Bulgarini, Bellisario
, Letterato (Siena 1539 - 1619 c.). La sua polemica antidantesca prende le mosse dalla disputa nata nell'ultimo trentennio del Cinquecento intorno al carattere e al valore poetico della Commedia, nella quale confluiscono le riserve sulla lingua e sullo stile già formulate dal Bembo e da altri nel primo Cinquecento. Occasione al primo intervento del B. fu la prima parte del Discorso in difesa di D., di Iacopo Mazzoni (1573), non senza lo stimolo degli attacchi già mossi al Varchi dal Castelvetro nelle Correzioni (1572) e soprattutto del Discorso che uscì, pure nel '72, sotto il nome di Rodolfo Castravilla, personaggio d'incerta identificazione, in cui qualche avversario volle vedere nascosto il Bulgarini. La Difesa del Mazzoni, inviatagli con elogi da Orazio Capponi, lo mosse a scrivere le Considerazioni che indirizzò al Capponi con lettera del '76, e cui seguirono ben presto le Repliche alle Risposte del Capponi medesimo. Le Considerazioni apparvero soltanto nell'83, per difesa dal plagio del padovano Alessandro Cariero, che frattanto, avendole lette manoscritte, aveva pubblicato un suo Discorso utilizzando alcuni argomenti del Bulgarini. Questi biasima anzitutto in D. l'aver trattato in poesia di scienze e di arti " dottrinalmente, con termini riposti e scolastici... e in modo di disputa ", contro il precetto di Averroè nel suo commento alla Poetica di Aristotele. Infatti il poeta deve parlare non ai soli dotti ma al popolo e, pur ammettendo che la poesia possa farsi strumento di filosofia morale, ne distingue il fine suo proprio che è il diletto. Disapprova l'uso di favole pagane, che non sono né opinabili né credibili a un pubblico cristiano e vanno quindi contro il precetto aristotelico nonché oraziano del verosimile, ma neppure gli piace il mito da lui inventato del Veglio di Creta, come finzione introdotta in un soggetto vero quale l'oltretomba cristiano.
Il B. attacca inoltre il poema nella sua struttura formale: non c'è l'imitazione del vero, ma " narrazion di sogno ", poiché come tale intende l'alta fantasia, la visione di cui parla il poeta; altrimenti si dovrebbe pensare che D. abbia preteso di aver compiuto davvero il viaggio nell'oltretomba (né accetta d'intendere col Mazzoni ‛ visione ' come metafora di poesia, ovvero " concetto della potenza imaginativa ", poiché non la fantasia ma l'intelletto crea le immagini notando la somiglianza tra cose diverse, e cade quindi l'analogia tra sogno e poesia su cui si fonderebbe la metafora). Nega l'unità d'azione del poema avendo ogni cantica un suo fine proprio, ed essendo intessuto di episodi non necessari all'azione principale. Anzi ritiene incompatibile il soggetto stesso con la poesia, non solo perché non è credibile che Dio abbia concesso a D. così grande privilegio, ma perché, ammesso il viaggio come vero, egli non avrebbe potuto introdurre alcuna finzione, com'è necessario alla poesia: scrupoli religiosi e preconcetti aristotelici l'inducono a riprovare che sia stata trattata poeticamente una materia " ineffabile ". Fedele a un'inflessibile distinzione dei generi, non condivide l'ammirazione del Mazzoni per il " divino intelletto " che ha saputo fondere la monodia con la " favola comica ": esclusa da alcun preciso genere, la Commedia è per lui esclusa dal dominio della poesia. Ritiene " banalissima " la " moralità " del poema perché nota a tutti i cristiani, né crede poeticamente giustificati, come voleva il Mazzoni, i vituperi o le lodi di D. ai personaggi, quando non siano storicamente giustificati, oltreché giudicare non è compito del poeta ma del lettore. Questo moralismo giunge a biasimare la rappresentazione degli scellerati e dei loro atti come incitamento al vizio: deplorevole sotto questo riguardo, nonché del tutto inutile ai fini dell'azione, l'episodio di Francesca. Contro la lingua e lo stile rinnova le vecchie accuse cinquecentesche: miscuglio di voci " sporche, dure e vecchie " prese da ogni regione e nazione, similitudini " basse " e inopportune, come quella dei buoi che vanno a giogo, o del sole lucerna del mondo che fa sentire, come già aveva detto il Della Casa, la " puzza dell'olio ".
Tali opinioni il B. tornò a ribadire senza sostanziali novità nei successivi scritti, salvo che la varietà degli appunti mossigli desse occasione di sviluppare ulteriormente qualche argomento. Così nelle Repliche al Capponi insiste sull'inverosimiglianza dell'azione principale come difetto radicale del poema. Non è pensabile infatti, sostiene nelle Postille a un altro obiettore, Lelio Marretti, che Dio volesse gratificare un peccatore come D. di questo miracoloso privilegio. Le invettive contro l'uomo D., " vanitoso ", lussurioso, irriverente verso la patria e i suoi reggitori (che nel dubbio si devono supporre sempre giusti), verso il maestro Brunetto, che doveva supporre non dannato ma pentito, si infittiscono sempre più acri, via via che puntigliosa si fa la polemica. Del pari sconveniente è l'introduzione di guide pagane come Virgilio e Catone a persona cristiana in un oltretomba cristiano. Nelle Risposte a Girolamo Zoppio ribadisce la natura impoetica dei dialoghi di filosofia e teologia, perché la materia della poesia dev'essere finta, sebbene poco appresso per amor di polemica sostenga che non sconverrebbe a una ‛ Commedia ' il trattar di cose avvenute purché credibili.
Il B. è pertanto un campione significativo di quella posizione critica che nega la poesia dantesca non solo per il suo contrasto con la poetica dei generi e i presunti precetti aristotelici, ma per il perdurare di preconcetti linguistici e stilistici ereditati dal primo Cinquecento, cui si aggiunge un moralistico culto del vero, specie in materia religiosa, alimentato dal clima della Riforma cattolica, ma da lui inteso nel senso più gretto e limitato di ripudio, in quella materia, di ogni rielaborazione fantastica e più in generale di ogni rappresentazione suggestiva di passioni, pur ammesse e approvate da altri contemporanei come il Mazzoni, ligi anch'essi al principio dell'ufficio morale della poesia.
Bibl. - Scritti danteschi del B.: Alcune considerazioni sopra il Discorso di M. Giacomo Mazzoni fatto in difesa della Commedia di D., Siena 1583; Repliche alle Risposte del Sig. O. Capponi sopra le prime cinque particelle delle sue Considerazioni, ibid. 1585; Risposte a' Ragionamenti del Sig. leronimo Zoppio intorno alla Commedia di D., ibid. 1586; Difese in risposta all'Apologia e Palinodia di M. Alessandro Cariero Padovano, ibid. 1588; Riprova delle Particelle poetiche sopra D. del Sig. I. Zoppio, ibid. 1602; Annotazioni ovvero chiose marginali sopra la prima parte della difesa fatta da M.G. Mazzoni [la seconda edita nel 1587], con in appendice il Discorso, di R. Castravilla e alcune lettere scambiate col Mazzoni, ibid. 1608; Antidiscorso. Ragioni di B.B. in risposta al primo Discorso sopra D., scritto a penna, sotto finto nome, di M. Speron Speroni, ibid. 1616 (il B. diffidò della paternità dello Speroni essendogli il manoscritto pervenuto quindici anni dopo la morte dell'autore, cui risponde adducendo i soliti argomenti).
Sul B. e le relative polemiche, v. M. Barbi, La fortuna di D. nel sec. XVI, Pisa 1890, 52 ss., con lettere di vari corrispondenti del B. in Appendice, 327-353. Cenni al B., inquadrati nelle discussioni dantesche del tempo, si trovano pure in F. Foffano, Saggio su la critica letteraria nel secolo XVII, in Ricerche letterarie, Livorno 1894; G. Toffanin, La fine dell'umanesimo, Torino 1920; ID., Il Cinquecento, Milano 19504, 560-561; U. Cosmo, Le polemiche letterarie, la Crusca e D., in " Giorn. stor. " XLII (1903), rist. in Con D. attraverso il Seicento, Bari 1946. Al B. dedica un capitolo A. Vallone nel vol. Aspetti dell'esegesi dantesca nei sec. XVI e XVII, Lecce 1966, 131-170, con molte notizie bibliografiche, anche di testi inediti, e sui corrispondenti e obiettori, fermandosi particolarmente sul cit. Marretti e sulla Risposta di un Anonimo.