BELLONDI, Iacopo, detto Puccio
Con questo nome è conosciuto un rimatore fiorentino del sec. XIII, noto per alcune composizioni poetiche, tra cui una tenzone "politica" con Monte Andrea.
Di un Iacopo di Odarrigo B. ci è conservata notizia in due documenti: il primo, una pace stipulata tra Firenze e Pisa, del 7 ott. 1256 ("d. Iacopus Odarrigi Bellondi.. testes"); l'altro, un trattato di alleanza con Siena, del 15 genn. 1260 ("... d. Iacobus Oderighi Bellondi"). Un "Odericus Bellondi" è inoltre nominato in qualità di consigliere fiorentino tra i firmatari di un atto di pace con Bologna risalente al 1215.
Un Puccio di Aldrovandesco Bellondi, cittadino fiorentino, s'iscriveva l'anno 1262 COI padre alla Società dei Toschi di Bologna; e della sua permanenza e attività nella città emiliana esistono documenti ulteriori: del 16 marzo 1266 (nel quale sono nominati anche due suoi fratelli, Ricco e Bartolo); del 31 marzo ("Iacobo, vocato Puzo, filio domini Aldrevandischi Bellondi de Florentia") e del 22 maggio 1268 ("domino Iacopo, qui vocatur Puzo, filio d. Aldrovandischi de Florentia"); e altri due dello stesso anno, uno riguardante il padre, che nella città commerciava in libri legali (Chartularium, doc. CCLXVII), l'altro contenente un atto di rinuncia con trasferimento di proprietà intervenuto tra "Dornirius Puzus Bellondi de Florentia", il suo socio fiorentino Nepi Perone e il cittadino mantovano Nicolò Rodalischi.
Il nome infine di Puccio Bellondi, senza specificazione della paternità, ricorre spesso nei libri delle consulte fiorentine e in altri documenti dal 1278 al 129E il 7 nov. 1278 in un "istrumento solennissimo di procura fatto dal Comune di Firenze co, Religiosi Urniliati"; il 18 genn. 1280 negli atti della pace, detta del Cardinal Latino, tra guelfi e ghibellini (vi è norninato con un "Rainerius Bellondi" e con Brunetto Latini in qualità di firmatario "pro Guelfis de Sextu porte Domus", del quartiere cioè di Porta Duomo); nelle consulte tenutesi il 14 genn. 1284, il 14 nov. e il 7 dic. 1285, il 3 febbr. 1289, il 12 febbraio, il 3 marzo e il 24 apr. 1290; in qualità di "arringator", tra gli "officiales ad cavallatas" e "extirnatores cavallatarum", il 4 luglio dello stesso anno, in occasione di una spedizione contro gli Aretini; infine in due consulte del 24 luglio e del 25 nov. 1291.
Sembrerebbe senz'altro probabile che il Puccio cui si riferisce quest'ultimo gruppo di documenti, uomo che partecipò assai attivamente alla vita politica della sua città, sia da identificare con Puccio di Odarrigo, anch'egli uomo politico; mentre di Puccio di Aldrovandesco sappiamo solo che fu mercante a Bologna e che appartenne a una famiglia di commercianti. Lo Zaccagnini propendeva ad assegnare la paternità delle rime che ci sono giunte sotto il nome del B. proprio a Puccio di Aldrovandesco, adducendo tuttavia a sostegno e giustificazione della propria tesi argomenti invero non troppo convincenti sul piano strettamente scientifico: nulla vieta infatti, contrariamente a quanto egli afferma, che un poeta si diletti di poesie d'amore anche in tarda età; a parte poi la considerazione che l'unico esempio di poesia d'argomento amoroso tra quelle attribuite al B., la canzone Kome per diletanza (che, tra l'altro, solo una tradizione assai posteriore, rappresentata da una citazione del Castelvetro, assegna a Puccio), potrebbe anche essere una sorta di esercitazione retorica, tanto più probabile dato il suo forte stampo provenzaleggiante (senza dimenticare poi che, se a Puccio essa va pur attribuita, non siamo assolutamente in grado di determinare quando egli l'abbia composta: potrebbe dunque anche trattarsi di una produzione giovanile).
Un'altra circostanza tuttavia è da prendere in considerazione. Se l'"Oderigus Bellondi" citato nel 1215 tra i consiglieri della città è veramente il padre di Puccio, e se il Puccio nominato più volte nei documenti fiorentini dal 1278 al 1291 è lo stesso Puccio di Oderigo ricordato nel 1256 e nel 1260; considerato che, come sottolinea lo Zaccagnini, nel 1215 questo Oderigo doveva avere non meno di venticinque anni, se faceva parte dei consiglieri, se ne può dedurre che nel 1290 Puccio avrebbe avuto circa sessantacinque-settanta anni, e la sua nascita sarebbe perciò da porre intorno al 1220-1225 (e il suo incarico di ufficiale "ad cavallatas" e di "arringator" del 4 luglio 1290 non sarebbe in contrasto con la sua tarda età, se anche Brunetto Latini tale incarico aveva rivestito il 16 aprile dell'anno precedente, all'età dunque di circa. sessanta anni).
Nei Consigli della Repubblica fiorentina è ricordato anche un Vanni di Oderigo Bellondi, eletto gonfaloniere della città nel 1308 e priore nel febbraio 1311; escluso per ragioni evidenti che qui si tratti dello stesso Oderigo citato nel 1215, a meno di voler supporre l'avanzata età di Vanni allorché venne eletto gonfaloniere, si potrebbè supporre che Puccio d'Odarrigo fosse il fratello di Vanni, e figlio pertanto di un altro Oderigo; ma, in mancanza di elementi più concreti, basti l'aver accennato a questa possibilità.
Poco o nulla di utile può ricavarsi dalla produzione poetica che a Puccio si attribuisce; produzione che si restringe peraltro a quattro composizioni giunte sino a noi: la già ricordata canzone Kome per diletanza (cod. Vat.3793, cc. 94r-94v), attribuita a Puccio dal Castelvetro; un sonetto, Tenere uolete del dragone manera (ibid., c. 159r), in tenzone con Monte Andrea, che gli rispose con il sonetto a rimalmezzo L'arma di ciaschuno omo tanto impera; il son. Così com ne l'oscuro alluma il raggio (cod. Marciano it. IX, c. 191) e il son. Cui virtù move mai non s'affatica, la cui attribuzione a Puccio si fonda unicamente su una ipotesi del Barbi.
In due manoscritti delle Rime di Dante (il Marciano IX It.191, c. 63 r, e il Vat. lat. 5225, vol. II, c. 455 r) a Puccio è attribuito il sonetto Volgete li occhi a veder chi mi tira; questa attribuzione, suppose il Barbi, sarebbe derivata da uno scambio avvenuto nei codici tra il. nome del destinatario (Puccio) e quello dell'autore (Dante); mentre il sonetto che nei codici segue al sonetto Volgete li occhi, quello che inizia appunto col verso Cui virtù move, sarebbe la risposta di Puccio a Dante. Il Maggini ha sottolineato la fragilità dell'ipotesi del Barbi, notando soprattutto che, se non altro, "dà pensiero un sonetto responsivo che non riprende nemmeno una rima di quello di proposta"; e comunque, aggiungiamo noi, se pure l'ipotesi del Barbi rispondesse a realtà, ne potremmo semplicemente dedurre, in base al contenuto, che Puccio doveva essere più vecchio di Dante, se gli rivolge rimproveri di carattere morale: deduzione questa che nullamente ci fa progredire nell'identificazione del nostro poeta col Puccio d'Odarrigo o con Puccio d'Aldrovandesco, giacché ambedue questi personaggi risultano certamente più anziani di Dante.
Nessun riferimento a fatti storici ben. databili si ricava analizzando la tenzone con Monte; la quale, oltre a risultare per noi di oscura interpretazione, si mantiene nei termini di una generica polemica politica. Ma proprio in margine a questa tenzone occorre sottolineare una coincidenza davvero notevole: Monte fu anch'egli mercante a Bologna, anch'egli iscritto dal 1259 alla Società dei Toschi, alla quale si iscriveranno tre anni dopo Aldrovandesco e Puccio; e abitava lo stesso quartiere, quello di "Porta Sterii", cioè di S. Sotero, oggi Porta Nuova. Inoltre. proprio nello stesso Statuto troviamo un elemento di notevole importanza, inspiegabilmente sfuggito al Torraca e allo Zaccagnini: un altro figlio di Aldrovandesco, Accurro, si iscriveva alla Società nel 1269. Il figlio di questo Accurro, Bandecco, compare, come Puccio, a Firenze nel 1280 tra i firmatari della pace del Cardinal Latino; il 27 genn. 1289 come beneficiario di uno stanziamento per 17 giorni di servizio prestato (Consulte, v.I, p. 355); e nel 1290 come ufficiale "ad consignationern cavallatarum". Poiché anche Bandecco abitava nel quartiere di Porta Duomo ("... pro Guelfis de sex. porte Domus... Bandecchus Accorri Belondi"), ci sembra di poter concludere con l'identificazione del nostro rimatore con Puccio di Aldrovandesco; pensiamo infatti che possa con ogni probabilità essere il medesimo Puccio delle consulte tra il 1278 e il 1291, tornato nella città dopo la parentesi bolognese; questo anche perché ci sembra piuttosto improbabile che in uno stesso periodo vi siano stati addirittura tre omonimi pressappoco coetanei, Puccio d'Odarrigo, Puccio d'Aldrovandesco, e un terzo Puccio di cui non ci è dato conoscere la paternità. Un altro argomento a favore della nostra tesi potrebbe essere inoltre l'assenza del diminutivo, "Puccio" o "Puzo", nei documenti riguardanti Puccio d'Odarrigo, giacché nei manoscritti il poeta è designato invece sempre come "Puccio". Non è possibile stabilire l'anno della sua morte, che possiamo solo per induzione a silentio supporre avvenuta negli ultimi anni del secolo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Registro Grosso, a. 1215, c. 257; ibid., Chartularium, doc. CCLXVII; Ibid., Memoriale del 1268 di Gerardino di Dondedeo, cc. 66r, 108v; Ibid., Memoriale del 1268 di Bartolomeo di Guido Sarto, c. 29v; Matricola della Società dei Toschi dall'anno 1259 con aggiunte degli anni successivi fino al 1273, in Statuti della Società del Popolo di Bologna, I, Statuti della Società delle armi, a cura di A. Gaudenzi, in Fonti per la Storia d'Italia, III, Roma 1889, p. 415; Consulte della Repubbl. Fiorentina dall'anno 1280 al 1298, a cura di A. Gherardi, I, Firenze 1896, pp. 152, 328, 340, 359; II, ibid. 1898, pp. 8, 14, 25, 68, 93; Delizie degli eruditi toscani, IX, Firenze 1777, pp. 35, 40, 53. 84, 284, 286, 296; X, ibid. 1778, p. 150; XI, ibid. 1778, p. 20; L. Castelvetro, Ragione di alcune cose segnate nella Canzone d'Annibal Caro, s.l. né d., p. 123; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 2, Brescia 1760, p. 696; F. Zambrini, Le opere volgari a stampa dei secc. XIII e XIV, Bologna 1884, col. 57; A. D'Ancona-D. Comparetti, Le antiche rime volgari, III, Bologna 1884, p. 297; F. Torraca, Studi su la lirica ital. del Duecento,Bologna 1902, p. 161; Il libro di varie romanze volgare, il cod. Vat. 3793, a cura di F. Egidi, G. B. Festa e S. Satta, Roma 1908, pp. 277 s., 446; M. Barbi, Studi sul Canzoniere, Firenze 1915, p. 13 n.; G. Zaccagnini, Poeti e prosatori delle origini, in Giornale dantesco, XXVIII(1925), pp. 169 ss..; F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, a cura di G. Lazzeri, Milano 1940, p. 399; D. Alighieri, Rime della "Vita Nuova" e della giovinezza, a cura di M. Barbi e F. Maggini, Firenze 1956, pp. 215 s.