ALFIERI, Benedetto
Primo architetto civile di Carlo Emanuele III re di Sardegna, primeggiò fra i creatori e maestri della raffinata ed elegante decorazione barocca che fiorì in Piemonte nel sec. XVIII. Vittorio Alfieri lo ricorda nella Vita dicendolo suo semi-zio e lo descrive già avanzato in età "veramente degno uomo", ottimo "di visceri, appassionatissimo dell'arte sua, alle cui facoltà architettoniche mancava forse soltanto più larga borsa di quella che si fosse quella del re di Sardegna". Nacque nel 1699, in Roma, dove una vita avventurosa aveva portato il padre, Antonio Alfieri Bianco, del ramo cadetto detto di Cortemilia della nobile ed antichissima famiglia astigiana degli Alfieri (v. sopra). Ebbe a padrino papa Innocenzo XII: e alle cure di lui restò affidato quando il padre, continuando a viaggiare, lasciò Roma. Qui dove visse e studiò sino alla maggiore età, Benedetto sentì le prime impressioni artistiche, subendo il fascino dell'architettura e soprattutto della decorazione barocca romana. Accolto ventiduenne nel Collegio dei nobili a Torino, si addottorò in legge ed esercitò l'avvocatura in Asti. Naturale inclinazione lo trasse ad occuparsi di architettura, pur tra le cure giuridiche, e in Asti poté fare le sue prime prove quale architetto, con le decorazioni del coro di S. Bernardino, e col campanile di S. Anna, opere di cui non rimane traccia. Ben più importante occasione di dedicarsi all'arte favorita si presentava a questo architetto autodidatta quando verso il 1730 ebbe ad occuparsi del grandioso palazzo che il marchese Tommaso Ghilini, suo zio, stava erigendo in Alessandria e che oggi è il palazzo della prefettura. Carlo Emanuele III apprezzando l'opera architettonica dell'A. lo incaricava nel 1736 di disegnare il nuovo teatro regio di Torino, il cui studio era già stato iniziato dal Juvara, morto in quell'anno a Madrid. L'A. corrispose appieno ai desiderî del re, costruendo un teatro (circa nel 1740) che fu giudicato fra i più nobilmente decorati e i meglio studiati del tempo; ma nell'odierno teatro regio di Torino, profondamente rimaneggiato nella decorazione e nella struttura, ben poco può ritrovarsi del capolavoro dell'A. Il re frattanto, a dimostrare la sua soddisfazione, fin dal 1° giugno 1739 aveva nominato l'A. suo primo architetto civile. Progettò l'elegantissimo teatro del principe di Carignano; ma anche di questa fabbrica, dopo l'incendio del 1787 e la ricostruzione che ne fece il Ferroggio, resta il solo prospetto. L'A. profuse tesori di buon gusto nelle decorazioni di molti palazzi di Torino, e specie delle sale di parata. Basti ricordare quelle del palazzo reale (le pareti delle gallerie Beaumont e del Danieli, la cappella privata, il gabinetto di toletta e la camera di lavoro della regina), e quelle del palazzo Caraglio, oggi Accademia filarmonica. Proseguì i lavori del palazzo del senato, oggi Corte d'appello, iniziati dal Juvara, disegnò l'Istituto della Divina Provvidenza ampliò il palazzo comunale di Torino, opera del Lanfranchi, e diede forma regolare ed elegante alla piazza antistante, eresse la grandiosa Cavallerizza reale, rimasta incompiuta. In Asti restaurò il palazzo Alfieri, disegnò la facciata del palazzo municipale e il seminario. La costruzione chiesastica più notevole e originale dell'A. è il duomo di Carignano, con la pianta a forma di ventaglio: sono pure sue opere le facciate della chiesa di S. Pietro a Ginevra, del duomo di Vercelli, la decorazione interna a marmi della chiesa del Corpus Domini a Torino, e il caratteristico campanile di S. Gaudenzio a Novara. Gli sono attribuite le parrocchiali di Stupinigi, della Veneria reale e una chiesa a Savigliano. Molti disegni studiati dall'A. non ebbero esecuzione: la ricostruzione del castello di Chambery, la decorazione della facciata del palazzo reale di Torino, l'ampliamento del palazzo Madama, la sistemazione della Piazzetta reale, la ricostruzione del duomo di Torino, ecc.
L'A. quale architetto si mostrò forse un po' freddo e compassato, e più vivace e gustosa appare l'opera sua nelle decorazioni degli ambienti; ma purtroppo molte delle sale che egli aveva adornate, sono oggi distrutte o manomesse.
Bibl.: L. Mina, Del Palazzo reale di Alessandria e del suo architetto, Alessandria 1904; G. Chevalley, Un avvocato architetto, il conte B. A., Torino 1916 (con la bibl. precedente).