BECCARIA DI ROBECCO, Lancellotto
Figlio di Musso di Manfredi e fratello minore di Castellino, il B. nacque a Pavia nell'ultimo quarto del sec. XIV: a differenza del fratello maggiore, che fu uomo di stato, egli fu soprattutto audace e valente uomo d'arme.
Allo stesso modo che per il fratello Castellino, nulla possiamo dire sull'educazione e sulla formazione ricevute dal B. la prima notizia a lui relativa che ci sia nota è infatti del 28 ag. 1397, allorché viene ricordato tra i più illustri prigionieri fatti dalle milizie dei collegati franco-fiorentini nella battaglia di Governolo in difesa di Mantova contro i Visconti. Capitano della città di Bologna nel 1401, non solo tollerò, ma favorì anche il colpo di stato compiuto in quell'anno da Giovanni Bentivoglio, che appoggio in ogni modo e dal quale, divenuto così signore della città emiliana, fu assunto al proprio servizio. Appunto come capitano di Bologna il condottiero pavese riconquistò agli Emiliani Pieve di Cento (gennaio 1402), assediò il castello di S. Giovanni in Persiceto, tenuto dai Malatesta (maggio), e nel giugno, a capo della terza schiera dell'esercito bolognese, si battè con Ottobono Fieschi. Sul finire dell'estate passava sotto le insegne di Facino Cane, allora al soldo di Gian Galeazzo Visconti contro i collegati franco-fiorentini.
La morte del Visconti (1402) fu per il B. causa di un nuovo interessamento per le vicende politiche della Lombardia. La sua attenzione si rivolse in particolare verso la sua patria, ove il fratello Castellino, divenuto in quegli anni la personalità più influente della città, stava metodicamente rinsaldando, insieme con l'ormai tradizionale supremazia della parte ghibellina, anche la propria signoria. Non possiamo dire se fu sollecitato dallo stesso Castellino o da altre circostanze o soltanto da volontà di potere; certo è che, appunto dal momento in cui la morte di Gian Galeazzo Visconti creava un vuoto di potere nell'Italia settentrionale il B. fece il suo ingresso sulla scena della storia pur nell'ambito dell'azione politica di Castellino, col quale da questo momento sempre collaborò, assumendo la precisa e coerente posizione di fedele e fidato sostegno del fratello.
Il B., nell'ambigua veste di capitano della duchessa Caterina, vedova di Gian Galeazzo Visconti, di conserva ed in collaborazione con le truppe pavesi guidate dal fratello e con quelle viscontee di Facino Cane, devastò sistematicamente tra il 1402 e il 1403 le terre guelfe dell'Oltrepò pavese; ancora nel 1403, dopo essersi distinto nella difesa di Bologna assalita dalle truppe pontificie condotte da Paolo Orsini, cadeva prigioniero di questo ultimo. Liberato e tornato a militare sotto le insegne di Facino Cane, reso forse baldanzoso dal prevalere del fratello non solo in Pavia, ma invano, accampò diritti su Casale, adducendo il pretesto degli stipendi arretrati dovutigli dal nuovo duca di Milano, Giovanni Maria Visconti: Facino Cane si incaricò di presentare le sue richieste al duca, riuscendo ad ottenergli l'investitura del porto fluviale di Tovo, sul Po, e della località e terra di Valle (Lomellina), a ricompensa d'aver accompagnato Filippo Maria Visconti - conte di Pavia e fratello del duca - alla presa di possesso di Milano in nome del fratello (1404).
Dal 1404 síno al 1423 il B. fu sempre molto vicino al fratello, tanto che la sua attività politica di questi anni finisce praticamente con l'identificarsi con quella di Castellino. Scomparso tragicamente quest'ultimo, giustiziato nelle segrete del castello di Pavia il 13 ott. 1413, a stento scampato egli stesso alla morte, il B. riparò nelle sue terre dell'Oltrepò, raccogliendo non solo l'eredità materiale, ma anche quella spirituale e politica del fratello: ne prese con sé gli orfani e la vedova e dette inizio ad una guerra accanita contro il duca di Milano.
In un primo momento poté contare anche sull'appoggio dell'imperatore Sigismondo - è del 25 giugno 1414 l'impegno, assunto da quest'ultimo, di compensare il B. e la vedova di Castellino con 5.000 ducatoni, per la difesa da loro prestata ad alcuni castelli imperiali -; tanto che l'esito della lotta, dura e incerta, sembrò volgersi in favore del B. sino a quando questi, rimasto solo in campo contro i Visconti, dopo la pace conclusa nel febbraio 1415 tra l'imperatore Sigigismondo ed il duca di Milano, e fattasi precaria la sua posizione, non fu costretto a retrocedere davanti agli eserciti avversari e ad abbandonar loro la città di Voghera (marzo 1415). Dopo questo rovescio il B., per il tramite di messi imperiali, si lasciò indurre ad una tregua con Filippo Maria Visconti, tregua che fu ben presto lettera morta in seguito ad una nuova alleanza stretta dal B. con Pandolfo Malatesta. Il fatto non sembrò preoccupare eccessivamente il duca di Milano, il quale, proseguendo nella sua vecchia tattica di indebolire le forze nemiche patteggiando singolarmente con ciascuna di esse, riuscì lo stesso a neutralizzare, almeno momentaneamente, il pericolo di un'azione militare del B. isolandolo anche diplomaticamente dai suoi alleati: intavolò infatti trattative con lui, facendogli balenare la prospettiva di una pace separata.
Larghe furono le offerte di Filippo Maria per garantirsi la neutralità del B.: mentre questi doveva rinunziare al Castello, alla rocca ed alla cittadina di Bassignana, Filippo Maria, dal canto suo, si impegnava, oltre che alla liberazione dei Beccaria da lui tenuti prigionieri, anche a concedere al B. ad ai figli di Castellino le terre di Silvano, Robecco, Valide, S. Giulietta, Gagliavola, "Bastite Gazii", nonché il porto fluviale di Tovo, terreni e case in Pavia, Serravalle, Stazzano ed il mulino di Ponzano. Il duca si faceva inoltre garante dei diritti dei Beccaria sul Vogherese, impegnandosi a pagare entro un anno al B., per la cessione di Bassignana, 15.000 fiorini.
Le trattative erano ancora in corso allorché il marchese di Ferrara, Pandolfo Malatesta, Giovanni Vignati, Cabrino Fondulo e Filippo Arcelli (cognato del B.) si unirono in una lega antiviscontea: alla notizia che Piacenza era stata occupata dall'esercito dei collegati (25 ott. 1415) Filippo Maria si affrettò a ratificare quanto nel corso delle trattative era stato offerto e promesso al Beccaria.
Fu un gesto inutile. Già sul finire del 1416, infatti, il B. si era accostato alla lega antiviscontea, accanto alla quale lo spingeva la sua più recente vicenda politica, ed aveva ripreso la guerra contro i Visconti, attaccandoli ancora una volta dai suoi castelli d'Oltrepò, tra Voghera e Serravalle. Venne tuttavia costretto alla difensiva agli inizi dell'anno nuovo: negli ultimi giorni di febbraio del 1417 il Carmagnola, capitano generale del duca di Milano, gli strappava i castelli di Caselle e di Silvano, mentre contemporaneamente Filippo Maria riusciva a separare, per mezzo di trattative diplomatiche, dal B. i nipoti ed il suo stesso figlio primogenito, Francesco, i quali finirono con giurare fedeltà al Visconti. Fu tuttavia, questa, una precaria alleanza: denunziati i patti stipulati col duca, i Beccaria, nuovamente riuniti, ripresero la lotta tra Serravalle e Voghera.
Stipulata una tregua cinquantennale col marchese del Monferrato (21 marzo 1417) ed avendo sperimentato, in precedenti attacchi, che troppo agguerriti erano i difensori di Piacenza e di Cremona, il duca si rivolse allora contro le posizioni tenute dai Beccaria: il Carmagnola, portato il grosso delle sue truppe nell'Oltrepò pavese, gradatamente strappò al B. dapprima Voghera, poi, ad uno ad uno, tutti i castelli circostanti, obbligandolo ad arroccarsi in Serravalle e negli ultimi fortilizi che ancora gli erano rimasti nel territorio di Tortona e di Alessandria. Il 16 luglio 1418 il B. fu costretto alla resa in Serravalle e catturato: mentre, per ordine del duca di Milano, processioni, luminarie e pubblici festeggiamenti solennizzavano l'avvenimento in Pavia, nella Piazza Grande della città, là dove una volta sorgevano il palazzo e le case, dei suoi avi, il B. fu impiccato.
Lasciava la moglie, Clara Arcelli, sorella di Filippo, e tre figli: Francesco, detto "Fratino", Caterina e Bianca, spose queste di Giorgio Aicaradi-Visconti, detto "Scaramuzza", ed Alessandro Aicardi-Visconti
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