SIMONCELLI, Belisario
– Nacque probabilmente a Orvieto nel 1544, da Antonio e da Cristofana (o Cristofora) Ciocchi Del Monte.
Il padre era conte di Castel di Piero (l’attuale San Michele in Teverina) e nobile della città di Orvieto, quattro volte primo gonfaloniere tra il 1534 e il 1555. Nel 1559 era stato costretto a versare una cauzione di 4000 scudi alla Camera apostolica a nome del fratello Metello, bandito, affinché «non molest[asse] il s.r Adriano Baglioni et suoi fattori et lavoratori» (Archivio segreto Vaticano, Fondo Borghese, s. I, 289, c. 541r). Ma era stato presto riabilitato: nel 1560, infatti, aveva ricoperto l’incarico di ambasciatore straordinario della città di Orvieto presso papa Pio IV. La madre di Belisario era la nipote del cardinale Giovanni Maria (papa Giulio III, dal 7 febbraio 1550).
La data di nascita di Simoncelli è comprovata dalle sue stesse affermazioni. Nel verbale di un processo del 1562, infatti, egli si definisce non ancora diciannovenne. L’esattezza del calcolo è confermata da un documento posteriore di più di cinquant’anni, cioè una lista Capitani esperti del 1610, che lo definisce all’incirca sessantenne.
Riguardo alla sua formazione, è noto che, dopo i primi rudimenti scolastici, non volle intraprendere studi universitari. Acquisì certamente competenze linguistiche di rilievo, che gli avrebbero addirittura aperto, giunto a un’età più matura, l’attività della scrittura. Tuttavia, da giovane, egli dimostrò una particolare inquietudine.
Simoncelli abitava a Orvieto insieme al fratello, il cardinale Girolamo (v. la voce in questo Dizionario), chiamato alla porpora il 12 dicembre 1553. Nel maggio del 1562, era stato sorpreso dagli sbirri del bargello a girare di notte per la città armato e accompagnato da alcuni uomini a lui fedeli. Si era rifiutato di farsi riconoscere e aveva affrontato gli uomini della pubblica sicurezza, ferendone alcuni. Il caso aveva meritato l’invio da Roma di un commissario incaricato di fare luce sull’accaduto, il giurista veneto Brunoro da Sole. Ne era emersa la figura di un «giovene sfrenato et gagliardo di cervello», che – interrogato se si occupasse di arti liberali o militari, come si conveniva a un membro del patriziato umbro – aveva così risposto: «Non so tante cose io, la mia professione è di Gentilhuomo» (Archivio di Stato di Roma, Tribunale criminale del Governatore, Processi (XVI sec.), b. 81: Urbevetana Excessuum..., cc. 4v, 10r).
Simoncelli non ebbe serie conseguenze per il suo comportamento riottoso. Nell’agosto del 1565, a sue spese e insieme al nobile perugino Ascanio Della Cornia, entrò nel corpo di spedizione riunito a Messina sotto il viceré di Sicilia García Alvarez de Toledo, per prestare soccorso all’isola di Malta, assediata dai turchi. Non ebbe modo di combattere, poiché lo sbarco – qualche settimana più tardi – avvenne quasi in contemporanea con l’abbandono dell’impresa da parte ottomana.
Rientrato a Roma, non trovò negli ordinamenti militari pontifici nessuna collocazione adeguata alle sue ambizioni e si fece raccomandare al cardinale Ferdinando de’ Medici per entrare al servizio del granduca Francesco. Accontentato, partecipò alla spedizione toscana nelle guerre di religione in Francia sotto il comando di Mario Sforza di Santa Fiora, congiunta a quella promossa da papa Pio V e affidata al fratello Sforza Sforza di Santa Fiora. Rientrò in Italia fra il 1569 e il 1570; subito si trovò impegnato in un’aspra contesa giudiziaria per la successione ai feudi della famiglia Del Monte.
Nel suo testamento, il fratello di papa Giulio III, Baldovino Del Monte, aveva previsto che, qualora mancassero eredi, sarebbe succeduto uno dei Simoncelli, a patto che prendesse il suo cognome e le sue insegne araldiche. Ma proprio durante le campagne d’Oltralpe, mentre serviva il re di Francia Carlo IX, era caduto Fabiano Del Monte, figlio naturale legittimato di Baldovino e ultimo discendente, il quale aveva nominato come erede il granduca di Firenze Cosimo de’ Medici. Ne era seguita una causa nella Rota fiorentina. I beni Del Monte erano stati divisi fra Cosimo da una parte e i Simoncelli dall’altra. Tra questi ultimi, fu chiamato a succedere non Belisario, ma il fratello Simoncello, che aveva tempestivamente assunto il cognome e l’arme di casa Del Monte. Belisario inizialmente non si oppose, accontentandosi del fatto che il fratello avesse abbracciato la carriera ecclesiastica, impegnandosi a non prendere moglie. Probabilmente sperava ancora di succedere a sua volta. Tuttavia, il fratello cardinale Girolamo forzò la mano proponendo nel 1577, con il patrocinio del cardinale Alessandro Farnese, il matrimonio tra Simoncello e una figlia naturale di Nicolò Orsini di Pitigliano, Settimia. Belisario si mantenne fedele al suo schieramento filomediceo ed entrò in urto con Girolamo. Nel contempo, chiese di poter spostare la sua causa contro il fratello Simoncello a Roma. L’esito ultimo gli risultò comunque sfavorevole.
Consumate molte sostanze in questo contenzioso, nel 1591 Simoncelli tornò agli impegni della vita militare attiva. Venne nominato infatti capitano di una compagnia di fanti, in occasione della spedizione voluta da Gregorio XIV in aiuto dei cattolici francesi, durante una delle ultime fasi delle guerre di religione. Il quadrante interessato era quello nordorientale. Simoncelli arrivò con il contingente pontificio a Bar-le-Duc all’inizio di settembre ed ebbe il comando di nove compagnie. La campagna, tuttavia, non entrò nel vivo e l’esercito del papa si dissolse praticamente senza combattere.
Entrò quindi nell’esercito spagnolo, impegnato contro i francesi nella guerra del 1595-98 e contro gli olandesi nelle Fiandre. Sotto il comando del duca di Fuentes, Pedro Enríquez de Acevedo, partecipò alla conquista di Châtelet, Doullens e Cambrai (giugno-ottobre del 1595). Quindi, l’anno successivo, diventato governatore delle Fiandre il cardinale Alberto d’Austria, Simoncelli si trovò alla presa di Calais, sulla Manica, e a quella di Hulst.
Sono notizie tratte da un breve scritto di strategia e tattica militare, steso da Simoncelli e datato Bruxelles 25 giugno 1600, al termine di un’esperienza decennale nelle Fiandre come ufficiale. Il testo, soprattutto nella parte relativa alla strategia, con esortazioni alle battaglie di grandi dimensioni, è infarcito non solo di esempi classici, ma anche di rimandi diretti alla Vita di Castruccio Castracani di Niccolò Machiavelli. Quanto alle proposte tattiche, Simoncelli – dimostrandosi quasi un precursore – era un deciso fautore dell’uso campale delle artiglierie e dell’assottigliamento dei grandi quadrati spagnoli di combattenti. Non ebbe però modo di vedere concrete applicazioni delle sue proposte.
Rientrò in Italia probabilmente nel 1603, quando Mario Farnese, luogotenente generale a Ferrara, tentò di trovargli un posto negli ordinamenti militari pontifici. Fu invece accolto fra i camerieri d’onore di papa Clemente VIII. Nel gennaio del 1607 gli sfuggì il posto di governatore dell’armi di Bologna, cui pure era stato candidato. Nel 1613, per la seconda volta dopo il 1603, partecipò al sorteggio per la carica di gonfaloniere del Comune di Orvieto.
Morì a Roma o a Orvieto, in data che non è possibile precisare.
Il nipote Baldovino lo aveva immaginato come uno degli interlocutori del dialogo Il Simoncello, o vero Della caccia (Firenze 1616).
Opere. Madrid, Biblioteca nacional, Mss. 9086: Trattato di strategia.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, 5085, nn. 15, 17, 56, 67, 185, 346; Archivio di Stato di Roma, Tribunale criminale del Governatore, Processi (XVI sec.), b. 81: Urbevetana Excessuum pro fisco et R.da Camera ap.ca Contra Ill. D. Bellisarium Simoncellum et alios. 1562; Roma, Biblioteca nazionale, Fondo Gesuitico, ms. 211, cc. 73r, 74r (genealogia della famiglia Simoncelli di Orvieto).
M. D’Ayala, Biblioteca militare del Duca di Genova, in Rivista enciclopedica italiana, IV (1855), p. 343; G. Brunelli, Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa, 1560-1644, Roma 2003, ad indicem.