BELLO
Concetto rappresentato nell'antichità da molti sinonimi, tanto in greco che in latino, e nella filosofia e nella critica letteraria e nella critica d'arte.
Nella teoria platonica, arte e b. sono termini non coincidenti in quanto il b. (kàllos, kalòn) è una realtà connessa con il solo mondo delle idee, laddove l'arte, imitando la realtà materiale e deteriore degli oggetti, lega l'uomo ai sensi e lo detorce dalla contemplazione del b. in sé (Plat., Symp.). Esiste quindi il "bello", ma è un b. incorruttibile, che costituisce la meta più alta concessa all'umano intelletto. Aristotele, come tutti sanno, corresse il maestro, senza distruggerlo; l'arte, così, raggiunge il b. nelle sue creazioni, in quanto imita i valori e le aliquote ideali che, sia pure in piccola parte, si trovano nei singoli oggetti materiali; infatti le statue di Fidia non sono ritratti di nessuno, e le teste dei cavalli dei frontoni del Partenone sono testetipo che nessun cavallo ha mai avuto. E su questa via Plotino (v.) andrà anche oltre, considerando l'arte come il mezzo più nobile perché l'intelletto possa, dalla contemplazione delle cose belle, ascendere a quella della bellezza in sé.
In retorica, anzitutto il b. è conseguibile tanto nel suono delle parole, come nel significato (semainòmenon; Aristot., Rhet., 3, 2, 37) delle parole stesse, vale a dire tanto nella manifestazione concreta e formale, quanto nei noèmata, o cose dette, o pensiero o, come volgarmente si dice, "contenuto". In secondo luogo, il b. ammette una duplice natura in campo pratico, rappresentata dai due termini kalòn e hedonè; al primo dei quali possiamo apparentare termini come virtus, decorum, pulchritudo in latino, e megaloprépeia, bàros (grandiosità, gravità), axìoma (dignità), kosmiòtes (decorum, ordo, decentia, diligentia), semnologhìa (gravitas, solennità); al secondo, species, voluptas, hòra, chàris, glhykỳtes (gratia, dolcezza), pithanòn (persuasione); eustomìa (eufonia).
Molti di questi termini retorici sono anche ugualmente adoperati nel frasario delle arti figurative; nel quale, peraltro, può notarsi che il gruppo kalòn può essere predicato di tutte le epoche di produzione artistica classica, laddove nel gruppo hedoné, species, voluptas trovano più natural sede le opere di arte ellenistica, destinate piuttosto a compiacere la vista o ad abbellire un edificio, che a rivestire un compito religioso o etico-politico. Il kalòn pertanto, con la sfumatura della kosmiòtes, appare a noi proprio, ad esempio, delle Kòrai dell'Acropoli, e, in genere, di tutta l'arte arcaica; lo stesso kalòn megaloprepès, o àxion, o barỳs definirà l'arte del V sec. a. C., e saranno ugualmente kalà i prodotti analoghi dei secoli seguenti. Ma quando al senso etico e al ritmo matematico del corpo umano subentrerà una comprensione più libera, più aerea, più, se si vuole, soggettiva, o, almeno, più ottica, dell'opera d'arte, allora, dal IV sec. a. C. in poi, comincerà ad affermarsi il regno della hedonè pura, della species, della chàris, della voluptas, della suavitas.
È interessante cogliere questa duplicità di valori lessicali in Vitruvio che, non avendo troppa dimestichezza coi critici letterari greci, dai quali desume i vocaboli, non riesce a concretare definizioni precise. Egli dice, ad es. (1, 3, 2), che la ratio venustatis, il modo cioè di conseguire la bellezza, si ha quando la species dell'edificio, l'aspetto ottico cioè, sia grata ed elegans e quando i calcoli delle simmetrie siano giusti. E poco prima ha detto (1, 2, 3) che la eurythmia è una venusta species e un commodus aspectus. In ambedue i passi Vitruvio considera b. un edificio quando la sua comprensione ottica produca piacere al senso di bellezza. È vero che aggiunge anche il coefficiente materiale delle ratiocinationes symmetriarum; ma non ci avverte che egli stesso altrove (vi, 3, ii) invoca l'ingenium e l'acumen dell'architetto onde si apportino detractiones o adiectiones, diminuzioni o aggiunte cioè alle simmetrie matematiche, affinché l'aspetto ottico, la species; sia venusta. Il che è quanto dire che le simmetrie oggettive non hanno più valore, o lo mantengono soltanto quando coincidono con le simmetrie ottiche. La simmetria pura è un valore quantitativo, quanti moduli cioè entrano in ogni membro dell'edificio; ma la simmetria ellenistica è anche qualità (poiotès), è anche comprensione ottica, e la prima, la più antica, deve cedere alla seconda. Per questa ragione il modulo, l'embatèr (v.) è diventato sempre più piccolo dall'epoca arcaica a quella ellenistica, per poter meglio adattarsi alle esigenze della comprensione visiva; quando cioè la hedonè è ricercata più dell'antica kosmiòtes.