BECCADELLI DI BOLOGNA, Simone
Appartenente ad un'antica famiglia bolognese, trasferitasi in Sicilia nel sec. XIV, nacque a Palermo il 30 sett. 1419. Assai scarse sono le notizie biografiche che abbiamo su di lui: studiò diritto, forse a Padova, se va identificato con lui quel Simone "de Bononia de Panormo", che risulta immatricolato nell'università di Padova come "scolare in dritto civile" il 19 giugno 1438.
Abbracciò lo stato ecclesiastico e il 30 maggio 1446 fu nominato da Eugenio IV, su proposta di Alfonso V d'Aragona, arcivescovo di Palermo. L'assunzione dell'alta carica ecclesiastica, che comportava anche la presidenza del braccio ecclesiastico del parlamento del Regno, diede modo al B. di diventare uno tra i più qualificati esponenti politici del Regno di Sicilia.
Dal parlamento, riunitosi a Palermo nello stesso 1446, il B. fu incaricato, insieme con Federico di Abatelli, Giovannni Antonio Barresi barone di Pietraperzia e Andrea Castello, di un'ambasceria al re Alfonso per presentargli il donativo di 125.000 fiorini votato dal parlamento e per chiedergli l'approvazione di ben cinquantuno capitoli. Gli ambasciatori del parlamento raggiunsero Alfonso a Napoli, dove il 23 ott. 1446 ottennero l'approvazione dei capitoli che costituirono poi per secoli uno dei fondamentali capisaldi della legislazione siciliana. Nello stesso giorno, a quel che pare su istanza degli stessi ambasciatori, il re approvò anche il testo del Ritus Magnae Regiae curiae et totius Regni Siciliae curiarum, rimasto a fondamento della procedura giudiziaria del Regno.
Il B. fu di nuovo ambasciatore del parlamento ad Alfonso nel 1452, assieme a Giovanni Ventimiglia marchese di Geraci, Antonio Luna Peralta conte di Caltabellotta e Ambrogio Isfar abate del monastero di S. Martino alle Scale. Il 12 ag. 1452 a Torre del Greco gli ambasciatori presentarono al re il donativo del parlamento di 200.000 fiorini e ottennero l'approvazione di nuovi capitoli.
In ottimi rapporti col viceré di Sicilia Lope Ximénez de Urrea, per suo incarico lo sostituì due volte nel governo dell'isola come presidente del Regno. La prima volta dal gennaio al maggio del 1450, la seconda dall'agosto del 1453 all'ottobre del 1455. Sull'attività di governo svolta dal B., che dovette essere però di ordinaria amministrazione, mancano notizie precise allo stato attuale delle ricerche.
Meglio nota la parte del B. nelle delicate vicende politiche che portarono nel 1460 al fallimento dell'ultimo tentativo siciliano di avere un re proprio e al definitivo acquietarsi del Regno di Sicilia nella monarchia aragonese.
Membro autorevole del parlamento convocato a Castrogiovanni alla fine del 1458, "il B. - rappresentante anche degli interessi del Comune di Palermo insieme con Cristoforo Benedetti - fu inviato in missione a Barcellona presso la corte di re Giovanni II, insieme con Guglielmo Raimondo Moncada conte di Adernò, Antonio Luna Peralta conte di Caltabellotta, Vassallo Speciale e Girolamo Ansalone. I compiti affidati dal parlamento ai suoi ambasciatori andavano questa volta ben al di là della normale prassi dell'offerta del donativo e dell'approvazione dei capitoli. Il parlamento, uno dei più importanti della storia dell'isola, aveva deciso infatti, nel corso di lunghe sedute protrattesi fino all'inizio del 1459, di chiedere al re la riconciliazione col suo primogenito Carlos principe di Viana, in rotta col padre per via delle sue pretese alla corona di Sicilia, la sua nomina a vicario e luogotenente generale del Regno, la costituzione di un patrimonio a sua disposizione e l'emanazione di una legge generale che garantisse in perpetuo la residenza nell'isola di tutti i primogeniti dei re d'Aragona. Tali richieste, in un momento di generale crisi della monarchia aragonese, preludevano chiaramente al distacco del Regno di Sicilia. Gli ambasciatori del parlamento arrivarono a Barcellona nel gennaio del 1460, quando già re Giovanni aveva raggiunto un accordo col figlio che ne escludeva il ritorno in Sicilia, cosicché abbandonarono subito i propositi iniziali, preferendo approfittare del delicato momento politico per ottenere dal re, in contropartita della rinnovata fedeltà alla casa d'Aragona, concessioni e privilegi in altri tempi impossibili. In questo rovesciamento delle direttive politiche del parlamento di Castrogiovanni il B. dovette avere una parte di primo piano, se Giovanni II poteva scrivergli il 12 febbr. 1460 come a fedele sostenitore delle sue fortune in Sicilia, sollecitandone l'aiuto in vista dell'arrivo nell'isola di un'ambasciata catalana intesa a chiedere solidarietà e appoggio a Carlos di Viana contro il padre. I Catalani arrivarono in Sicilia nella primavera del 1461, ma senza conseguirvi alcun successo, mentre nello stesso anno il Regno inviava a Giovanni un'ambasceria di fedeltà, alla quale non fu certo estraneo il B., divenuto ormai uno dei più autorevoli sostenitori della causa del re d'Aragona. Tale fedeltà fu d'altra parte presto cementata dalla nomina, sollecitata dal B., di suo fratello Federico a capitano giustiziere di Palermo, come risulta da un documento del 13 sett. 1464.
Motivo di contrasto col re fu invece la nomina, nell'agosto del 1461, di Bernardo Requesens a viceré di Sicilia al posto di Lope Ximénez de Urrea assai gradito ai Siciliani e al B. in particolare. Le pressioni dei Siciliani furono però tanto forti che Giovanni dovette alla fine cedere e rimettere l'Urrea al suo posto, come annunciò anche al B. con dispaccio del 3 genn. 1465.
Seppure attivamente impegnato nella politica, il B. non trascurò gli interessi della sua diocesi e i suoi doveri pastorali. Il 24 marzo 1447 ottenne da Niccolò V un breve che risolveva in suo favore una controversia con il vescovo di Girgenti, che non voleva riconoscere i suoi diritti di metropolitano. Arricchì la mensa arcivescovile con i feudi Hieracelli e Xattabeni, fece costruire il portale della cattedrale, consacrò la chiesa di S. Vincenzo Ferrer (27 apr. 1457), la cappella di Nostra Signora alla Sacra Mansione (4 apr. 1458), e iniziò la costruzione della chiesa dei domenicani di Palermo (15 dic. 1458). Fece redigere in due volumi il lezionario della sua diocesi e cominciò la costruzione di un nuovo palazzo arcivescovile. Fu collettore generale delle decime di Sicilia e commissario apostolico. Resse anche per un certo tempo la diocesi di Monreale. Alfonso chiese per lui inutilmente la porpora.
Morì a Palermo l'8 genn. 1465.
Fonti e Bibl.: Felicis et fidelissimae urbis Panormitanae selecta aliquot ad civitatis decus et commodum spectantia privilegia..., a cura di M. De Vio, Panormi 1706, pp. 342 ss.; Capitula Regni Siciliae..., a cura di F. Testa, I, Panormi 1741, pp. 333 ss., 377 ss., 431 ss.; Parlamenti generali del regno di Sicilia..., a cura di A. Mongitore e F. Serio e Mongitore, I, Palermo 1749, pp. 96, 101; R. Pirro-A. Mongitore, Sicilia sacra..., I, Panormi 1733, coll. 174-178; G. E. Di Blasi, Storia cronologica dei viceré presidenti e luogotenenti del regno di Sicilia, Palermo 1880, pp. 71, 74, 78, 80, 84 s.; C. Eubel, Hierarchia catholica..., II, Monasterii 1914, p. 211; F. Marietta, I Siciliani nello Studio di Padova nel Quattrocento, in Arch. stor. per la Sicilia, II-III (1936-1937), pp. 191 s.; J. Vicens Vives, Fernando el Católico principe de Aragón, rey de Sicilia. 1458-1478 (Sicilia en la politica de Juán II de Aragón), Madrid 1952, pp. 87, 98, 111, 122, 126, 163; C. Trasselli, La "questione sociale" in Sicilia e la rivolta di Messina del 1464, Palermo 1955, p. 23; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., IX, coll. 643 s.