BEGRAM
Il B. di Kāpishī in Afghanistan (v.), che si trova alla confluenza del Panshir e del Gorband, ai margini di una fertile vallata, fu capitale di sovrani indo-greci e, in seguito, residenza estiva dei sovrani indo-sciti, i Kuṣāṇa, che avevano per capitale invernale Mathurā. La sua posizione geografica, là dove s'incontravano le strade provenienti dalla Siria greco-romana, dall'Irān ellenizzato dei Parthi, dall'India e dalla Cina attraverso l'Asia Centrale, era tale da attribuire al B. una particolare importanza agli inizi dell'èra cristiana. In tale epoca difatti, grazie alla pace romana in Oriente, alla unità della Cina realizzata dalla dinastia Han, ed alla fondazione del regno indo-scita dei Kuṣaṇa, il commercio fioriva attivamente lungo quelle strade gettando un quadruplice ponte tra le grandi civiltà greco-romana, iranica, indiana e cinese. Joseph Hackin, capo della Delegazione archeologica francese in Afghanistan, vi iniziò nel 1936 degli scavi che portarono alla luce le piante di tre città sovrapposte, la più antica delle quali daterebbe dagli Achemènidi, mentre la più recente sarebbe da ascrivere ai Kuṣaṇa. Un vero e proprio tesoro fu poi scoperto grazie a scavi eseguiti nel 1937 e 1939; esso giaceva in due stanze contigue appartenenti alla dimora di un re o di un signore. Un notabile kuṣāṇa, sorpreso dall'invasione iranica, aveva raccolto in queste due stanze, poi murate, gli oggetti più preziosi del suo patrimonio: vetri, gessi e bronzi greco-romani, tazze e scatole in lacca cinese, sedie indiane rivestite di placche d'avorio e d'osso scolpito. Il ritrovamento di oggetti lavorati in avorio è stato di estremo interesse: per la prima volta si aveva sott'occhio il lavoro degli scultori indiani in avorio, fino ad allora noti soltanto attraverso testimonianze letterarie e l'iscrizione dello stūpa (v.) di Sanchi (v.) che menzionava un bassorilievo sulla porta S scolpito e offerto dagli scultori in avorio di Vidisha.
Questi avorî sono espressione di una cultura assai raffinata, e occupano un posto importante nell'evoluzione dell'arte indiana (v. anche Battriana, arte della). Essi testimoniano una grande abilità tecnica e un senso artistico sviluppatissimo. Erano destinati a coprire sedie come quelle che figurano nei bassorilievi indiani dell'epoca; erano applicati su un telaio di legno che non si è conservato e dal quale erano separati talvolta con una piastra di mica; per fissarli, si impiegavano chiodi di rame o, negli esemplari più curati, caviglie di avorio. Varia la tecnica della lavorazione: gli esemplari più semplici sono incisi soltanto, senza alcuna ambizione di rendere il rilievo; altri hanno il bordo frastagliato, e la parte non decorata è traforata, con un effetto di rilievo; il tipo più perfetto era frastagliato, con un leggero rilievo nella parte concava; altri avori, infine, erano trattati in altorilievo e talvolta scolpiti sulle due facce. Eccetto due placche che illustrano scene di jātaka (vita anteriore del Buddha), tutti questi avori sembrano appartenere all' arte profana; e pertanto, grazie alla loro scoperta, ci è dato conoscere la vita indiana dell'epoca, soprattutto la vita femminile, poiché pare che l'uso di queste seggiole fosse riservato alle donne che le tenevano nei loro appartamenti. Difatti nella decorazione la figura virile appare raramente, ad eccezione di qualche scena di caccia, mentre la maggior parte delle composizioni riguarda l'abbigliamento e le acconciature femminili. È possibile, sulla traccia che queste rappresentazioni ci offrono, conoscere le donne nelle loro diverse occupazioni, compresi i giochi e le danze, conoscere i mobili che usavano, le vesti, i gioielli, gli strumenti musicali e così via, ed anche i mezzi di trasporto che impiegavano e l'ambiente in cui vivevano.
Ma queste placche non rappresentano sempre scene figurate; un gran numero di esse hanno carattere semplicemente decorativo e spiccano per varietà e ricchezza di motivi. Numerosi fregi rappresentano file d'animali: grifoni che poggiano sulle zampe anteriori, mentre la parte posteriore del corpo è eretta; uccelli, che costituivano un motivo ornamentale assai in voga nell'epoca kusạṇa (come testimonia il fregio che decora il reliquiario di Kaniska), colti in volo, o posati, o talvolta tra foglie di loto. Altre volte i motivi sono soltanto vegetali: fusti sinuosi di loto o di ashoka dai quali pendono foglie, fiori o frutta. Un tema frequente è pure quello dell'anguipede, derivato insieme dal tritone greco e dal motivo mesopotamico di Gilgamesh (v.). Lo si può osservare a B. sia su placche isolate, dove il suo aspetto è simmetrico, con le due code inghiottite da makara (mostri marini), sia su fregi dove la sua funzione è più marcatamente decorativa e pertanto si allontana sempre più dalla raffigurazione originale. Infine, animali impennati, in altorilievo montati da figure femminili; questi ultimi servivano da sostegno alla traversa delle seggiole.
Questi avorî mostrano, nella maggior parte, chiare affinità con l'arte di Mathurā, e ciò non deve stupire, poiché in quell'epoca sia B. che Mathura appartenevano all'Impero kuṣāṇa: ma alcuni particolari decorativi, come per esempio i motivi di fogliame, sembrano più vicini all'arte di Amarāvatī.
Gli oggetti in vetro che sono stati trovati in gran numero a B. sembrano provenire da Alessandria, a giudicare dal loro stile e dalla decorazione. Anche qui, la tecnica della lavorazione è assai varia: bicchieri "millefiori" talvolta abbelliti con foglie d'oro incrostate, bicchieri decorati in rilievo eseguito a caldo, numerose ciotole con decorazioni a losanga, vasi in vetro blu o incolore circondati da una reticella di fili di vetro, fiale costolate, flaconi da profumo ittiomorfi, ciotole o tazze di vetro dipinto. Queste ultime, che serbano nel colore una freschezza stupefacente, hanno carattere nettamente ellenistico. In genere portano sul bordo una doppia filettatura giallorosso ocra, e rappresentano sia combattimenti, di eroi o di gladiatori, sia temi mitologici: Europa, Ganimede, Dioniso ed Hermes, ecc. (v. Tavola a colori).
Alcuni rilievi in gesso, anch'essi di probabile provenienza alessandrina, sono calchi presi su pezzi di argenteria che venivano usati frequentemente nell'epoca ellenistica, e che servivano come modello nelle botteghe degli scultori e degli orafi, o come campioni per i compratori. I loro temi sono tipicamente greci: Dioniso col suo seguito di satiri e di menadi, scene di sacrificio, la testa di Atena, la Tyche di Alessandria, ed altri. Il loro ritrovamento è stato importante, poiché ci ha fornito una cinquantina di questi modelli, oggetti rarissimi per noi, data la materia. Alcuni oggetti di alabastro e di bronzo sono di provenienza greco-romana. Si tratta di statuette, flaconi a forma di teste ellenistiche, vasi, utensili e un curioso scudo o aquarium (?) circolare decorato al centro con una testa di Medusa circondata da pesci che hanno le pinne e le code mobili grazie a un sistema di anelli e di pesi sul rovescio dell'oggetto.
Infine, piccole scatole, ciotole o coppe in lacca erano unite al tesoro; il loro scheletro in legno era stato distrutto però dall'umidità e, pertanto, ne restano solo frammenti che mostrano una decorazione stilizzata di color rosso che si stacca su un fondo scuro. Essi presentano caratteri comuni agli oggetti trovati a Lo-Lang, in Corea, che datano dall'epoca Han; e ciò concorda con la datazione di altri rinvenimenti e con l'epoca dell'invasione sassanide di Begram.
Bibl.: J. Hackin-J. Carl, Recherches arch. à B., Parigi 1939; J. Hackin, Nouvelles recherches arch. à B., Parigi 1954; R. Ghrishman, B. Recherches arch. et hist. sur les Kouchans, Il Cairo 1946; P. Hamelin, Matériaux pour servir à l'étude des verreries de B., in Cahiers de Byrsa, III, 1953 e IV, 1954; id., in Libyca, III, 1955, i, p. 81 ss.; Ch. Picard, in Mon. Piot, XLVIII, i, 1955; B. Rowland, The Art and Architecture of India2, Harmondsworth 1956, pp. 69-93; A. Adriani, in Arch. Class., VII, 1955, p. 124 ss.