BECCARIA (de Becariis), Beccario
Nacque, probabilmente, nell'ultimo quarto del sec. XIII, a Pavia, da uno dei rami più illustri della casata. Figlio del "miles imperialis" Nicoletto, giurista e uomo politico, seguì un regolare corso di studi addottorandosi con ottimi risultati, non sappiamo presso quale università, in diritto canonico; profondo conoscitore delle dottrine giuridiche, nel primo decennio del sec. XIV, venne creato giudice a Pavia nelle fonti: egli appare infatti sempre accompagnato dal titolo di "legum doctor" o di "leg. decret. Doctor", e "iudex iensis" viene definito in un atto aretino del 20 luglio 1312, che contiene la prima citazione sicuramente datata a lui relativa (in quest'atto, una procura di Giovanni da Caligine in Nicolò da Laxevele, compare come testimone).
Nel 1314 il "iudex Papiensis" B. era a Milano, ove presiedeva a quell'ufficio sui beni dei ribelli che Matteo Visconti aveva istituito dopo la morte di Enrico VII di Lussemburgo (1313, agosto); l'anno seguente sostituì a Monza, come vicario, Marco Visconti, podestà di quella cittadina; nel 1317, sotto la sua direzione e col suo consiglio, vennero riformati a Pavia molti degli statuti del Collegio dei mercanti. Nel 1322 il B., ricordato come "miles imperialis" (non sappiamo né quando né grazie a quali benemerenze egli fosse stato insignito di tale titolo: è comunque questa la prima volta che egli viene così qualificato dalle fonti), fu podestà a Vercelli sino al 22 luglio, quando passò, sempre con l'incarico di podestà, a Savona, che resse sino al 21 genn. 1323 e dove lasciò duraturo ricordo di sé per aver intrapreso alcune opere pubbliche.
Quali siano state queste opere pubbliche, non ci è dato ora di stabilire: le notizie in proposito dei cronisti contemporanei sono vaghe. Sappiamo solo che egli fece aprire, nelle vicinanze delle mura cittadine, una comoda strada di circonvallazione.
Alla morte di Manfredi, capo della consorteria tradizionalmente filoimperiale dei Beccaria pavesi (22 marzo 1322), il B., che della consorteria era allora l'esponente più qualificato e ragguardevole, ne assunse la direzione, divenendo in tal modo uno dei maggiori capi del ghibellinismo cittadino. Appunto in questa sua nuova veste egli venne citato (il 6 apr. 1322), insieme con altri trentasette maggiorenti pavesi, dagli Inquisitori di Lombardia a presentarsi dinnanzi al loro tribunale riunito a Valenza sul Po, per rispondere dell'accusa di aver prestato aiuto e di aver ordito intrighi a favore dei Visconti, scomunicati come eretici e ribelli da Giovanni XXII. Il 6 maggio 1322 il B. con gli altri, coinvenuti venne dichiarato contumace e condannato. La scomunica fu solennemente confermata il 15 genn. 1323 quando, nel palazzo vescovile di Piacenza, ove risiedeva il cardinale legato frate Lanfranco, alla presenza di quest'ultimo gli Inquisitori pronunziarono la loro sentenza ufficiale contro i ghibellini pavesi. Tale condanna ed indubbie difficoltà d'ordine politico dovettero compromettere l'azione del B. che, assorbito anche da molteplici impegni relativi alla sua carriera podestarile e d'altro canto incapace di far fronte alle ambizioni ed agli intrighi dei suoi concittadini, vide indebolirsi la propria posizione all'interno della sua stessa consorteria: tra il 1323 e il 1326 egli dovette cedere il passo davanti all'intraprendenza del più giovane e più abile cugino Castellino di Musso Beccaria, il quale del resto lo aveva già affiancato nella direzione della consorteria ed aveva con lui già collaborato sin dall'epoca della morte di Manfredi Beccaria. Nel 1328, infine, un nuovo e più grave episodio comprometterà ulteriomente nei confronti della Chiesa il B. nuovamente scomunicato.
Nel 1328 Giovanni XXII aveva inviato dalla Francia al cardinale Bertrando del Poggetto - comandante le truppe pontificie operanti contro i Visconti ed i loro fiancheggiatori nella pianura padana, allora a Piacenza - un convoglio che trasportava 60.000fiorini d'oro, somma cospicua del tesoro della Chiesa, da destinarsi alle paghe dei soldati ed alle più urgenti spese di guerra. Il convoglio entrato nel territorio pavese venne assalito, forse a Casteggio nell'Oltrepò, da bande armate: gli inviati ed i militari pontifici furono fatti prigionieri ed incarcerati nelle segrete del castello di Silvano; il denaro diviso tra gli assalitori. La rapina, stando alle fonti, era stata progettata e attuata dagli esponenti più in vista delle consorterie pavesi dei Beccaria e dei Da Corte.
Quale parte vi abbia avuto il B. e quali siano state le sue precise responsabilità, non ci è dato sapere: i cronisti contemporanei accomunano sotto la stessa accusa, senza far distinzioni, il B. e gli altri maggiori esponenti delle due famiglie; in ogni caso, proprio per aver partecipato al colpo di mano di Casteggio, il B. venne nuovamente scomunicato assieme ai suoi consorti (il decreto di assoluzione, oltre al suo, fa il nome di altri dodici Beccaria). L'aver contribuito a far sì che venisse restituito il maltolto e l'atteggiamento certo più accomodante del nuovo pontefice Benedetto XII porteranno poi il B. a riconciliarsi con la Sede apostolica. Tolti (23 giugno 1341) scomunica e interdetto lanciati su maggiorenti pavesi e sulla città stessa per l'appoggio dato ai viscontei, il B. poté essere riammesso alla comunione della Chiesa (1º luglio 1341), per la successiva concessione fatta da Benedetto XII ai vescovi di Cremona e Lodi, interessante 763nominativi, tra cui 106di cittadini pavesi, che accettarono di sottostare alle condizioni imposte dai due presuli e di restituire i beni ecclesiastici usurpati.
Al mutato atteggiamento politito del B. nei confronti della Sede apostolica - atteggiamento che lo aveva portato a farsi promotore, in seno alla sua stessa consorteria ed in quella dei Da Corte, di una riconciliazione generale con la Chiesa - non dovettero essere estranee le preoccupazioni sempre maggiori che la crescente invadenza della politica viscontea suscitava negli ambienti responsabili pavesi, e la conseguente necessità di trovare altrove alleanze ed appoggi.
Sembra tuttavia che fin dal 1325 il B. si fosse estraniato sempre più dalla vita politica della propria città, assorbito dai molteplici impegni che gli derivavano dalla sua carriera podestarile, impegni che lo portarono, anno dopo anno, ad amministrare numerosi Comuni dell'Italia settentrionale, ovunque chiamato dalla fama di giurisperito di grande dottrina, dalla voce di uomo amante delle arti e delle lettere, ed ovunque lasciando buon ricordo di sé e dell'onestà della sua amministrazione. Dall'epitaffio, che fu apposto sulla sua tomba e che contiene tutta la storia della sua vita pubblica, veniamo a sapere che il B. brillò essenzialmente nella carriera podestarile: podestà e rettore a Monza, podestà a Savona, a Como e a Vercelli per due volte, per quattro a Bergamo ed a Mantova, per una a Lucca, a Milano, ad Asti. Dallo stesso epitaffio apprendiamo che fu podestà a Pisa, ma non neesercitò le funzioni; che, pur essendo chiamato dai cittadini di quelle comunità, rinunziò per ben quattro volte alle podesterie di Parma e di Vercelli, per due a quelle di Novara e di Mantova, per una a quelle di Savona, di Milano, di Fermo, di Chiusi e di Asti; che, infine, fu per due volte "capitano" a Pisa, a Parma, a Fermo.
Non ci è sempre possibile seguire il B. nella sua lunga e fortunata carriera e localizzarne nel tempo le tappe, quali ci sono indicate, dalla sua epigrafe sepolcrale; come non ci è dato di poter stabilire se siano ampliamenti encomiastici quelle notizie che l'epitaffio ci fornisce e di cui invece noi non troviamo riscontro nelle fonti in nostro possesso. Tanto più che l'epitaffio stesso del B. non è giunto sino a noi, che lo conosciamo soltanto attraverso la trascrizione datane dal Marini nella sua opera, pubblicata a Pavia nel 1585.
Dal 22 ott. 1325 al 5 luglio 1326 il B. fu dunque podestà a Milano, ove seppe guadagnarsi la stima e l'affetto dei cittadini ed una grande popolarità, che ci è testimoniata non solo dalla Cronachetta dei Podestà (G. Giulini, Continuazione alle memorie di Milano, parte I, tomo X, ad ann. 1326), ma anche da un'iscrizione, acefala e mutila, scoperta dal Caffi ed ora conservata presso il Museo lapidario di Brera.
Da tale epigrafe, che nel 1325era stata murata nel palazzo del podestà, risulta che il B. promosse un'intensa politica edilizia, che l'epigrafe ricorda con espressioni altamente laudative: migliorò e fece affrescare le camere del pretore; ne fece costruire due nuove sopra l'arengheria; abbellì quest'ultima con logge marmoree che prolungò sino alla cappella del pretore. L'epigrafe accenna anche al fatto che sotto la sua podesteria venne dato impulso ai lavori del Broletto nuovo, il palazzo pubblico la cui costruzione, iniziata nel 1233dal podestà Oldrado, venne ultimata sotto la podesteria del Beccaria. A questo (sempre secondo la vivace testimonianza dell'epigrafe) sono dovuti anche altri provvedimenti: l'assegnazione di trombe d'argento agli araldi (tubatores)di ciascuna Porta; l'istituzione di banditori pubblici che, con squilli di tromba, avvisassero la cittadinanza quando il podestà sedeva a tribunale; la fusione di una campana (che dal suo nome fu detta beccara), la quale, posta sulla torre del palazzo comunale, avvisava la popolazione delle pubbliche necessità, e, in particolare, serviva a mobilitare l'esercito cittadino alla difesa di Milano (cfr. Caffi, p. 524).
Nel 1328 il B. era podestà a Bergamo, per la prima volta; sul finire del 1329, dopo una breve podesteria a Lucca, veniva chiamato nuovamente nella città orobica, di cui venne confermato podestà per il successivo anno 1330.
In questa sua seconda magistratura bergamasca egli ebbe collega - ma col titolo specifico di protector civitatis - il vicario imperiale Ghisalberto Suardi. Nel corso di essa fece riattare l'acquedotto coperto che, da Castagneta, portava acque alla città: a ricordo di questi lavori fatti eseguire dal B. venne scolpita e murata nel 1329 un'epigrafe (cfr. Caffi, p. 524).
Concluso il suo mandato a Bergamo, il B., nella seconda metà del 1330, veniva chiamato a Savona e quindi, dal 1331 al 1332, a Mantova, dove il 16 ag. 1331 presenziò alla ratifica dell'alleanza tra gli Este, i della Scala ed i Gonzaga; tra il maggio ed il luglio 1332 il B. tornava podestà per la seconda volta, a Vercelli. Nel 1333 andò ancora a Bergamo, inviato da Azzone Visconti per sostituirvi il podestà Pinalla Aliprandi: durante questa nuova podesteria bergamasca, per suo interessamento, vennero riformati e pubblicati gli statuti della città. Nel 1335 era podestà a Genova.
Tornò a Pavia nel 1336, dopo oltre dieci anni di assenza; ed a Pavia risiedette forse sino al 1340 (nelle fonti relative a questi anni non compare praticamente nessuna notizia sul B.) come privato cittadino. A Pavia provvide a far costruire nell'antica cattedrale la cappella del SS. Sacramento e la fece decorare da artisti lombardi, in ricordo dei lavori da lui fatti compiere, il B. fece murare nella cappella una lapide, ora nel portico del palazzo Malaspina. Podestà per nascita e per elezione (come più di uno storico lo ha definito), il B. non poteva restare a lungo inattivo, lontano dalla vita pubblica: nel 1341 occupava la podesteria di Asti; tra il 1341 ed il 1345 lavorò attivamente alla riconciliazione tra i da Corte e la Chiesa; nel 1347 fece parte del corteggio regale che accompagnò a Venezia Isabella Fieschi, moglie di Luchino Visconti.
Secondo alcune delle fonti coeve, il B., in questa occasione, avrebbe assecondato Isabella nella sua tresca con Ugolino Gonzaga.
Il 28 genn. 1348, secondo la testimonianza dei procuratori veronesi, presenziò alla firma della lega tra Verona e Mantova, nelle vesti di rappresentante di Pavia e di Castellino di Musso Beccaria. Nello stesso anno, l'11 maggio, il B. appare come testimone nel testamento di Guglielmo de' Cappelli de Giorgi; nel 1350 era "consultore e aggiunto" in una causa di Rainaldo Beccaria; il 3 dic. 1351 emise, insieme con Giovanni Bracaroli, l'arbitrato sulla vertenza in materia d'interessi privati scoppiata tra Simone e Nicolino della Torre - Questo atto - che egli fu chiamato a compiere perché era ancor celebre come giurisperito - è, insieme con un altro del 15 sett. 1352 steso nella Curia comunale pavese, l'ultimo documentato della sua vita (sappiamo, tuttavia, che sempre in quell'anno 1352 fu consultato per una nuova riforma degli Statuti del Collegio dei mercanti di Pavia). Morì nella sua città natale nel 1356; il suo corpo fu inumato nella cappella del SS. Sacramento che aveva fatto costruire nella cattedrale di Pavia. Lasciava, come sua discendente, un'unica figlia, Margherita, avuta dalla moglie Ginevra Langosco.
Dotato di grande sensibilità e cultura, amante delle arti e delle lettere, letterato egli stesso, il B. fu un degno continuatore della grande tradizione podestarile italiana del Duecento.
Intelligente collazionatore di codici, il suo nome rimase legato non solo ad un codice di Seneca (poi divenuto proprietà dell'umanista Giano Rodio), che egli aveva fatto copiare nel 1331-1332, durante la sua podesteria a Mantova, da uno dei "domiceli" che egli teneva espressamente per incarichi del genere, codice che il B. collazionò personalmente (cfr. A. Mussati De gestis Heinrici VII…, coll. 332 s.); ma anche, e in modo particolare, ad uno dei migliori manoscritti della Divina Commedia che siano giunti sino a noi, il Landiano (o Beccario)190, attualmente conservato presso la Biblioteca Comunale di Piacenza.
Questo codice membranaceo, che contiene - oltre a quattro componimenti di Guittore del Viva, ad una canzone di Dante, ad alcuni capitoli di Bosone da Gubbio e di Iacopo di Dante Alighieri - l'intera Divina Commedia (carte numerate 1-100), è il più antico di data certa fra gli oltre cinquecento codici danteschi giunti sino a noi: perfettamente conservato, bella e regolare la scrittura, non è decorato da alcun fregio o miniatura salvo l'avvicendarsi, nelle iniziali dei canti, di lettere rosse e turchine. Esso fu trascritto nel 1336 sulla base di un manoscritto più antico, dietro ordinazione del B., dal celebre amanuense Antonio da Fermo, il quale in un secondo tempo vi apportò numerose correzioni a raschiatura, basandosi su di un secondo manoscritto, reputato dal B. migliore di quello dal quale aveva tratto la sua redazione. Più tardi, in epoca non facilmente determinabile, dopo un'attenta collazione di altri codici danteschi, il B. stesso, come sembra probabile, vi aggiunse di sua mano ulteriori correzioni (cfr. G. Bertoni, Il codice Landiano..., p. 24). Anche se spesso dannosi sono gli errori contenuti nel codice e nonostante la tinta dialettale data dall'amanuense all'opera di Dante, il Landiano 190rappresenta tuttavia un antico ed interessante tentativo di critica testuale (cfr. N. Zingarelli, La vita, i tempi..., p. 777) ed ha inoltre il pregio, secondo il Bertoni (p. 27), di non dare "lezioni cervellotiche" del poema dantesco, ma varianti desunte da manoscritti seriori. Di questo codice, nel 1921, Leo S. Olschki pubblicò a Firenze una riproduzione fotomeccanica.
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