BELGIO (VI, p. 505; App. I, p. 251)
In seguito alla invasione tedesca, il paese fu mantenuto sotto il regime di occupazione militare dal maggio 1940 al settembre 1944. Tuttavia i territori di Eupen, Malmédy e Moresnet furono incorporati e riannessi alla provincia renana (18 maggio 1940) e il Belgio venne ridotto così a 29.450 kmq. con 8,3 milioni di abitanti. Questi territorî sono stati ricuperati dopo la sconfitta della Germania.
Popolazione (VI, p. 508; App. I, p. 251). - Alla data del 31 dicembre 1946 la popolazione del Belgio era così distribuita nelle maggiori circoscrizioni amministrative:
Quattro città hanno oggi una popolazione superiore ai 100.000 ab.: Anversa con 256.000, Gand con 161 e Liegi con 151; la capitale, Bruxelles, oltrepassa il milione coi sobborghi. L'aumento della popolazione, continuo e costante dopo il 1930, denuncia una flessione negativa nei primi tre anni di guerra (1940-42) per riprendere col 1943, sì da riportare nel 1946 la popolazione stessa pressappoco alle cifre d'anteguerra (1939). Si è accentuata la prevalenza numerica dell'elemento fiammingo sul vallone (quest'ultimo disceso dal 35,3% nel 1937 al 34,2% nel 1946), presso il quale si riscontrano ad un tempo la più debole natalità (14‰ nell'arrondissement di Liegi) e la più alta mortalità (16,6‰ nell'arrondissement di Ath). Alcuni comuni rurali del Lussemburgo belga hanno perduto fino al 45% della loro popolazione fra il 1910 ed il 1945.
Condizioni economiche (VI, p. 511 e App. I, p. 251). - I danni subìti dal Belgio durante e per effetto dell'ultima guerra sono valutati a 14 miliardi di franchi belgi (del 1939). Furono distrutti 58.000 edifici e gravemente danneggiati 391.000. Al principio del 1945 solo il 60% della rete ferroviaria era utilizzabile e appena il 40% della marina mercantile. Tuttavia l'economia del paese non ne è stata profondamente modificata. L'agricoltura ha mantenuto o ripreso il suo carattere intensivo, sebbene la produzione non abbia ancora raggiunto il livello d'anteguerra (ma si tenga conto delle cresciute difficoltà dell'esportazione); e torna a disegnarsi la tendenza a sviluppare l'allevamento (soprattutto bovino; sensibile è invece la diminuzione del patrimonio suino) a spese dell'agricoltura. L'industria conserva, in sostanza, le sue caratteristiche e le sue posizioni (l'indice della produzione era nel 1947 di 95, fatta uguale a 100 la media 1936-38), con un notevole miglioramento nel campo dei tessili, nel quale le cifre d'anteguerra sono state in genere superate (fatto 100 l'indice del 1938, si avevano, nel 1946:104 per le filature di lino, 111 per quelle di cotone, 172 per quelle della lana pettinata, 185 per la lana cardata, ecc.). La tessitura in complesso ha prodotto il 50% di più che nel periodo prebellico. Sola e seria eccezione va fatta per l'industria estrattiva (carbone fossile) nella quale la diminuita produzione (22,8 milioni di tonn. nel 1946, contro 29,9 nel 1937) è in rapporto col diminuito rendimento medio dei minatori, con la deficienza di mano d'opera e con la necessità di miglioramenti tecnici agli impianti.
La bilancia commerciale tende rapidamente all'equilibrio; ma il totale delle merci scambiate con l'estero ha raggiunto, in peso, appena il 47%, nel 1946, del corrispondente valore anteguerra (1936-38), e cioè il 57% per le importazioni ed il 32% per le esportazioni. Per le prime prevalgono ora Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia; per le seconde l'Olanda, la Francia e la Svizzera. Nel valore di queste merci è cresciuta la parte spettante ai manufatti in confronto a quella delle materie prime d'uso industriale, ciò che indica la notevole spinta data nel paese alla fabbricazione di prodotti di alto pregio (mentre una tonnellata importata costava in media 3,7 volte di più nel 1946 che nel 1936-38, per una tonnellata esportata lo stesso rapporto saliva a 5).
La sconfitta tedesca e la scomparsa della Germania anche come potenza economica, favorendo una sempre più intima intesa fra Belgio e Olanda, le cui disparità economiche la comune esperienza bellica aveva grandemente contribuito ad attenuare, condussero i due paesi a concordare una unione doganale che dalle iniziali degli stati contraenti fu detta Benelux (il Lussemburgo era già unito al Belgio in una unione economica, l'URBL).
L'adozione di una tariffa doganale comune e la conseguente probabile soppressione dei diritti doganali fra i tre paesi preludono senza dubbio ad una vera e propria unione doganale, che potrebbe d'altra parte suggerire intese anche più vaste nell'ambito di parte almeno del continente europeo.
Finanze (VI, p. 518 e App. I, p. 252). - La situazione finanziaria del Belgio all'inizio della seconda Guerra mondiale era sana e ciò ha indubbiamente contribuito a rendere più rapida che altrove la ripresa dopo la fine delle ostilità. Il Belgio è, d'altra parte, per fortunata combinazione uscito dal conflitto con relativamente poche distruzioni, e, per essere stato adoperato come base delle armate alleate nelle operazioni contro la Germania, ha potuto accumulare un notevole credito in dollari e sterline in conto "affitti e prestiti". Alla fine della guerra le sue riserve auree - poste al sicuro durante il conflitto in Gran Bretagna, in Canada e negli S.U. - erano così in gran parte ricostituite, mentre le fabbriche possedevano rilevanti quantitativi di materie prime. Inoltre il governo, rientrando da Londra, aveva già predisposto fin nei particolari un complesso piano finanziario, che ebbe poi l'energia di attuare rigorosamente.
A forti spese eccezionali il Belgio era stato infatti costretto dalla guerra, prima, e dalla occupazione nemica, poi. Dal maggio 1940 all'agosto 1944 le spese statali e i finanziamenti effettuati dagli istituti di emissione salirono complessivamente a 227 miliardi di franchi di cui soltanto il 29% poté essere equilibrato con entrate normali di bilancio e il resto si dovette coprire, per il 40%, con accensione di debiti a medio e breve termine e, per il 31%, con emissioni di carta moneta. Al 31 agosto 1944 il debito pubblico era salito quindi a 156,2 miliardi di franchi da 66 che era al 30 aprile 1940 e si erano accresciute in modo preoccupante le percentuali sul totale del debito a breve (dal 18,5% al 38,7%) e a medio termine (dal 1% al 24%). Nello stesso periodo la circolazione dei biglietti e delle monete metalliche si era dilatata fino a raggiungere ai primi del settembre 1944 106 miliardi (con un aumento del 338% circa di fronte al maggio 1940 e del 450% di fronte alla media 1936-38) e i depositi presso banche e casse di risparmio avevano raggiunto 80 miliardi. Il livello dei prezzi e dei salarî si era tuttavia elevato modicamente, a causa del rigido sistema di controllo e di razionamento instaurato dalle autorità germaniche, e ciò permise al governo belga - con valutazione decisamente troppo ottimistica e prescindente dall'esistenza del mercato nero - di sanzionare subito dopo la liberazione (accordo 5 ottobre 1944) la parità del franco belga con la sterlina (176 e 5/8 franchi = 1 sterlina) già stabilita durante l'esilio a Londra, sulla base di una svalutazione del franco belga del solo 21%.
Subito dopo (6 ottobre) si diede inizio all'attuazione del programma di risanamento monetario e finanziario, mediante il ritiro dei biglietti di taglio da 100 franchi in su e il cambio alla pari con nuovi biglietti fino all'ammontare massimo, prima di 2000 franchi a testa, successivamente di altri 3000 per famiglia. La circolazione risultò così inizialmente composta di 14,4 miliardi di franchi in biglietti nuovi (oltre 6,4 di monete metalliche e biglietti vecchi di taglio piccolo), cui se ne aggiunsero, nella seconda metà di novembre, altri 7 miliardi circa. Tutti gli altri biglietti, se non dichiarati, vennero annullati (circa 4 miliardi), e, se dichiarati e depositati, vennero iscritti d'ufficio su speciali conti mentre veniva pure fortemente limitata la possibilità di ritiro dei depositi a vista e a breve scadenza già esistenti presso istituti creditizî. Questo complesso di potere d'acquisto sottratto alla libera disponibilità dei titolari (circa 105 miliardi) fu bloccato per il 40% temporaneamente e per il 60% definitivamente e severe restrizioni furono adottate nel settore del credito e in quello dei titoli.
Pur tenendo conto delle inevitabili, per quanto limitate, evasioni, l'esecuzione di questo piano di deflazione, preparato con cura e in grande segreto, riuscì e il miglioramento della situazione economica permise già nel 1945 di liberare parte degli averi temporaneamente indisponibili (da 42 miliardi alla fine delle operazioni di blocco questi erano ridotti a 8,8 alla fine del 1947). Gli averi definitivamente bloccati furono invece un anno dopo (14 ottobre 1945) trasformati in un prestito obbligatorio al 31/2% e contemporaneamente fu varato - dopo accurati accertamenti - un piano fiscale destinato a permetterne l'ammortamento mediante l'istituzione di tre imposte straordinarie: una graduata dal 70 al 95% sui profitti eccezionali di guerra, una del 100% sui profitti risultanti da forniture e prestazioni al nemico e una proporzionale del 5% su tutti i patrimonî, con abbattimenti alla base e varie detrazioni e esenzioni.
Non mancarono certo le critiche a questa riforma, giudicata da alcuni troppo drastica e anche intempestiva, e il rapido rigonfiamento della circolazione fiduciaria e bancaria nel 1945 (60,8 miliardi) parve avvalorarle. Nel 1946 però la circolazione aumentò soltanto di 16,5 miliardi e nel 1947 di 7,2 e in complesso ormai non si può negare che una certa stabilità nella situazione economico-finanziaria belga sia stata raggiunta, sebbene a un livello dei prezzi e dei salarî notevolmente superiore a quello previsto, che la fiducia nel franco si sia mantenuta solida e che la produzione sia abbastanza rapidamente tornata alla normalità prebellica. Contemporaneamente, mentre l'equilibrio della bilancia dei pagamenti nel 1945 e 1946 poté realizzarsi soltanto grazie, da una parte, ai rimborsi delle anticipazioni belghe agli eserciti alleati e, dall'altra, ai prestiti conclusi con gli Stati Uniti e con il Canada (100 milioni di dollari ciascuno), nel 1947 l'equilibrio è stato raggiunto soprattutto mediante lo sviluppo delle esportazioni e il rimpatrio spontaneo di capitali e redditi accumulati all'estero. Inoltre, benché l'equilibrio del bilancio statale non abbia potuto raggiungersi che nelle previsioni per il 1948, dal 1946 la Tesoreria ha sopperito alle sue necessità con mezzi ordinarî, senza anticipazioni della Banca nazionale.
Il debito pubblico interno al 30 giugno 1948 era di 248,4 miliardi, di cui 95,6 di consolidato. Quello estero ammontava a 13,4 miliardi.
L'organizzazione e le attribuzioni della Banca nazionale del Belgio, regolate dalla legge del 24 agosto 1939, sono state modificate con legge del 28 luglio 1948, che ha:1) elevato il capitale della Banca da 200 a 400 milioni di franchi, attribuendo le nuove azioni al Tesoro, che a sua volta ha ricavato i fondi necessarî all'acquisto prelevandoli sugli utili realizzati dalla Banca durante la guerra; 2) eliminato si può dire ogni influenza di carattere privato nella gestione della Banca, demandando al governo anziché all'assemblea degli azionisti la nomina dei direttori; 3) abolito la sanzione legislativa sulle convenzioni da stipularsi tra stato e Banca per la fissazione del "plafond" degli anticipi che Tesoro e enti parastatali potranno ottenere dalla Banca stessa. Il prevalere della tendenza socialista è evidente in questa riforma.
Al 30 giugno 1948 la circolazione monetaria propriamente detta ammontava a 82,7 miliardi (32,6 nel 1939) e saliva a 157,8, includendo anche i mezzi di pagamento bancarî. Alla stessa data le riserve della Banca nazionale (tenuto conto della rivalutazione del 1944) consistevano in 39,6 miliardi (32,1 al 25 dicembre 1944) di cui 26 in oro.
Il Belgio ha aderito al Fondo monetario internazionale (cui partecipa con la quota di 225 milioni di dollari) e la parità del franco annunciata è sulla base di gr. 0,0202765 di fino.
Storia (VI, p. 520; App. I, p. 252). - Con la formazione del ministero Spaak (15 maggio 1938), per la prima volta nella storia del Belgio la direzione politica viene assunta da un socialista, con un gabinetto di concentrazione che si costituisce sulla piattaforma del rinnovamento delle istituzioni, della soluzione del contrasto etnico, della parificazione nel campo scolastico e della lotta contro la disoccupazione e lascia all'opposizione solo i rexisti, i nazionalisti fiamminghi e i comunisti. La concentrazione, tuttavia, è solo al vertice; profonda è la scissione non solo fra i varî partiti costituenti la maggioranza governativa, ma nel seno di ogni singolo partito: la decisione di P.H. Spaak di iniziare regolari rapporti diplomatici con Franco (29 novembre 1938) causa lo scompiglio nei socialisti, i quali d'altro canto si vedono combattuto dai cattolici il progetto di assicurazione contro la disoccupazione, già accettato al tempo della dichiarazione ministeriale, e subiscono l'accusa di dirigismo da parte dei liberali. La situazione - non ostante il rimaneggiamento ministeriale del 21 gennaio 1938 (Spaak cede gli Esteri a Janson) - si aggrava ancora per l'improvvisa recrudescenza dell'annosa questione fiamminga, dovuta alla scandalosa nomina alla recente Accademia fiamminga di Bruxelles di un traditore della guerra del 1914, il dottor Martens, già condannato a morte, e all'indignazione dei liberali per tale nomina. Tutto ciò, con la pressione della piazza (Spaak è malmenato dalla folla), porta alle dimissioni dell'intero gabinetto (9 febbraio 1939). La direzione politica passa al cattolico Pierlot, con l'esclusione dei liberali dal governo; ma il gabinetto dura in carica appena cinque giorni a motivo dell'opposizione socialista alla politica deflazionista di Pierlot e del suo ministro delle finanze Gutt. Il re firma (6 marzo 1939) lo scioglimento del parlamento, scoprendo la corona nella lettera a Pierlot che accompagna il decreto, e rivelando anche tendenze autoritarie.
Le elezioni del 2 aprile 1939 segnano una vittoria del blocco cattolico, che diviene il partito più forte in parlamento, e dei liberali, un indebolimento sensibile dei socialisti, che passano o mai a secondo partito, e una schiacciante disfatta dei rexisti, che perdono ogni peso parlamentare. Di fronte alla non partecipazione decisa dal congresso socialista, il nuovo governo che il 18 aprile Pierlot costituisce è solamente cattolico e liberale: creato sulla piattaforma del neutralismo leopoldino, della riforma costituzionale e del risanamento economico-finanziario, esso dispone per delega parlamentare di poteri assai estesi; ma subisce il contraccolpo della tensione internazionale e il 3 settembre 1939 si trasforma in un nuovo ministero di unione nazionale con Pierlot alla presidenza e Spaak agli Esteri.
Scoppiata la guerra, non ostante il crescente malumore della vallonia legata da complessi vincoli alla Francia e le sempre più forti incrinature che - sul piano internazionale - sorgono fra la politica del sovrano e quella del gabinetto responsabile, Leopoldo III continua a restar fedele alla concezione del neutralismo integrale: dopo aver lanciato il 24 agosto un appello alla pace a nome degli stati del gruppo di Oslo e offerti, quattro giorni dopo, d'accordo con la regina di Olanda, i proprî buoni officî, egli ribadisce, una volta scoppiato il conflitto, in un proclama al paese la neutralità (4 settembre) e il 7 novembre rinnova l'offerta di mediazione, in armonia all'offensiva pacifista scatenata da Hitler dopo la vittoria in Polonia. Questa posizione, in generale approvata dalla stampa, prende una piega tragicamente assurda a mano a mano che più insistenti si fanno gli allarmi di imminente invasione tedesca; ma resta sempre valida, impedendo la messa in esecuzione del piano deciso il 28 novembre 1939 dal comando alleato, mentre acuisce il tradizionale antagonismo fra valloni e fiamminghi, questi 1iltimi favorevoli alla politica di I. eopoldo III.
Sotto il pretesto di "salvaguardare la neutralità belga", smentito, nell'atto stesso che il von Bülow-Schwante consegnava a Spaak la nota, dai massicci bombardamenti di Bruxelles e di Anversa, il 10 maggio 1940 la Wehrmacht poneva fine a questa situazione. Non per questo si eliminavano le conseguenze di una politica condotta da anni: il re e l'alto comando belga - non ostante che il 12 maggio si fosse accettata la subordinazione a Gamelin - impostarono la campagna nel senso di una pura e semplice difesa del territorio nazionale e posero in risalto il carattere unilaterale degli obblighi delle potenze occidentali (ciò contro il parere del gabinetto Pierlot, che a sua volta non parla di "garanti" bensì di "alleati" e il 17 maggio invia al re una lettera di protesta per il ritiro delle truppe in direzione del ridotto nazionale a nord della Mosa, anziché verso la frontiera francese). Di fronte alla potenza tedesca, in Belgio favorita anche dall'improvviso franare di unità fiamminghe (ad es., a Nevele, il 26 maggio), tale concezione di persistente "neutralismo" doveva portare all'armistizio: fu ciò che nella notte del 28 maggio fece Leopoldo III non ostante l'abisso che il 24 si era aperto nel drammatico incontro di Vynedaele fra il sovrano e il Pierlot, che, definitivamente guadagnato alla tesi della guerra ad oltranza e frustrato nel tentativo di indurre il re a lasciare il Belgio, ricusò di dare quell'avallo che avrebbe reso possibile la formazione di un nuovo governo armistiziale.
Con l'atto di Leopoldo III, che trova reazioni unanimi (stigmatizzato alla camera francese da Reynaud in termini violenti, in termini meno vivi da Churchill ai Comuni, il 28 stesso è dichiarato senza valore legale dal governo belga rifugiatosi a Parigi e due giorni dopo questa dichiarazione è ratificata dai superstiti deputati raccoltisi a Limoges), anche per il Belgio si apre una doppia storia: l'occupazione e la collaborazione da un lato, la resistenza dall'altro.
Il Belgio, che dalla breve campagna usciva con guasti non gravi, a parte la distruzione di Lovanio e di Tournai, passava sotto il diretto controllo del generale von Falkenhansen, che assai presto trovò i suoi collaboratori per la propaganda in Henri De Man, Robert Poulet e Paul Colin, per la polizia e il reclutamento di una legione antibolscevica nel rexismo di L. Degrelle e nel Vlahamsch Nationaal Volkspartii di Gustave De Clercq. Mentre i segretarî generali dei varî ministeri, cui una legge del 10 maggio 1940 aveva affidato il potere esecutivo, venivano posti sotto il controllo del governatore civile Raederer che trovò un ottimo collaboratore nel segretario dell'interno, il fiammingo Romsée, i Tedeschi si diedero a risuscitare l'antico antagonismo etnico appoggiando costantemente l'elemento fiammingo. Il re, a sua volta, che si era ritirato nel castello di Laeken dichiarandosi prigioniero, uscì ben presto da ogni posizione di riserbo e si recò volontariamente il 16 novembre 1940 a Berchtesgaden a conferire con Hitler: nel colloquio Leopoldo III non si limitò ad un piano puramente amministrativo e umanitario (razionamento, ritorno dei prigionieri, ecc.), ma passò a quello politico (mantenimento della dinastia, ecc.).
Dall'altra parte, invece, si ha la reazione immediata del Congo, il cui governatore Ryckmans lo stesso 28 maggio rifiutò di obbedire all'ordine del re (è al Congo che si costituisce la brigata Gilliart che più tardi entra in azione contro le truppe italiane al confine sudanese), e il trasferimento del governo a Londra, al quale - dopo aver superato una momentanea perplessità causata dalla capitolazione francese e con un'avventurosa evasione dalla Spagna - vengono il 24 ottobre 1940 a riunirsi Pierlot e Spaak. Col 1941 si costituisce anche una resistenza interna, che crea sia delle formazioni nazionali (come l'Armée secrète, di origine schiettamente militare ed ufficialmente riconosciuta dal governo in esilio nel 1942, il Front de l'indépendance di origine comunista, il Mouvement national belge di tendenza conservatrice), sia delle formazioni regionali come in Vallonia l'Armee de la libération e in Fiandra la Brigade blanche e più tardi il Mouvement national royaliste, che al motivo della resistenza accoppia anche quello della salvaguardia dei diritti di Leopoldo III. Collaborazionisti notorî come Paul Colin, Robert Poulet e G. De Clercq vengono, fra il 1942 e il 1943, eliminati da uomini della resistenza. Lo stesso clero entra animosamente nella lotta, anche se le alte gerarchie restano su posizioni che si prestano ad ambigue interpretazioni: il cardinale van Roey, portaparola di Leopoldo III, se il 21 marzo 1943 protesta in una coraggiosa pastorale contro il lavoro obbligatorio decretato dai Tedeschi, nell'aprile 1944, mentre s'iniziava la preparazione aerea dello sbarco alleato in Europa, insorge anche contro i bombardamenti alleati, divenuti assai pesanti specie nella zona di Liegi.
Con l'ingresso delle truppe alleate e della brigata nazionale Piron a Bruxelles e ad Anversa (5-6 settembre 1944) si compie la liberazione belga, sulla quale però pesa ancora per delle settimane la minaccia della controffensiva di von Rundstedt. Il 21 settembre il parlamento, data la prigionia del re trasportato in Germania, nomina reggente il fratello Carlo e il 27 si ha il nuovo gabinetto Pierlot. Questo realizza con i provvedimenti Gutt un'importante esperienza monetaria (cambio della moneta con drastica decurtazione) e con quelli van Acker una non meno importante legislazione sulla previdenza sociale (28 dicembre); ma è costretto a subire l'urto assai rude della resistenza, restia a rientrare nella legalità: la crisi, che porta al ritiro dei tre ministri comunisti (16 novembre), è risolta solo con il diretto intervento delle autorità militari alleate. Aspramente combattuto dai socialisti per la sua politica del carbone e del razionamento ed attaccato il 7 febbraio 1945 in un'interpellanza parlamentare dai liberali e dai comunisti, il governo Pierlot rassegna le dimissioni senza attendere il voto delle camere. Ciò provoca un'immediata distensione nel campo operaio, ove cessa lo sciopero dei minatori, e la formazione di un gabinetto van Acker (11 febbraio 1945) che continua la formula dell'unione nazionale. Questo, fornito di poteri speciali per i problemi dell'alimentazione, del lavoro e dell'epurazione, ottenuti dopo un contrasto piuttosto vivo coi cattolici, realizza un consolidamento della posizione internazionale del Belgio, soprattutto con gli accordi economici conclusi con la Francia da Spaak il 23 febbraio 1945 sul modello del Benelux; ma nell'aprile nuovi scioperi vengono ad intralciarne l'azione nel settore minerario e ben presto con la capitolazione tedesca sorge la spinosa questione reale (v. leopoldo iii, in questa App.) la quale - dopo un brevissimo periodo di euforia (viaggio del reggente e di membri del gabinetto a Salisburgo, nel maggio) - evolve rapidamente, rompendo l'unione nazionale al governo (dimissione dei ministri cattolici il 17 luglio 1945). Tuttavia, l'opera in generale costruttiva del governo van Acker non si arresta: esso realizza il 12 ottobre i progetti finanziari di Eyskens, il 20 ottobre importanti convenzioni economico-finanziarie a Washington, il 12 dicembre un accordo con l'Inghilterra per la delimitazione della zona di occupazione belga in Germania.
È in questo periodo, anche come ripercussione della questione reale, che sorge l'altra non meno grave questione della Vallonia. La politica filo-fiamminga dei Tedeschi e la sempre più grave denatalità della zona vallone ha invertito i termini dell'annoso problema: oggi non esiste più in Belgio una questione fiamminga, bensì una questione vallone. Questa, che già nel periodo clandestino aveva determinato la creazione di un organismo di studio, il Consiglio economico vallone, scoppiò in tutta la sua gravità al congresso nazionale vallone tenutosi a Liegi il 20 novembre 1945, ove i mandati si ripartirono così: 17 per il mantenimento dello statuto unitario, 391 per l'autonomia nel quadro belga, 154 per l'indipendenza e 486 per l'incorporazione alla Francia. Voto puramente "sentimentale", tanto che, appena conosciuto, gli stessi delegati se ne spaventarono e, facendo macchina indietro, aderirono alla tesi dell'autonomia nel quadro belga; ma non per questo sintomo meno significativo di un complesso d'inferiorità e di una crisi, che - accanto alla questione reale e spesso in rapporto con essa - costituisce il punctum dolens del Belgio odierno. Vigorosamente sostenuta dai socialisti, osteggiata dai cattolici, la tendenza federalista uscì vittoriosa dal II congresso vallone tenutosi l'11 maggio 1946 a Charleroi; più tardi, con la mozione del deputato Grégoire, diventò di competenza parlamentare.
Sciolto il 9 gennaio 1946 il parlamento, le elezioni del 17 febbraio a suffragio universale maschile segnano il crollo totale della nuova formazione di cattolici progressisti, l'Unione democratica belga, l'indebolimento notevole del Partito liberale, il sensibile progresso comunista e, soprattutto, il consolidamento di quelli che sono i due massimi partiti belgi: il socialista, che ha ora abbandonato il tradizionale nome di Partito operaio belga, e il Partito cristiano-sociale, successo il 20 giugno 1945 al vecchio partito cattolico e che mantiene la posizione di partito più forte in parlamento. Questi risultati elettorali, dato che la questione reale e quella vallone hanno avuto un'impostazione religiosa, rendono assai disagevole la costituzione del governo. Difatti il 20 marzo 1946 basta la semplice astensione liberale alla camera per rendere impossibile il voto di fiducia al gabinetto costituito da Spaak con socialisti e tecnici. Solo attraverso un accordo di tutti i partiti e lasciando all'opposizione unicamente i cristiano-sociali, van Acker riesce il 31 marzo a costituire il governo: stretto fra la duplice morsa degli scioperi sindacali e dell'offensiva cattolica sulla questione reale, la mancanza di un solo voto di maggioranza lo rovescia in senato il 10 luglio. È sostituito il 2 agosto da un gabinetto diretto dal borgomastro socialista di Anversa, C. Huysmans, ma questo subisce un grave scacco al senato sul bilancio dei danni di guerra (28 novembre) e il 12 marzo 1947 è costretto alle dimissioni dal ritiro dei ministri comunisti, ostili al prezzo fissato per il carbone.
Da questo momento la vita politica belga subisce una svolta radicale: il partito socialista abbandona le vecchie alleanze e il cristiano-sociale l'opposizione. È difatti un governo socialista e cristiano-sociale che Spaak costituisce il 19 marzo 1947 e che ottiene una forte maggioranza parlamentare (alla camera 148 voti contro 13 e 22 astensioni comuniste, al senato 125 contro 7 e 17 astensioni comuniste). Tale governo, la cui particolare fisionomia non viene mutata dai successivi rimaneggiamenti, realizza tutta una nuova politica finanziaria con l'abolizione delle sovvenzioni statali nel campo del commercio e inserisce rapidamente il Belgio nel sistema occidentale (accettazione del piamo Marshall, trattato di Bruxelles del 17 marzo 1948 che accanto all'unione economica del Benelux pone l'alleanza militare franco-inglese).
In realtà, però, tutti i precedenti motivi di urto continuano a sussistere ed esso si manifesta in pieno al di fuori dell'azione di governo: così, al III congresso vallone tenuto il 3 maggio 1947 a Namur che appoggia la proposta parlamentare presentata dal deputato Grégoire per la creazione di uno stato federale raggruppante tre distinte entità politiche (Fiandra, Vallonia e Bruxelles) sono assenti i cristiano-sociali, i cui ministri invece il 23 novembre 1947 presenziano ad un congresso nazionale di fedeltà a Leopoldo III. Tuttavia, il matrimonio di convenienza al governo smorza i toni troppo acuti della questione: solo l'ostinata intransigenza del re ha impedito nel gennaio 1948 che le dichiarazioni di Spaak al senato, favorevoli all'onore del sovrano, riuscissero a risolverla sulla base dell'abdicazione e dell'avvento al trono del giovane Baldovino. L'improvviso ritorno dall'America di Leopoldo III porta la questione ad una svolta decisiva (18 aprile 1948), mentre si accentua il latente dissidio cattolico-socialista per la questione delle sovvenzioni alle scuole confessionali, che darà poi l'occasione alle dimissioni del gabinetto Spaak (5 maggio 1948): il quale pone al suo attivo quella politica costruttiva, le cui più recenti manifestazioni sono la creazione tra i firmatarî del trattato di Bruxelles di un comitato consultivo e di un comitato militare (17 aprile) e il viaggio di Spaak e del reggente a Washington e ad Ottawa (aprile 1948).
Bibl.: Oltre quanto citato alla voce Leopoldo III, cfr. P. Delandsheer e A. Ooms, La Belgique sous les nazis, Bruxelles, s.d.; J. Pirenne, La Belgique devant le nouvel équilibre du monde, Neuchâtel, 1944; F. Baudhuin, L'économie belge sous l'occupation 1940-44, Bruxelles 1945; M. Houtman, Aprés quatre ans d'occupation, ivi 1945; don Leclef, Le cardinal van Roey et l'occupation allemande en Belgique, ivi 1945; P. Struye, L'évolution du sentiment public en Belgique sous l'occupation allemande, ivi 1945; Wullus-Rudiger, La Belgique et la crise européenne, 1914-1943, Parigi 1945; M. Di Lorenzo, Il risanamento monetario e finanziario nel Belgio, in Supplemento alla Rassegna del Servizio studî della Banca d'Italia, n. 393, 14 febbraio 1946; M. Thiry, La Belgique pendant la guerre, ibid. 1947.
Operazioni militari durante la seconda guerra mondiale.
Il Belgio, al pari dell'Olanda, si era mantenuto strettamente neutrale durante il primo periodo dell'azione bellica tedesca, ma, memore dell'aggressione subita nel 1914, non aveva mai cessato dal preparare la propria difesa e dal dare un più saldo assetto al suo organismo militare, il quale, anzi, era stato posto sopra un piede di virtuale mobilitazione fin dall'agosto 1939.
Il Belgio aveva una forza permanente alle armi di oltre 90.000 uomini, con 4000 ufficiali, ed era in grado di mobilitare oltre mezzo milione di uomini. Le forze militari erano ripartite in quattro zone: Bruxelles, Anversa, Liegi, Namur e comprendevano 3 corpi d'armata su 3 divisioni ciascuno, le truppe per la difesa del Limburgo e di Namur (poco più di 1 divisione), 1 corpo d'armata celere, talune altre unità minori. L'aviazione militare, ordinata su 3 reggimenti comprendenti ciascuno 2 o 3 gruppi di squadriglie, poteva disporre di circa 300 apparecchi. Tali forze militari, in complesso, potevano dirsi più che sufficienti se commisurate alla superficie od alla popolazione dello stato, ma la situazione geografica di questo lo rendeva estremamente vulnerabile.
Per la difesa, quindi, si faceva particolare assegnamento sulla natura di una parte dei territorî di confine e sulle opere di fortificazione. Lungo la frontiera a sud del Limburgo olandese, ad es., si ergeva il gruppo delle Ardenne, che si sperava avrebbe ostacolato o almeno ritardato una eventuale irruzione avversaria, ad arginare la quale avrebbero poi concorso anche la distruzione dei ponti sui numerosi corsi d'acqua e le opere campali costruite nei tratti di essi di più facile passaggio. Più a nord, il massimo assegnamento per la difesa del territorio nazionale era posto sul sistema fortificato di Liegi, robusto e moderno, e da Liegi fino a nord di Givet, sul profondo fossato della Mosa. Non potendosi, però, escludere che un nuovo assalto tedesco non avrebbe rispettato la neutralità olandese (ciò che doveva difatti accadere) e che sarebbero stati, quindi, inclusi nella manovra anche i territorî del Limburgo olandese e del Brabante, si era pensato di fortificare anche il territorio belga lungo la frontiera olandese, specie quello in corrispondenza della frontiera di Liegi, che avrebhe potuto essere aggirata da nord quando fosse caduta in mano del nemico la testa di ponte di Maastricht, sulla Mosa. Non essendosi, però, potuto raggiungere un accordo tra Belgio ed Olanda per la difesa comune della Mosa nel tratto anzidetto, il governo belga vi aveva provveduto per suo conto mediante la costruzione del Canale Alberto e di opere campali.
Tra il Belgio e l'Olanda non vi erano mai state vere e proprie intese per un'azione comune in caso di attacco tedesco; ciò che doveva, poi, pregiudicare non poco l'efficienza della difesa. Tuttavia, in base agli studî per la difesa compiuti nei due paesi dai rispettivi stati maggiori e comunicati agli stati maggiori francese e britannico, si era ritenuto che, in complesso, le forze, dei due paesi e le predisposizioni difensive adottate dessero sufficiente affiddamento di trattenere un'eventuale irruzione germanica per un periodo che sarebbe bastato allo stato maggiore francese per ammassare a nord forze capaci di fronteggiare l'avversario, mentre per la difesa del resto della fronte francese si faceva particolare assegnamento sulla linea Maginot.
L'occupazione tedesca. - I movimenti tedeschi alla frontiera occidentale si iniziarono nella notte dal 9 al 10 maggio 1940. Ad operare sull'ala destra tedesca, e cioè contro il territorio belga-olandese, era il gruppo d'armate comandato dal generale F. von Bock.
Lo stato maggiore belga aveva dislocato due divisioni in difesa avanzata, nella zona delle Ardenne; aveva stabilito, poi, una linea di sicurezza che partendo dalla zona di Anversa, correva lungo il canale di giunzione Schelda-Mosa fino a Liegi, donde proseguiva verso il confine Lussemburgo-Francia, e tre successive linee fortificate: la prima di queste, seguendo il Canale Alberto, raggiungeva Liegi, donde piegava lungo la Mosa fino alla zona di Namur; la seconda si sviluppava da Namur ad Anversa; la terza da Anversa, per la Schelda-Lys, andava a finire al mare e faceva di Anversa il vero ridotto belga, appoggiato a sinistra alle bocche della Schelda e a destra al sistema difensivo fluviale della Schelda stessa e dei suoi affluenti.
Come sempre, i movimenti iniziali delle fanterie tedesche furono preceduti ed accompagnati da un'imponente azione dell'aviazione, la quale agiva non soltanto scompaginando la preparazione avversaria, distruggendo o gravemente danneggiando gli impianti di natura militare e le linee di comunicazione e terrificando le popolazioni, ma si prestava anche per trasportare e far discendere in punti particolarmente delicati dell'organismo difensivo larghi stuoli di paracadutisti. Il forte Eben-Emael, ad es., uno dei più moderni e potentemente armati d'Europa, che dominava importanti passaggi sulla Mosa e sul Canale Alberto, fu conquistato, appunto, in breve ora da una pattuglia tedesca calatasi entro il recinto del forte mediante un elicottero o dei semplici paracadute.
Pressoché contemporaneamente alla conquista del forte Eben-Emael, che veniva a pregiudicare estremamente la difesa di Liegi, veniva anche forzato dai Tedeschi il Canale Alberto nel tratto tra Maastricht e Hasselt, profittando anche del fatto che i Belgi non avevano tempestivamente provveduto a far saltare uno dei ponti più importanti, quello di Vroenhoven. Il secondo giorno, quindi, forze tedesche già si trovavano ad ovest di Liegi, ove entravano il 13, sebbene gli altri forti della cintura ancora resistessero.
Truppe alleate, frattanto, erano accorse rapidamente in territorio belga; il giorno 12, la 7ª armata francese, al comando del generale Giraud, raggiungeva la linea Termond-Tilburg ed una armata inglese, al comando di lord Gort, si schierava lungo la Dyle; coprendo i movimenti dell'armata francese, il corpo di cavalleria prendeva contatto con i Tedeschi.
Nei giorni 13 e 14, quindi, lo schieramento delle forze alleate e belghe, delle quali ultime aveva assunto il comando il re Leopoldo, si appoggiava con la sinistra ad Anversa, scendendo, lungo la Dyle, fino all'altra piazzaforte di Namur, sulla Mosa. Il giorno 14 però, il comando tedesco lanciava un formidabile colpo d'ariete contro l'intero schieramento alleato, riuscendo, nel settore della media Mosa, a soverchiare la difesa della 9ª armata francese al comando del generale Corap, ed a forzare la Mosa nel tratto tra Dinant e Corignan, a sud-est della storica località di Sedan già altra volta fatale ai Francesi. Il destino del Belgio era così segnato, ed inoltre il baluardo difensivo dal quale la Francia si sentiva protetta contro qualsiasi rinnovato tentativo di invasione tedesca veniva ad essere sopravvanzato da nord, mentre alle potenti e celeri colonne germaniche si apriva il ricco fascio stradale irradiantesi verso il cuore della Francia.
Sulla linea della Dyle le forze alleate resistettero ancora fino a tutto il giorno 16, ma nella giornata successiva la situazione precipitava: dopo due giorni di aspra battaglia, tutto il tratto di fronte da Anversa a Namur veniva sfondato; Namur stessa occupata, cosicché tutte le truppe alleate schierate più a nord si vedevano costrette a ripiegare. Le città di Lovanio e Malines venivano occupate, anch'esse, da colonne celeri tedesche sul mezzogiorno; altre truppe germaniche irrompevano nella parte settentrionale della fortezza di Anversa e la sera stessa del 17 Bruxelles, ch'era stata dichiarata città aperta, vedeva sfilare i primi scaglioni tedeschi.
Il mattino seguente, nonostante che alcuni forti di Liegi, di Namur e di Anversa resistessero ancora (e tale resistenza doveva protrarsi per qualche altro giorno), le truppe penetrate nella cintura fortificata di Anversa entravano nella città. Ad ovest di Bruxelles, le colonne tedesche raggiungevano la Dendre. Tra Anversa e la Dendre, le forze franco-belghe tentavano allora una resistenza estrema, con lo scopo di consentire il ripiegamento al grosso delle truppe francesi ed inglesi, prima che contro di esse potesse profilarsi una minaccia di avvolgimento. Invece i Tedeschi puntavano decisamente per Arras ed Amiens verso il mare, che veniva raggiunto nella giornata del 21, con la sfrecciata di una colonna celere fino ad Abbeville (v. francia, in questa App.). Tutte le superstiti truppe del Belgio e le armate francesi e le britanniche accorse a sostegno di esse rimanevano perciò chiuse entro una vasta sacca che andava da Abbeville, presso le foci della Somme, per Arras ed il corso della Scarpe, Valenciennes e parte del corso della Schelda, al confine olandese. Il re del Belgio, in questa situazione, chiedeva l'armistizio (v. sopra § Storia); in tal modo l'esercito belga, forte ancora di quattro o cinquecentomila uomini, capitolava e tutto il fianco nord dello schieramento alleato rimaneva scoperto.
La liberazione. - Ebbe luogo nei mesi di settembre-ottobre del 1944. Dopo aver occupato quasi tutta la Francia settentrionale le armate alleate mossero decisamente verso la frontiera belga, che fu varcata tra gli ultimi giorni di agosto ed i primi di settembre. Contingenti canadesi, avanzando lungo la costa, raggiunsero Nieuport nella giornata del 7, Ostenda il 9. La 2ª armata inglese, dal suo canto, avanzando di oltre 300 chilometri in meno di una settimana, entrava nella giornata del 3 settembre a Lilla ed a Bruxelles e s'impadroniva, con azione di sorpresa, del porto di Anversa. Riusciva quindi a stabilire, tre giorni dopo, una testa di ponte sul Canale Alberto, costituente l'estrema linea difensiva tedesca in territorio belga. Più a sud, la 1ª armata americana s'impadroniva di Charleroi e Namur, ed il giorno 7 giungeva a Liegi.
Etnografia e storia antica.
Gli studî recenti consentono una più esatta e completa conoscenza dell'etnografia e della storia dell'antica Belgica, rispetto alle notizie già date alla voce belgi (VI, p. 503).
Poiché la Belgica antica aveva un'estensione assai maggiore del Belgio attuale, dobbiamo ampliare la nostra visuale all'intera zona tra il Reno, la Schelda, la Senna e la Marna. Le più antiche popolazioni ci sono note solo dai relitti archeologici: della facies Mesviniana, Mousteriana e Aurignaciana per l'età paleolitica; di varie facies per la mesolitica; di tipo "omaliano" per la neolitica.
Con la fine del periodo neolitico, e con la successiva età del bronzo, si incominciano ad intravvedere le questioni etnologiche, in relazione coi reperti degli scavi. Notevoli soprattutto le stazioni su palafitte, che da una parte richiamano quelle della Savoia, della zona renana, ecc., dall'altra i Crannogs di oltre Manica, e che, messi in rapporto con la diffusione del rito incineratorio per i morti, e con la toponomastica di tipo "etruscoide" quale quella in -enna (Arduenna, Taruenna, Cevenna, Vienna, ecc.), fanno pensare ad una propaggine dei nord-etruschi, spintasi verso il nord-ovest.
Ma l'ethnos preceltico più diffuso, almeno a partire dalla parte meridionale e costiera della Belgica, verso il sud, dové essere quello "ligure", attestato ancora nel sec. V a. C., da Imilcone (v. oltre) sulla Manica. Con ciò concorda anche la persistenza nella regione, e in quelle finitime, di una onomastica di tipo ligure, quale quella con desinenza -asco e -asca. A questi Liguri deve, in massima, appartenere la scarsa suppellettile della tarda età del bronzo.
La tesi, comunemente accolta, secondo cui verso il 500 a. C. penetrarono nella regione Belgica i Celti, e solo due secoli dopo, intorno al 300, gli affini Belgi, che si sarebbero sovrapposti a quei proto-Celti, va respinta in base alle fonti letterarie. Cesare (De bel. gall., II, 4,1) afferma solo che gran parte di quelli che erano chiamati Belgae ai tempi suoi, erano Germani, giunti da gran tempo d'oltre Reno e sovrappostisi - fondendosi con essi - ai Belgi-Celti; ma non ci fornisce nessuna notizia circa la provenienza di quest'ultimi.
Invece pare evidente che i Belgi, come gli altri Celti, venissero dalla zona danubiana; ch'essi costituissero anzi una delle prime espansioni celtiche verso l'ovest ed il nord-ovest; e che portassero con sé la prima fase della tipica civiltà del ferro, detta di Hallstatt.
Di fatto, archeologicamente, si può seguire tutto un filone di questa civiltà che si addentra fin nella Belgica, attraversp la Svizzera e la zona lorenese; ossia per quelle regioni in cui Cesare localizzava le tribù celtiche più affini alle belghe (De bello gall., I, 5,4;9;10;11; 25,5-6;40,11; VII, 56,2;63,7; VIII,1,2; Strabone, IV,1,1; Plinio, Nat. hist., IV, 17, 106). Tale priorità spiega anche i dati linguistici, da cui risulta che quei primi Celti parlavano il dialetto cosiddetto di tipo "goidelico", mentre i Celti sopraggiunti usavano il dialetto del tipo "cimrico": e ciò perché quelli dovevano provenire dalla zona danubiana occidentale, e questi dalla orientale, dove si erano formati, per la vicinanza geografica, fenomeni fonetici comuni anche ai dialetti italici osco-umbri. Che la civiltà di Hallstatt sia stata importata con una migrazione di genti, quando era già formata, è dimostrato dalla mancanza di fasi di transizione con la facies precedente nella Belgica.
Il passaggio graduale, specie nelle zone più meridionali del paese, alla successiva civiltà de La Tène, è dovuto all'irradiamento culturale dalla zona celtica presso Marsiglia, dove quel tipo di koinè culturale celto-greca ebbe origine. Durante queste due fasi della civiltà dei Belgi si dovettero, in massima, verificare le prime penetrazioni di Germani, da oltre Reno; ma essi dovettero presto celtizzarsi, entrando a far parte dei Belgi.
Archeologicamente, questa parziale e precoce infiltrazione di Germani pare spiegare: la persistenza del rito crematorio, ch'era usato anche dai Germani nella Belgica settentrionale; la modestia della suppellettile di varie necropoli, specie nel primo periodo dell'età di La Tène; le frequenti fortificazioni, come ad Hastedon, Buzenol e Titelberg, ed i tesori nascosti e poi dimenticati (cfr. a Frasnes-lez-Buissenal nell'Hainaut), che testimoniano una vita agitata durante l'epoca celtica. Invece per la lingua il sopravvento del celto sulle parlate dei migrati germani dovette essere generale e precoce, già avanti l'età di Cesare.
Questo fenomeno spontaneo fu poi favorito dall'opera di Roma, dopo la conquista, perché, per reggere all'azione di sempre nuove infiltrazioni di Germani, fu rafforzata la coesione dei Belgi cogli altri Galli, salvandone così il celtismo; mentre, in seguito, fu creata una zona di sbarramento militare ed etnico tra il mondo gallico e quello germanico, colla creazione, lungo il Reno, delle due provincie di "Germania" latinizzate profondamente per l'azione dei castra delle legioni: in tal modo anche le più germanizzate delle tribù belghe, come quelle dei Nervi e dei Treveri, dovettero perdere o velare assai il loro germanesimo.
La romanizzazione della Belgica fu grandemente favorita dalla costruzione di una grande rete viaria stabile, con le opere connesse, in luogo delle vecchie piste; e dalla creazione, specie nella parte più meridionale, di almeno una vera città o municipium per ognuna delle tribù: il che spiega come tante città moderne, quali Amiens, Beauvais, Arras, Tongres, Metz, Meaux, Reims, Senlis, Soissons, Trèves, Vermand, Langres, abbiano nomi che derivano da quelli delle antiche tribù. Nella parte settentrionale, ossia in quella celto-germanica della Belgica, le città furono meno numerose; mentre ne furono tipiche le villae, che continuavano romanamente gli aedificia, già descritti da Cesare; da esse derivarono, anche per la toponomastica, molti degli attuali comuni rurali.
Il problema dell'importanza etnica e culturale delle nuove migrazioni germaniche, che si riversarono sulla Belgica nel tardo Impero, specialmente di quelle dei Franchi, e dei rapporti tra di esse e l'attuale separazione linguistica fra Fiamminghi e Valloni, è stato in questi ultimi anni affrontato più volte, sullo sfondo di opposti nazionalismi, e quindi forzato, più o meno, in sensi opposti. Non si può, secondo noi, negare che i Franchi si siano spinti fino in terra vallone, anzi almeno fino alla Senna; ma, mentre in alcune zone essi furono culturalmente assorbiti, e prese il sopravvento un dialetto neolatino, in altre essi prevalsero, e con essi un dialetto germanico. Ciò non si deve solo alla varia proporzione numerica, nelle diverse zone, tra gli indigeni ed i migranti, e alla differente reazione su questi ultimi delle zone con forti popolazioni celto-romane riunite in municipî, o sparse invece in piccoli vici agricoli facilmente dominabili; ma anche al fatto che l'azione germanica dei nuovi immigrati nelle zone più settentrionali ed orientali, andò a risvegliare e rinforzare lo strato etnico germanico, che vi era penetrato più numeroso già nell'età preromana e che, se era stato belgicizzato e poi romanizzato, non era però del tutto spento, ma latente.
Archeologia preistorica. - Gli scavi degli ultimi decennî hanno dimostrato, per la più antica età della pietra nella Belgica, la quasi assenza di utensili dei tipi chelleani, acheuleani e solutreani, mentre si rinvennero elementi per il mesviniano, il mousteriano e l'aurignaciano a Omal, Lommel, Zonhoven, Zolder e Fond-Robert. Del mesolitico, di varie facies si ebbero trovamenti a Wichelen, Overpelt e Campine. Per l'età neolitica sono notevoli i trovamenti, di tipo "omaliano", fatti nell'Hesbaye e nell'Hainaut, in villaggi di fondi di capanne, con ceramica avvicinabile alla Bandkeramik dei paesi tedeschi. Le scoperte di abitati palafitticoli, cui alludemmo in precedenza, sono avvenuti nella Fiandra occidentale: a Denterghem, a Roulers e ad Afsné, e nel Brabante a Briford e ad Ottenbourgh, con persistenze fin nell'età del ferro presso Maline a Neckerspeel, e presso Anversa ad Austruweel ed a Contich. I ritrovamenti dell'età del bronzo, fatti in questi ultimi tempi nella Belgica, sono stati sporadici, specie nel bacino della Schelda: una tomba fu rinvenuta ad Appelt nel Lussemburgo. Inediti sono tuttora i reperti dell'età di Hallstatt, compiuti ad Havré e Bovigny; mentre appartengono alla fase di La Tène quelli di La Hutte nel Lussemburgo. Per la ceramica cosiddetta belgo-celta nuove scoperte furono fatte a Tournai e a Péronne-lez-Binche.
Archeologia romana. - Per il periodo romano gli scavi hanno, innanzi tutto, fornito nuovi reperti ad illustrazione della rete viaria e delle opere connesse (ponti, luoghi di sosta, taverne, fortini, colonne itinerarie, ecc.), specie per alcune delle sette vie che facevano capo a Bagacum, la moderna Bavaj. Conosciamo ora meglio la via Mansuerisca, attraverso le Hautes-Fagnes, con fondo di pietrame su tavolati di legname, e quelle Arlon-Tongres, Nimega-Tongres, Reims-Colonia, Bavai-Trèves, BavajGand, coi relativi diverticula.
Quanto alle città, furono scoperti a Tournai resti dei secoli II-IV d. C.: ipocausti, iscrizioni, sostruzioni, ecc.; a Tongres, con scavi sistematici dal 1932 in poi, due recinti di mura di cui uno più ampio del sec. I d. Cr., e l'altro più ristretto del tardo Impero, con torri e porte d'accesso, pavimenti stradali e tombe; a Namur, l'antica Namurcum, sostruzioni e resti dei secoli II-IV, ed una necropoli del I; ad Arlon (Orolaunus vicus), parte di una cinta del sec. IV, una basilica cristiana del IV-V, monumenti funerarî dal I in poi, ed iscrizioni. Ma, mentre nella Belgica meridionale, come già dicemmo, si ebbero frequenti municipî, coi loro edifici pubblici: terme, come a Linnebonne e ad Arlon, templi come a Beauvais e a Daubourg, are come a Charleville, teatri ed anfiteatri come a Lillebonne, Senlis, Soissons, Beauvais, Amiens; invece nella Belgica settentrionale si rinvennero soprattutto resti di vici: uno a Vieux Virton, l'antica Vertunum, sviluppato nel sec. I, distrutto nel III, con tesori comprendenti circa 13.000 pezzi monetarî; altri a Neele, la "città dei Nervi"; ad Assche, con resti dei secoli I-IV; alla stazione fluviale di pesca di Monceau-sur-Sambre. Sono state studiate stazioni itinerarie, specie quelle di Catualium e Feresne, sulla via da Nimega a Tongres, e campi di legioni, mentre, da una serie di fortini arretrati, cui la via Boulogne-Colonia serviva di arroccamento, si poté dedurre che il limes fu spostato, di fronte alle invasioni germaniche del sec. III d. Cr. Numerose necropoli dei secoli I-III sono state scoperte nella zona sud-orientale, ad es. ad Haillot ed a Prunay; mentre nuovi trovamenti e studî si fecero per i tumuli, in cui erano seppelliti i ricchi proprietarî rurali delle villae dell'Hesbaye, lungo la strada da Bavaj a Tongres, tumuli che perpetuano un tipo locale, modernizzato in epoca romana per i sistemi costruttivi e l'arredamento.
Nuovi trovamenti vennero ad aggiungersi, nell'area del Belgio attuale e del Lussemburgo, da tali villae, spesso arricchite di marmi, pitture, mosaici, stucchi, bagni, porticati, scuderie, officine e cantine. La ceramica del periodo romano, dei secoli I-III, fu studiata a fondo, specie per la cronologia delle varie facies, in base ai nuovi trovamenti; per il tipo di sigillata soprattutto a Tongres, Assche, Charleroi, Elewyt e Mechelen; per le officine di tipo locale ad Hambusart presso Virton ed a Thuisy. Ceramica di tipo tradizionale, belgo-celta, si rinvenne a Tournai e Péronnelez-Binche. Una notevole quantità ne fu raccolta a Nimega.
Delle famose vetrerie di Boulogne, Amiens, Reims, Vermand, Colonia, creanti delicati modelli a millefiori, iridati, incisi, ecc. si fecero nuove scoperte: si constatò che non meno di 1500 esemplari, dal 150 al 350, furono eseguiti a Colonia, donde si diffusero fino ad Ostia. Nuove sculture romane si rinvennero a Tirlemont, dell'epoca di Traiano e Adriano; a Tongres una statuetta di Mercurio trifallico e frammenti di figurazioni fittili.
Bibl.: Etnografia e storia. - Per il periodo preistorico: Saccasyn-della Santa, La Belgique préhistorique, 1946; B. de Loë, Catalogue de la Belgique des musées de Bruxelles, I, III, Bruxelles 1928-37; Ch. Dubois, Le Luxemb. préhist. et protohist., in Ann. Inst. arch. du Lux., 1939, p. 1; E. Schneider, Mat. zu einer Felskunde der Lux. Landes, Lussemburgo 1939; L. Van de Weerd-R. De Maeyer, Gesch. van Vlaanderen, I, 1936; A.W. Bijvanck, De vorgesch. in Nederland, Leida 1941. - Per il periodo celtico: H. Hubert, Les Celtes, Parigi 1932; Hawkes Dunning, The Belgae of Gaul and Britain, in Arch. Journ., 1930, p. 150 segg.; L. Pareti, Problemi sulle origini dei Belgi, in Mem. Acc. d'Italia, VII, 4, fasc. 8, 1943, p. 203; V. Tourneur, Les Belges avant César, 1944. Per il periodo romano: L. Pareti, Problemi sulla conquista romana della Belgica, in Riv. Filol. Class., 1943; id., Quanti erano i Belgi ai tempi di Cesare, in Athenaeum, XXXII (1944), p. 63; L. Van de Weerd, Inheit tot de Gallo-rom. arch. der Nederlanden, 1944; J. Breuer, La Belgique romaine, 1944, Faider-Feytmans, De rom. Colonis. in de Nederl., 1948. - Per l'estensione e l'effetto delle migrazioni franche: F. Petri, Germ. Volkserbe in Wallonien und Nordfrankr., 2 voll., Bonn 1937; F. Steinbach-F. Petri, Zur Grunde des Eur. Einh. durch die Franken, Lipsia 1939.
Archeologia preistorica. - Per la facies politica cfr.: H. Danthine, in 63° Congr. de l'ass. franç. pour l'av. des Sciences, 1939, p. 160 segg.; per i reperti di Omal, Mém. Soc. Sc. de Liège, 1943; per Lommel, Zonhoven e Zolder, in Bull. soc. préh. franç., XXXV (1938), n. 2; XXXVI (1939), n. 11; 1913, n. 7-9; per Fond-Robert: Bull. soc. d'Anthrop. de Brux., 1934, p. 65 seg.; 1935, p. 29 segg.; Bull. soc. préhist fr., 1935, p. 175; Ann. Congr. Arch. d'Anvers, 1930, p. 135; per il neolitico: Bull. soc. Belg. d'Anthrop. et Préhist., I, 1936; Ant. Classique, XI (1942), p. 103; per le stazioni su palafitte: B. de Loë, op. cit., I, p. 178, 183, 232, 241; II, 91, 93, 121, 176; III, 49, 339; per i trovamenti dell'età del bronzo: Bull. soc. Belg. d'Anthrop., 1936; Archéol., 1938, p. 4 segg.; 1939, p. 3; Ant. Class., VIII (1939), p. 425 (Appelt); per i reperti halstattiani: J. Déchelette, Man. d'archéol. celt., II, pp. 103 segg., 169 segg.; B. de Loë, op. cit., II, p. 143 segg.; H. Hubert, Les Celtes, Parigi 1932, p. 309 segg.; per quelli di tipo La Tène di La Hutte: Archéol., 1945, p. 167 segg. Per la ceramica belgo-celta: Ant. Class., 1942, p. 243 segg.; 1947, p. 79 segg.
Archeologia romana. - Carte Archéol. de la Belgique Rom., 1941, a 1: 320.000. J. Breuer, Le strade romane nel Belgio, Roma 1938; A. Bertrany, Le mus. d'Arlon, 1935. Per Vertunum: Ch. Dubois, Vertunum, Virton 1937. Per il limes: J. Vannérus; Le limes de Belg., 1943; G. Faider-Feytmans, in Mél. Marouzeau, 1948, p. 161. Per le villae: G. De Maeyer, De rom. Villa's in België, Anversa 1937, e De Ovesbl. der rom. villa's in België, I, Anversa 1940. Per la ceramica: J. H. Holwerda, De belg. waar in Niimegen, 1941. Per la diffusione dei vetri di Colonia: Fr. Fiemendorf, Röm. Gläser aus Köln, Colonia e Lipsia 1939; L. Hahl, Zur Stilenentw. der prov. röm. Plastik in Germ. und Gallien, Darmstadt 1937; H. Koethe, La sculpt. rom. aux pays des Trévires, in Rev. Arch., 1937, II. Sugli scavi e sugli argomenti trattati esiste una serie di articoli e di relazioni su varie riviste in gran parte belghe; per la preistoria v. soprattutto: Bulletin soc. d'anthropologie de Bruxelles; Bulletin soc. Belge d'Anthropologie et Préhistoire; Bulletin soc. prehist. française. Per il periodo romano v. Antiquité classique; Bulletin Académie Roy. Belg.; Bulletin Inst. Arch. de Luxembourg; Ann. soc. arch. de Namur, e altre riviste minori. Per questa voce si sono anche utilizzate alcune pagine sugli scavi in Belgio nell'ultimo ventennio di G. Faider Feytmans.
Arti figurative (p. 530).
L'arte belga contemporanea è stata sempre più vivamente influenzata, e in certo senso rinnovata, dall'espressionismo di tipo fiammingo, rappresentato specialmente da C. Permeke, e da un suo numeroso seguito: Friz van den Berghe, Gustav De Smet, R. Jespers, E. Tytgat, J. Brusselmans, mentre l'anziano I. Ensor è divenuto man mano una figura completamente isolata. Partito l'espressionismo, secondo gli impulsi originarî di tale poetica, da un veemente spirito deformatore, tutto irritazioni e torbide frammentazioni, esso venne in seguito attenuando la propria natura, perdendo in enfasi, liberandosi dalla retorica disgregatrice che ne investiva alcuni momenti, anche tra i più energici. L'espressionismo belga veniva a patti con la realtà oggettiva. Così, negli anni subito precedenti all'ultima guerra, esso appariva già stanco, sfiduciato, e in procinto di rientrare nei ranghi di una cultura calma e discreta. Di qui, scendeva insensibilmente nel così detto "animismo" belga, che in qualche modo si ispira al realismo fiammingo del 1600: piccola vita quotidiana, aura di poesia intima e crepuscolare. Dopo il 1945, terminata la guerra, la giovane generazione si è data a un realismo vivace, lirico, sensuale, tutto inteso, sul terreno pittorico (e anche in quello della scultura, ma con minore evidenza), a ritrovare le grandi leggi maestre della cosiddetta "tradizione". I nomi più in vista sono: L. Van Lynt e G. Bertrand, che accusano ancora qualche residuo espressionista; M. Mendelson; Anna Bonnet; Jan Cox; e Ch. Pry, che passa da una pittura surrealista a composizioni di contenuto religioso.
Il contatto con i fermenti più vistosi dell'arte europea è oggi stabilito dai pittori astrattisti, non-figurativi e neo-plastici: C.S. De Boeck, W. Vaes, S. Bauguiet, e altri. Anche la scultura tenta, sempre su scala assai ridotta, di seguire le esigenze di linguaggio imposte dagli avanguardisti.
Danni di guerra alle opere d'arte.
I danni più gravi, dal punto di vista artistico, causati dalla seconda Guerra mondiale sono segnalati a Courtrai, Liegi, Lovanio e Tournai. A Courtrai, la chiesa di S. Michele è andata completamente distrutta, mentre la chiesa di Notre-Dame ha avuto, tra l'altro, demolita una parte del deambulatorio e la volta della navata settentrionale. Dei grandi mercati dei panni rimangono solo le mura perimetrali; e le collezioni del museo d'arti industriali, che vi erano state depositate, sono state annientate. A Liegi sono stati più o meno gravemente danneggiati la cattedrale, le chiese di S. Giacomo, di S. Niccolò, di S. Pholien, il palazzo Ansembourg, sede del museo delle arti decorative, le cui collezioni hanno subìto perdite non indifferenti, il museo archeologico, il museo di vita vallone, il palazzo dei principi vescovi, il palazzo comunale, la casa Vauderhaven, l'antica abbazia di S. Benedetto. Particolarmente gravi sono i danni arrecati alle vetrate delle chiese di Liegi, che sono state in buona parte polverizzate. A Lovanio, il transetto settentrionale della chiesa di S. Pietro è stato demolito, mentre la chiesa di S. Geltrude è quasi completamente distrutta. I danni che ha subito la chiesa di S. Michele sono riparabili. La Biblioteca dell'università ha perso quella parte di volumi che era sistemata nella torre il cui interno fu completamente distrutto, nel 1940, da un incendio. In quest'occasione le collezioni del museo Spoelberck, che vi erano state trasferite all'inizio della guerra, hanno sofferto danni gravissimi. A Tournai, nella cattedrale furono distrutti dal fuoco provocato da bombe incendiarie il tetto, le vetrate e la cappella di Notre-Dame. E gravissimi danni, che in alcuni casi equivalgono quasi alla distruzione totale degli edifici, hanno subito la chiesa di Sainte-Brice, quella di S. Quintino, la cappella di S. Vincenzo e la biblioteca del vescovado. Sono state demolite le vetrate della chiesa del Castello (S. Niccolò), delle chiese di Saint-Piat (sec. XIII) e parte di quelle della chiesa di S. Giacomo. Il palazzo comunale con tutti gli archivî della città è stato annientato da un incendio. I bombardamenti aerei hanno pure demolito un numero considerevole di antiche case e danneggiato il Pont-des-Tours (sec. XIV). A La Gleize, che è stata quasi interamente distrutta dai cannoneggiamenti, circa un terzo della chiesa parrocchiale è demolita. Della celebre abbazia di Averbode non rimangono che le mura. Tra le altre città del Belgio che hanno sofferto gravi danni nei loro monumenti artistici, si ricordano Aloost (case del Béguinage), Dinant (chiesa di Notre-Dame), Gheel (chiesa di Sainte-Dymphne), Hasselt (chiesa di S. Quintino), Huy (ponte del sec. XIII), Malines (chiesa di Notre-Dame), Malmédy (chiesa dell'abbazia), Nivelles (chiesa di S. Caterina). Anche i castelli di Bauvaux-en-Coudray presso Liegi e di Hingène presso Anversa sono stati seriamente danneggiati.