PORTINARI, Beatrice
PORTINARI, Beatrice. – Figlia di Folco di Ricovero Portinari e di Cilia di Gherardo Caponsacchi, nacque a Firenze nell’aprile 1266.
Il padre di Beatrice apparteneva a un’importante famiglia mercantile che occupava una posizione di notevole rilievo nella vita politica ed economica della città, ed era socio dei Cerchi, cioè della potente consorteria che in quegli anni dominava la vita politica fiorentina e che all’inizio del Trecento, alla testa della fazione dei guelfi bianchi (rappresentanti gli interessi del ceto medio), si sarebbe opposta ai neri (esponenti del ceto nobiliare), capeggiati invece dai Donati. Folco fece parte del gruppo politico dirigente fin dalla fase iniziale del governo popolare, ottenendo la carica di priore nel sestiere di porta San Piero nel 1282, nel 1285 e nel 1287, al momento dell’istituzione del priorato delle Arti (1282), espressione del governo popolare di Parte guelfa, formato da mercanti, artigiani e banchieri. A lui si deve la fondazione, tra il 1285 e il 1286, dell’ospedale fiorentino di Santa Maria Nuova. Anche la madre apparteneva a una delle più antiche e illustri famiglie del ceto dirigente fiorentino.
I dati concreti concernenti la donna amata da Dante Alighieri e la sua identificazione con la figlia di Folco di Ricovero Portinari si basano soltanto su tre testimonianze, due delle quali successive di una generazione (quella di Giovanni Boccaccio e quella, resa negli stessi anni, dal figlio di Dante, Pietro Alighieri). Una terza testimonianza, anteriore al 1334, è costituita da un commento alla Commedia redatto da Graziolo de’ Bambaglioli (cfr. Calenda, in Beatrice nell’opera di Dante, 1994, p. 223).
Boccaccio ricorda che nel 1274 «Folco Portinari, uomo assai orrevole in que’ tempi tra’ cittadini, il primo dì di maggio aveva i circustanti vicini raccolti nella propria casa a festeggiare, infra li quali era già il nominato Alighieri», padre di Dante; e che nella circostanza «era intra la turba de’ giovinetti una figliuola del sopradetto Folco, il cui nome era Bice, come che egli sempre dal suo primitivo, cioè Beatrice, la nominasse, la cui età era forse d’otto anni, leggiadretta assai secondo la sua fanciullezza, e ne’ suoi atti gentilesca e piacevole molto, con costumi e con parole assai più gravi e modeste che il suo picciolo tempo non richiedea; e, oltre a questo, aveva le fattezze del viso delicate molto e ottimamente disposte, e piene, oltre alla bellezza, di tanta onesta vaghezza, che quasi una angioletta era reputata da molti» (Vita di Dante, a cura di P. Baldan, 1991, pp. 78-81).
Su questa descrizione è basata l’identificazione tra la protagonista della Commedia e la donna reale. Secondo lo scrittore, ella aveva dunque un anno meno di Dante (sarebbe nata perciò intorno al 1266) e sarebbe morta alla fine del suo ventiquattresimo anno (quindi nel 1290, come asserito anche da Dante nella Vita Nova, cap. XXIX).
La testimonianza dell’autore del Decameron, resa non più tardi del 1363-64, è stata universalmente ritenuta degna di fede, anche perché lo scrittore stesso aveva lavorato, a partire dal 1327-28, come fattore nel banco dei Bardi (cioè della famiglia del marito di Beatrice), dei quali suo padre era socio, e aveva avuto contatti diretti anche con i Portinari, in rapporti d’affari con i Bardi. Da un parente strettissimo della Beatrice dantesca, Boccaccio dichiara appunto di aver appreso l’identificazione con Beatrice Portinari. Non gli mancarono contatti diretti neppure con i discendenti dell’Alighieri: nel 1350, infatti, lo scrittore fu inviato dal Comune fiorentino a Ravenna per consegnare alla figlia di Dante, suor Beatrice (al secolo Antonia Alighieri), un simbolico riconoscimento per l’esilio del padre.
Oltre a quella del Boccaccio, una seconda testimonianza (del tutto indipendente dalla precedente), resa intorno al 1360 da Pietro Alighieri, figlio di Dante e di Gemma Donati, e autore di un commento alla Commedia, conferma l’identificazione con Beatrice Portinari: «et quia modo hic primo de Beatrice fit mentio, de qua tanto est sermo, maxime infra in tertio libro Paradisi, premictendum est quod revera quidam domina nomine Beatrix, insignis valde moribus et pulchritudine, tempore auctoris viguit in civitate Florentie, nata de domo quorundam civium florentinorum qui dicuntur Portinarii, de qua Dantes auctor procus fuit et amator in vita dicte domine, et in eius laudem multas fecit cantilenas: qua mortua, ut eius nomen in fama levaret, in hoc suo poemate sub allegoria et typo Theologie eam ut plurimum accipere voluit» (cit. in Del Lungo, 1891, pp. 53 s., 96; «poiché si nomina qui per la prima volta Beatrice, della quale si parla tanto, soprattutto nella cantica del Paradiso, bisogna premettere che una donna chiamata Beatrice, appartenente al casato dei Portinari, e insigne per costumi e bellezza, visse a Firenze al tempo di Dante, e di lei il Poeta fu innamorato in vita (celebrandola con molte liriche), e alla sua morte ne innalzò il nome alle stelle facendone nel suo poema l’allegoria della teologia»).
Dal testamento di Folco, che venne rogato dal notaio fiorentino Tedaldo Rustichello il 15 gennaio 1288, si ricavano le scarsissime notizie storiche su Beatrice: in quell’epoca, secondo le parole del padre, era già sposata con Simone de’ Bardi, per cui Folco le lasciò soltanto 50 lire di fiorini piccoli, diversamente dalle altre figlie (Vanna, Fia, Margherita e Castoria), alle quali destinò una dote di 800 lire di fiorini piccoli ciascuna.
Il matrimonio tra Beatrice e Simone de’ Bardi (dal quale non risulta siano nati figli) sembra debba risalire al 1280 almeno: un atto notarile di quell’anno testimonia il suo consenso a una cessione di terre effettuata dal marito (Mancini, 1911).
Simone de’ Bardi è stato identificato da Isidoro Del Lungo – tra diversi omonimi – con Simone figlio di Geri, che ricoprì più volte la carica di podestà (per esempio, a Volterra nel 1288) e di capitano del popolo (a Prato nel 1290, a Orvieto nel 1310), e che fu coinvolto in numerose missioni militari e di pace. Anch’egli apparteneva a un’importante famiglia di mercanti banchieri: la compagnia dei Bardi, insieme a quella dei Peruzzi, aveva filiali in tutta Europa, ed era deputata alla riscossione delle decime pontificie.
Beatrice morì il 19 giugno 1290. Secondo la tradizione sarebbe stata sepolta nella chiesa di S. Margherita dei Cerchi (luogo presunto del suo secondo incontro con Dante; cfr. D’Addario, 1970), dove i Portinari avevano una cappella, ultima dimora di tutti i membri della famiglia fino alla costruzione della chiesa di S. Egidio, nell’ospedale di Santa Maria Nuova (ove tutt’ora esiste una lapide di età moderna, non attendibile). Altri hanno affermato recentemente che le sue spoglie sarebbero state tumulate invece in S. Croce, nella cappella dei Bardi, con la famiglia del marito (Savini, 2008).
Fonti e Bibl.: G. Mancini, Il testamento di Folco Portinari, in Archivio storico italiano, XLVIII (1911), pp. 245-258; G. Boccaccio, Vita di Dante, a cura di P. Baldan, Bergamo 1991, pp. 78-81, 217-220.
G. Richa, Notizie istoriche delle chiese fiorentine, II, Firenze 1759 (rist. anast. 1972), pp. 134-141 (Della chiesa di Santa Margherita); P. Fraticelli - G. Pelli Bencivenni, Storia della vita di Dante Alighieri, Firenze 1861, p. 98; I. Del Lungo, Beatrice nella vita e nella poesia del secolo XIII, Milano 1891; A. D’Addario, Alighieri, Pietro, in Dizionario biografico degli Italiani, II, Roma 1960, pp. 453 s. ; Id., Bardi, Simone, in Enciclopedia Dantesca, I, Roma 1970, pp. 519 s.; A. Vallone, Beatrice, ibid., pp. 542-551; Alighieri, Antonia (suor Beatrice), ibid., p. 133; P. Nardi, Caponsacchi, Gherardo, in Dizionario biografico degli Italiani, XVIII, Roma 1975, pp. 665-667; Beatrice nell’opera di Dante e nella memoria europea 1290-1990, a cura di M. Picchio Simonelli, Firenze 1994 (in partic. C. Calenda, Beatrice nei commenti antichi, pp. 219-229); G. Petrocchi, Vita di Dante, Roma-Bari 2008, passim; D. Savini, Beatrice, l’ultimo segreto, in Corriere fiorentino, 6 marzo 2008; M. Santagata, Dante. Il romanzo della sua vita, Milano 2012, ad indicem.