BELLI
Famiglia di argentieri romani di origine piemontese, attivi nei secc. XVIII-XIX. Vincenzo, figlio di Bartolomeo, nacque a Torino nel 1710 ed ivi iniziò la sua carriera lavorando presso noti argentieri ed eseguendo anche lavori per casa Savoia. Si trasferì in seguito a Roma e dal 1740 vi figura tra gli argentieri. Tenne bottega presso S. Luigi dei Francesi, poi nelle vicinanze del Teatro Valle ed ebbe alle sue dipendenze oltre venti lavoranti.
Vincenzo può essere considerato uno dei migliori artisti del suo tempo. Il suo stile, sempre elegantissimo, risente dell'influenza francese, cosa frequente in Piemonte, ma è caratterizzato da una particolare grazia, da ricerca di effetti, da leggerezza di esecuzione, e non trascende mai nella leziosità talvolta esagerata di alcuni lavori francesi dello stesso periodo.
Fu nel gruppo di argentieri romani scelti da Giovanni V di Portogallo per l'esecuzione delle argenterie sacre per la cappella di S. Giovanni Battista nella chiesa di S. Rocco a Lisbona. Di lui si conserva al Museo di arte sacra di quella città una brocca con il bacile in argento dorato e riccamente cesellato, con simboli e medaglioni raffiguranti scene sacre, di opulenta esecuzione barocca.
Fra i molti suoi lavori, sparsi nelle chiese e nelle collezioni private d'Italia, si possono citare: due piatti in argento dorato con lo stemma del cardinale Muzio Gallo, nel Tesoro di S. Pietro in Vaticano; una brocca con bacile ornata da spighe con stemma del cardinale Vincenzo Antamoro, nel Museo di palazzo Venezia a Roma; un messale riccamente decorato nel convento di S. Francesco a Todi; un calice di notevole bellezza a S. Lorenzo in Damaso a Roma; un gruppo di quattro zuppiere sormontate da gallinacei, commissionate da un Torlonia a Roma e oggi disperse presso varie collezioni private. È, ancora conservato inoltre il conto per un servizio, da tavola del peso di oltre cento libbre recante incise le armi del Senato romano, che gli fu pagato nel 1755 ma di cui oggi non rimane traccia (Arch. della Camera Capitolina, credenzone VII, tomo 67, pp. 65 s.).
Vincenzo morì a Roma nel 1787, lasciando una profonda impronta di stile e di gusto che continuò poi in suo figlio e nei nipoti, anche se modificata dal cambiare dei tempi e delle mode.Giovacchino, figlio di Vincenzo I, nacque a Roma nel 1756. Continuò l'opera del padre nella bottega di via del Teatro Valle, rivestì la carica di console dell'Università degli orefici di Roma. Rinomatissimo, lavorò per la corte pontificia di Pio VII e per le case patrizie romane.
Restano di lui vari pezzi d'argento di squisita fattura in uno stile che già preannuncia il neoclassicismo. Suo il grande reliquiario ancora esistente a S. Carlo al Corso a Roma; due statuette di S. Pietro e S. Paolo sono in una collezione privata a Bruxelles. Per ordine del granduca Férdinando III e su disegno dello scultore Pietro Tenerani, eseguì anche un grande Crocifisso d'argento per la chiesa dei Cavalieri di S. Stefano in Pisa, a sostituzione di un altro attribuito ad Alessandro Algardi; l'opera pare sia andata perduta durante gli ultimi avvenimenti bellici.
Per il Palazzo apostolico eseguì lavori vari tra cui persino le punte in oro del "condottore elettrico (parafulmine) sul tetto sopra la libreria segreta del Quirinale" (Archivio Segreto Vaticano, Camera Apostolica, Giustificazioni 1802-1820, passim).
Nel 1815 il B. aveva terminato tre pezzi riproducenti in piccole dimensioni gli archi di Costantino, di Settimio Severo e di Tito in marmi pregiati con ornati metallici (ubicazione ignota). Morì a Roma nel 1822. All'ultima opera di Giovacchino aveva collaborato suo figlio Pietro (Roma 1780-ivi 1828) che, dopo il 1800, fece parte della Accademia dei Virtuosi al Pantheon; ebbe vari premi dall'Accademia di S. Luca e fu lodato dal Canova.
Di lui si conserva un grande ostensorio a Cori nella parrocchia di S. Pietro e Paolo. Diversi disegni di argenterie di Giovacchino e di Pietro si trovano nel Cooper Union Museum di New York.
Figli di Pietro furono Antonio (attivo nel 185-7-67), del quale non restano lavori importanti, e Vincenzo II, che divenne maestro orefice nel 1828, continuò a lavorare nella bottega di famiglia e ricoprì la carica di console nell'Università degli orefici. Molti suoi lavori, di accurata foggia neoclassica, si conservano nel Tesoro di S. Pietro in Vaticano e in varie chiese dell'ex, Stato pontificio. Un arredo completo da altare è nel santuario di Monticino a Brisighella, una statua in argento raffigurante Menelao che raccoglie il corpo di Patroclo, copia del gruppo marmoreo esistente sotto la Loggia dei Lanzi a Firenze (altro esemplare del quale è il torso del famoso Pasquino di Roma) si trova in una collezione romana. Morì nel 1859.
Fonti e Bibl.: Statuto della Insigne Artistica Congregazione di Virtuosi al Pantheon, Roma 1838 (per Pietro); G. A. Guattani, I tre archi di Costantino, Severo e Tito eseguiti dai Sig.ri Belli, Roma 1815 (per Giovacchino); R. Grassi, Descrizi. stor. e artist. di Pisa, Pisa 1837, p. 35 (per Giovacchino); R. De Sousa Lobo Ramalho, Guia de Portugal artistico, Lisboa s. d., pp. 46-47 (per Vincenzo I); G. Claretta, I reali di Savoia munifici fautori delle arti…,Torino 1893, pp. 140 s. (per Vincenzo I); S. Viterbo - R. V. d'Almeida, A Capella de S. Joāo Baptista, Lisboa 1900, pp. 32, 48, 90, 193 (per Vincenzo I); L'opera del genio italiano all'estero, E.Lavagnino, Gli artisti in Portogallo, Roma 1940, pp. 112, 162, tav. CXX (per Vincenzo I); A. Lipinsky, Il Tesoro di San Pietro, Città del Vaticano 1950, pp. 16, 57 (per Vincenzo I), p. 78 (per Giovacchino), p. 97 (per Vincenzo II); C. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d'Italia, I, 1, Roma 1959, pp. 123-129; Z. Giunta di Roccagiovine, in Il Settecento a Roma (catal.), Roma 1959, pp. 436-437 (per Giovacchino); R. Cipriani, Argenti italiani dal XVI al XVIII sec.(catal.), Milano 1959, p. 64, n. 172 (per Vincenzo I); C. C. Oman, Italian secular silver, London 1962 (Victoria & Albert Museum), tav. 28 (per Giovacchino); S. Granjean, L'orfèvrerie du XIX siècle en Europe, Paris 1962, pp. 136-150 (per Vincenzo II); U. Thieme-F. Becker, Künstler-Lexikon, III, pp. 247 (per Giovacchino e Pietro erroneam. detto suo fratello), 250 (per Vincenzo I).