dire, già a 17 anni e che comunque trova la sua espressione compiuta nel Breve cenno della scienza del benessere sociale (Napoli 1825) annotato dal Bianchini, rimarrà inalterato nel Cantalupo. E ciò non tanto per le nove edizioni (di cui una traduzione francese a Torino nel 1854, e un'edizione toscana già nel 1834) che dovranno contarsene, quanto per la matrice culturale e gli scopi dell'opera: il pensiero politico della Restaurazione, segnatamente degli Haller, dei de Bonald, dei Frayssinous, attualizzato al Regno meridionale, combinato colla sua tradizione "sociale" settecentesca su su fino all'etica storica di Vico. Si mira a ridurre "sotto un colpo d'occhio tutte le verità diplomatiche, economiche, morali sviluppate col corso de' secoli" unificandole in "una sola scienza delle tante che riguardano il ben essere sociale". È la reazione antilluministica che qui cerca di recuperare una tradizione non priva di ambiguità e dagli esiti certamente non univoci. L'idea di "benessere" definito sulla scorta di Filangieri è immediatamente collegata con quella di "potere", e finalizzata alla conservazione "dello equilibrio delle risorse e dei rapporti sociali": in una visione tipicamente ancorata ad un modello economico precapitalistico, per il C. "sviluppo" significa solo rafforzamento di questo equilibrio, di risorse e di rapporti sociali.
Si spiega dunque come il governo nel 1823 gli commettesse, e il ministro Tommasi pare approvasse, quel Quadro ed analisi degli atti del governo che costituiscono il sistema finanziero per le Due Sicilie (Napoli 1824) che doveva avere larga diffusione fra i pubblici amministratori; come lo si autorizzasse nel 1838 a tener scuola di diritto pubblico "ne' luoghi ove sarà la sua residenza" (e ne diede lezioni infatti al collegio di Avellino, nel 1841 in quello di Catanzaro, nel '43 nel R. liceo di Salerno, nel '46 all'università di Catania. Il Corso di dritto pubblico era stato pubbl. a Napoli nel 1829); e come la sua prassi giudiziaria venisse sempre più a conformarsi a una concezione della giustizia avvertita sì nella sua "influenza sulla circolazione delle ricchezze" (Sullagiustizia civile nel Sannio irpino e pentrico, Avellino 1839, p. 50), ma interamente configurata come arma di "repressione" il cui dosaggio è nelle mani del governo.
Le posizioni espresse a pro' dell'abolizione della pena di morte, come dell'arresto personale in materia civile, rientrano in quest'orbita. Altrettanto chiaro è il rapporto con l'ideologia nel campo degli studi economici: sostanzialmente chiuso alla recezione del nuovo discorso di teoria economica che veniva dall'Europa (e qui probabilmente trova ragione il distacco e la diversità degli esiti tra lui e il Bianchini, accusato dal C. di "scandaloso plagio" anche in via giudiziaria) il C. non seppe andar oltre la rivendicazione di un protezionismo di maniera anche quando l'intuizione di questioni economiche di grande rilievo non gli fece difetto: si veda la riconduzione dell'arretratezza dell'agricoltura molisana e in genere meridionale alla "nuova situazione commerciale di Europa e del Regno" (Stato economico-morale del Contado di Molise, Campobasso 1834, p. 11); ovvero il timore che un liberoscambismo non limitato da una "benefica reciprocanza" faccia sì che un'industria nascente resti "annientata quando si mette al livello di una industria colossale".
Si era frattanto sposato con Luisa Scarciglia da cui ebbe cinque figli; era stato ammesso alle accademie del Regno, come la Pontaniana, la Peloritana, la Gioenia; tentava le più vaghe coperture intellettuali all'ideologia (Esprit des hommes d'esprit, s.l. [Napoli] s.d. [1842 c.]). Ma nel 1842 si vedeva rinviato come giudice criminale, nella sede di Salerno; il 12 febbr. 1845 trasferito in quella di Catania. È qui che lo coglie l'insurrezione: "offeso nella persona e nella proprietà", è costretto nel febbraio 1848 a fuggire in Calabria, ricoprendo per pochi giorni l'ufficio suo solito di giudice civile a Catanzaro. Malvisto ovviamente dai liberali, si vede esposto agli attacchi di Mondo vecchio e mondo nuovo; il 7 aprile è collocato "in attenzione di destino". Riesce a farsi reintegrare in agosto, ma è destinato alla Gran Corte criminale dell'Aquila seppure con una equivoca formula che gli garantisce "gli onori di giudice di Gran Corte civile".
Il ritorno della reazione borbonica incide su due aspetti della vicenda personale del C.: da un lato, egli riesce finalmente a far ritorno, da magistrato, nella capitale, dove è nominato con decr. 10 dic. 1849 giudice di Gran Corte civile (progredirà ancora: il 30 ott. 1854 a consigliere della Corte suprema di Cassazione, anche se solo nel '57 si vedrà riconosciuto il "soldo di annui Dc. 2.200"); ma, dall'altro, la sua ideologia si vena sempre più di pessimismo, l'epoca contemporanea gli appare "capace di grandi rovine", l'esperienza siciliana lo ha rivelato incapace di mediare tra "antichi feudatari", "ceto medio" e "canaglia". Al di là delle invettive e delle recriminazioni antiliberali, è questa la nota predominante delle sue meditazioni in una forma dialogico-didascalica a lui sempre più congeniale, consegnate ne La piccola cronaca. Venti episodi di storia contemporanea (Napoli 1852). È anche da notare l'accentuarsi dei toni anglofobi, in un intreccio di motivazioni politiche ed economiche che si muovono però ormai in un ambito sempre più angusto, incapace di prospettare una alternativa alla emarginazione del Regno rispetto all'Europa in progresso.
Invano egli cerca ora di attivizzarsi, sforzandosi di credere che la sua vecchia armonia sociale degli interessi gestita dallo Stato possa diventare la "politica di conciliazione" degli anni '50: mette su nel 1850 un periodico politico-storico, L'Eco dell'esperienza;fa ristampare i suoi scritti in una serie intitolata Saggi didascalici; invia al congresso internazionale di statistica di Parigi, come delegato ufficiale del governo, la memoria Sul progresso morale delle popolazioni napoletane (Napoli 1856);mette mano con frequenti viaggi a Parigi al progetto di una edizione completa in francese; soprattutto dà col Sistema governativo delle Due Sicilie dal 1830 al 1848 (Napoli 1855)un efficace compendio di quella che fu la tipica cultura politica borbonica.
Dopo 34 anni di carriera, si ritira dalla magistratura il 7 luglio 1860. E rimarrà consigliere di Cassazione a riposo anche sotto il regime unitario, che certo gli negherà di tenere un corso d'insegnamento alla facoltà giuridica, ma lo lascerà consumare quello che chiamava il suo "viaggio sociale" sino all'ultimo, sino all'utopia reazionaria dell'"organico nomarchico" (sic), "un organico, cioè, che necessariamente si venerasse o subisse da ogni classe, da ogni autorità". Infine, anch'essa significativa di una parabola, lo sbocco del suo cattolicesimo in una sorta di autoflagellazione politica (cfr. Non sanno quello che fanno, Napoli 1871).
Il C. morì il 13 febbr. 1879 in Napoli.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, Min. Grazia e Giustizia. Magistrati, n. 32 (ora fascio 1840); fascio 1983/238; Com. di Napoli, Stato civile. Atti di morte, sez. Vicaria 1879, atto 226; G. A. De Vigore, Istoria della nobile e disgraziata famiglia de' Cantalupi, Napoli 1819, passim; G.Cantalupo, Mezzo secolo d'incessanti meditazioni di un patriota italiano, Napoli 1870, passim; La intolleranza partigiana nel santuario delle scienze, Napoli 1872, passim; T.Fornari, Delle teorie economiche nelle provincie napolitane dal 1735 al 1830, Milano 1888, p. 606; L. De Samuele Cagnazzi, La mia vita, Milano 1944, pp. 151 s.; F. Nicolini, Niccola Nicolini e gli studi giuridici nella prima metà del sec. XIX, Napoli 1907, p. 234.