BECCADELLI DI BOLOGNA, Francesco
Nacque a Palermo verso la fine del sec. XV da antica e nobile famiglia di origine bolognese. Il cognome originario della famiglia, accompagnato nell'uso comune dal toponimico, finì - nel tempo - col cadere in disuso, e già nei documenti del sec. XVI la famiglia appare normalmente designata come "de Bononia" o "Bologna". Potente feudatario, il 29 luglio 1506 ottenne l'investitura del feudo di Falconeri per donazione fattagli dalla madre, Virginia Omodei, e il 9 genn. 1517 ricevette, "maritali nomine", l'itivestitura del feudo di Monterosso e di altre terre, in conseguenza del matrimonio contratto con una Antonella, di cui si ignora il casato. Il 18 marzo 1517 la corona accolse la richiesta del B. di poter riunire in unica baronia, con unica giurisdizione, i feudi di Falconeri, Capaci e Monterosso, le saline di Boranza e Cantarella e la tonnara di Trapani chiamata "lu Palazzu".
Il momento era particolarmente critico per la vita politica dell'isola: da poco era stata sedata la rivolta baronale contro il viceré Ugo di Moncada e la prontezza con cui la corona concedeva al B. la richiesta riunione dei feudi, se da un lato testimonia la volontà da parte del sovrano di procedere secondo una linea politica di distensione, dall'altro rende credibile l'ipotesi che il B. già al tempo della rivolta si fosse schierato a favore della corona. Gli avvenimenti che seguirono in quello scorcio del 1517 confermano quest'ultima supposizione. Contro la fazione nobiliare capeggiata da Giovan Luca Squarcialupo, che proclamava di volere eliminare gli ultimi residui del malgoverno del Moncada, altri nobili agivano in modo da evitare che nuovi tumulti turbassero la vita dell'isola.
Il B., sebbene legato da vincoli di parentela allo Squarcialupo (erano cugini), tentò personalmente di bloccarne l'azione: secondo la testimonianza del Fazello, lo rimproverò pubblicamente di voler favorire con la sua condotta la sedizione popolare. Al rimprovero lo Squarcialupo avrebbe risposto altezzosamente, convincendo il B. a rompere ogni indugio: entrò difatti in contatto col luogotenente del Regno Ettore Pignatelli conte di Monteleone, dichiarandosi pronto ad impugnare le armi per eliminare quello che considerava un pericolo imminente.
La situazione, rivelatasi già grave a metà di luglio e giunta al punto di rottura il 23 di quello stesso mese con l'assalto da parte dei partigiani dello Squarcialupo del palazzo dello Steri residenza del viceré, precipitò l'8 settembre, quando già altre città avevano aderito alla sedizione. Diffusasi la notizia della fuga del Pignatelli, sembrò che l'azione antisediziosa dovesse completamente fallire. Si considerò pertanto dalla fazione del B. la necessità di ricorrere all'azione armata.
Mentre lo Squarcialupo riuniva i suoi nella chiesa della Nunziata per assistere ad una funzione religiosa, che avrebbe dovuto propiziare le decisioni da prendere dopo la fuga del luogotenente, il piano organizzato da Guglielmo Ventimiglia barone di Ciminna, dal B. e dal fratello Cola venne prontamente eseguito: lo Squarcialupo e i suoi più fidi furono assaliti nel tempio stesso e passati per le armi. L'azione fu condotta con tanta decisione che ogni iniziativa popolare restò paralizzata: in breve la fazione del B. ebbe la città in pugno e controllò saldamente la situazione. La parte avuta dal B. in questi episodi deve essere stata sicuramente rilevante se il suo nome, insieme con quello di pochi altri, compare come quello di uno dei protagonisti della congiura in una lettera inviata dal Senato di Palermo al sovrano all'indomani della morte dello Squarcialupo, il 22 sett. 1517.
La riconoscenza del sovrano non tardò a manifestarsi in maniera concreta: con privilegio del 22 ott. 1518 e con altro del 30 luglio 1519 Carlo d'Asburgo concedeva al B. (e al fratello Cola) di poter liberamente esportare zucchero dal Regno.
Nel 1522 il B. venne nominato pretore di Palermo. Nell'espletamento dei compiti inerenti al suo ufficio, i legami di fedeltà e di riconoscenza alla corona non gli fecero dimenticare i privilegi di cui godevano, per antiche tradizioni, i cittadini della sua città.
Quando il Pignatelli pensò di troncare l'opposizione manifestatasi in seno al Parlamento, convocato a Messina il 25 luglio 1522, inviando a Napoli il conte di Cammarata ed il tesoriere Leofanto come prigionieri presso quel viceré, il B. protestò formalmente presso il sovrano, perché cittadini palermitani erano stati sottratti al giudizio dell'autorità locale.
Il 13 maggio dell'anno successivo (e non il 13 agosto come afferma il de Spucches) il B. venne nominato tesoriere del Real Patrimonio e pertanto fu costretto a lasciare la carica di pretore. A più riprese particolari disposizioni gli vennero comunicate perché attendesse al suo ufficio secondo la linea tracciata dalla corte: dispacci in questo senso si trovano fra le carte della Real Cancelleria.
Il 20 maggio 1523 venne confermata al B. l'immunità per il territorio di Capaci "y facultad de poter habitare y poblare dicta baronia de Capachi", ma egli non dovette usare della facoltà concessagli da questa "licenza di popolare" perché solo nel censimento del 1583 la terra in questione figura abitata (308 abitanti). Dopo il 1523 la corona vendette al B. la baronia di Cefalà, che era stata confiscata a Federico Abbatellis, accusato del delitto di lesa maestà, per aver preso parte alla congiura ordita a Roma dai fratelli Imperatore, e per questo impiccato in Patti nell'agosto del 1523. Il B. ricevette l'investitura come barone di Cefalà il 25 maggio 1526 (l'atto di vendita della baronia e di concessione del mero e misto imperio porta la data del 18 giugno 1526) e nel 1540 fu per la seconda volta pretore di Palermo e nel 1553 governatore della Compagnia dei Bianchi.
A Palermo morì tra l'8 e il 14 luglio 1555.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Palermo, Real Cancelleria, vol. 253, ff. 571r-573v (atto 19 marzo 1517); vol. 274, ff. 334r-336r (atti 20 maggio 1523), 397v-399r (atto 13 maggio 1523); vol. 282, ff. 198rv (atto 15 nov. 1525), 405r, 406r (atti 14 marzo 1526), 577r-578r (atto 25 maggio 1526), 705r-729r (atto 3 giugno 1526); vol. 371, ff. 666rv (atto 4 luglio 1556), 667rv, 667v, 668rv (atti 15 luglio 1556); Ibid., Notai defunti (G. Scavuzzo-Registri), vol. 3641, ff. 50r, 54r, 57r (tutti docc. 1º febbr. 1553), 2 (doc. 3 sett. 1553); Ibid., Notai defunti (G. L. Scavuzzo-Minute 1542-1580), vol. 3651, atti 7 e 20 luglio 1556 (ff. n.n. in fondo al vol.); Palermo, Biblioteca Comunale, Notamento delli viceré, presidenti, capitani generali e luoghi tenenti del Regno di Sicilia, baioli, pretori et alcuni capitani della città di Palermo, ms. [sec. XVII], qq. E. 55, f. 91; T. Fazello, De rebus Siculis..., Ludguni s. d. (3 ediz.), pp. 696, 697, 698, 699; Diari della città di Palermo dal sec. XVI al XIX, in G. Di Marzo, Bibl. stor. e lett. di Sicilia, I, Palermo 1869, p. 7; B. Bologna, Descrittione della casa Bologna..., Palermo 1606, pp. 1, 34 s.; G. E. Di Blasi, Storia cronologica dei viceré, presidenti e luogotenenti del Regno di Sicilia, Palermo 1842, pp. 158-161; I. La Lumia, La Sicilia sotto Carlo V, Palermo 1862, pp. 147, 148, 153, 154, 157, 165 n. 7, 303, 312; A. Mango di Casalgerardo, Nobiliario di Sicilia, Palermo 1912, p. 113; F. San Martino de Spucches, La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia..., Palermo 1924, II, pp. 227, 228, 232-233; C. A. Garufi, Patti agrari e comuni feudali di nuova fondazione in Sicilia, in Arch. stor. sic., s. 3, I (1946), p. 109; II (1947), p. 111, 113.