ESTE, Beatrice d'
Figlia del marchese Azzo (VI) e della sua seconda moglie Sofia, figlia di Umberto 111 di Savoia, nacque ad Este o forse nel castello di Calaone (presso Boano, od. prov. di Padova; sede abituale della corte estense e qualche anno più tardi centro fiorente e raffinato di poesia trobadorica) presumibilmente agli inizi dell'ultimo decennio del secolo XII.
Non si conosce la data certa della nascita della E., ma, tenuto conto della terminologia scelta e graduale usata dal primo biografo della beata, il canonico Alberto, priore del monastero veronese di S. Spirito, il quale scrive: "Aetate igitur infantili et puellari ... annos adolescentiac suae transegit ... Cum autem ad iuvenilem pervenisset etatem" (Deprogenie..., p. 183); tenuto conto che l'"adorazione e il corteggiamento galante" (Folena, Tradizione, p. 484) dei trovatori Aimeric de Peguillian, Guilhelm de la Tor, Peire Ramon de Tolosa e del bolognese Rambertino Buvalelli non era rivolto a una bambina o a una acerba fanciulla, ma a una giovane donna, esaltata nella pienezza delle sue virtù cortigiane e mondane e nello splendore della sua bellezza; e tenuto conto infine dell'ipotesi del Melli (pp. 82 s.) circa la possibile congettura dell'impiego, nei vv. 11, 21, 31, 41 della lirica S'a Mon Restaur del Buvalelli, della parola Mon Restaur a significare, in due probabili incontri, rispettivamente l'età di Beatrice e quella del poeta, si preferisce accogliere qui l'ipotesi che la E. abbia visto la luce agli inizi dell'ultimo, decennio del sec. XII, come già prospettato dal Frizzi e dal Balan (verso il 1191), o dal Nuvolato, dal Melli e dal Folena (intorno al 1192), piuttosto che nel 1198 (A. F. Massera, La data della morte di Guglielmo III Adelardi, in Atti emem. d. Deput. prov. ferrarese di st. patria, s. 1, XXII [1915], p. 213), intorno al 1200, come vorrebbero il Balboni e il Degli Innocenti, o anche più tardi come gli Acta sanctorum).
I primi anni della E. furono segnati dall'educazione materna: secondo il De progenie, Sofia, il cui padre Umberto III di Savoia acquistò fama di santità, le trasmise indelebili esempi di religiosità profonda e di caritatevole attenzione agli altri, ai poveri e ai deboli. Dopo la morte della madre (3 dic. 1202), si formò nella vita di corte agli ideali mondani della nobiltà del tempo: "Aetate igitur infantili et puellari demissa in pompis et favoribus sacculi, in deliciis carnis sue, in ornamentis et vanitatibus diversi generis, sicut mos est nobilium et secularium feminarum, annos adolescentiae suae transegit; salva tamen integritate corporis sui" scrive infatti il canonico Alberto (De progenie..., p. 183).
Le fortune politiche e militari di Azzo (VI) sembravano destinare la fanciulla, "curn esset mira pulchritudine corporis" (Chronicon Marchiae Tarvisinae, p. 51), ad un matrimonio di altissimo rango come era nelle intenzioni del padre, il quale infatti, scrive il canonico Alberto, "earn intendebat et desiderabat regalibus conubiis copulare" (Deprogenie..., p. 183). Questa aspirazione non era arbitraria, se un'altra Beatrice d'Este, figlia di Aldobrandino (I) e nipote della E., andò sposa al re Andrea II d'Ungheria nel 1234. Tuttavia, una prolungata serie di sventure colpì la famiglia, frantumò l'ambizioso progetto di un matrimonio regale per la fanciulla, e segnò profondamente l'animo di quest'ultima e forse la orientò definitivamente verso la scelta religiosa.
Il padre le morì prematuramente il 18 nov. 1212, dopo la sconfitta di Pontalto ad opera di Ezzelino da Romano, quando stava raccogliendo nuove truppe a Verona. Il fratello Aldobrandino, dapprima assediato e sconfitto nel 1213 nella sua rocca di Este dalle milizie di Padova, Verona e Vicenza guidate da Ezzelino da Romano, fu poi ucciso (forse avvelenato) nel 1215, quando già era riuscito a recuperare la Marca e la città di Ancona. Nello stesso anno 1215 morì Costanza, sorellastra di Beatrice (era infatti figlia di Azzo [VII] e della terza moglie di questo, la principessa Alisia di Antiochia). Ai lutti familiari si aggiunse una pesante situazione debitoria. Per garantire il prestito ottenuto per finanziare la spedizione di Ancona, Aldobrandino aveva dovuto dare in ostaggio ai banchieri fiorentini il fratellastro Azzo (VII), ultimo nato di Azzo (VI) ed Alisia, ancora minore, il quale, scomparso Aldobrandino, si era trovato "parvulus, multis debitis et angustiis oneratus", come si legge nel Chronicon Estense (in Rer. Italic. Script., 2 ed., XV, 3, a cura di G. Bertoni - E. P. Vicini, p. 9), a capo della sua casa.
Per pagare il riscatto del figlio (900 lire di denari veneti), Alisia aveva dovuto cedere estesi possedimenti in territorio piacentino all'abbazia di Vangadizza (18 ag. 1216). Quanto ad Azzo (VII), il giovane, non potendo restituire alla E. la dote della di lei madre Sofia di Savoia (5.000 lire di veronesi), che Azzo (VI) le aveva legato per testamento, le cedette tutti i beni immobili che egli possedeva sotto Montagnana, con tutti i diritti sopra esistenti (15 ott. 1216). Per il materiale passaggio di proprietà di tali beni fu tuttavia necessaria un'ordinanza del podestà di Padova dell'8 nov. 1216. Questo fatto può forse far pensare che tra la E. ed Azzo (VII), a causa dei maneggi di Alisia, non ci fosse allora buona arinonia e che la giovane donna avesse richiesto di far eseguire le disposizioni testamentarie paterne perché si stava distaccando dalla famiglia. Può forse far ritenere, anche, che ella si predisponeva ormai concretamente al matrimonio nel momento in cui si stava allentando la stretta economica da cui era stata afflitta la sua famiglia. Entrambe le ipotesi, ciascuna delle quali trova sostegno in testimonianze coeve, valgono a spiegare il comportamento della E. almeno sino a quando non mise in atto la sua decisione di rinunziare al mondo.
Il distacco della E. dalla vita del secolo e dall'ambiente di corte avvenne gradualmente, in un periodo di tempo piuttosto lungo, a mano a mano che in lei andava maturando il proposito di vestire l'abito religioso. Doveva essere intorno ai dieci anni quando aveva perduto la madre, intorno ai venti quando le era mancato il padre, intorno ai ventitré quando era morto il fratellastro Aldobrandino, di lei maggiore d'età. Fu tuttavia solo dopo i venticinque anni, stando alle argomentazioni del Folena, che ella dette esecuzione al suo p roposito compiendo un gesto risoluto e clamoroso. Si svincolò decisamente dai condizionamenti che il suo rango le imponeva e dalle pressioni insidiose che esercitavano su di lei i membri del suo ambiente, facendosi "piamente rapire" da Giordano Forzaté, priore di S. Benedetto di Padova, e da Alberto, priore dei monastero di S. Giovanni di Montericco, i quali l'accompagnarono personalmente, in gran segreto -forse con uno stratagemma o con un travestimento: "Deducentes autem eam honeste et caute iverunt ..." (Deprogenie..., p. 184) - nelvicino monastero di S. Margherita, sul colle euganeo di Salarola, dove rimase per un anno e mezzo circa (1220-1221) senza vestire l'abito di religione, forse per far fronte o per sottrarsi alle prevedibili reazioni dei suoi familiari, forse per mettere alla prova la sua stessa vocazione.
"Cum autem ad iuvenilern pervenisset etatem, liberior et expeditior effecta, parentibus cius iam viam universe carnis ingressis ... disposuit lenocinia curie fugere ... Metuens- quoque ne seculares amici et clientuli ac domestici curie, si hoc presentirent, molientur qualitercunique pium eius propositum impedire, voluit facere pium latrocinium de se ipsa, ut latenter eorum insidias seu violentiam declinaret" (De progenie, pp. 183 s.). Il passo sintetizza la fase del distacco, accentuando l'episodio dell'espediente ultimo della fuga, ma ci fa intendere chiaramente che non furono il frutto di una risoluzione affrettata. Il "rapimento" della donna, così come la sua autonoma scelta religiosa, costituivano un'infrazione contro il sistema della politica matrimoniale che ogni famiglia nobile e potente cercava di attuare nel tentativo di raggiungere un consolidamento economico e politico (Rigon, p. 80).
Anche l'anonimo autore del Chronicon Marchiae Tarvisinae sottolinea le resistenze alla vocazione della E. opposte non solo dal fratellastro Azzo (VII; alla matrigna non fa cenno), ma anche dagli amici e dalle nobili matrone che in gran numero e con svariate motivazioni cercavano di distoglierla: "nitebantur modis omnibus impedire, nune mundi gloriam, nunc: nobilis sponsi connubium et dulcissimae prolis felicitatem caste virgini promittentes; pariterque sue domus ruinam, amicorum. tristitiam et inimicorum gaudium ex tali mutatione consequi promittebant vel asserebant" (p. 51). Se, come sembra, il travaglio spirituale della E. iniziò dopo la morte del padre, si può allora avanzare l'ipotesi che le lodi poetiche in suo onore dei trovatori - manca tuttavia al riguardo una puntuale cronologia che potrebbe chiarire molti aspetti - si iscrivessero nei tentativi di dissuasione, e rappresentassero i motivì più seducenti di "tentazione" pubblica e mondana fino a far supporre che fossero commissionate dai familiari. In tal caso queste composizioni andrebbero poste in nuova luce, come del resto avverte il Folena (Tradizione, p. 482; Beata Beatrix, p. 404).
Sembra allora che il proposito religioso della E. si fosse scontrato con un progetto matrimoniale ormai concreto e imminente - non più solo teorico, come quello vagheggiato dal padre - con il marchese Guglielmo Malaspina. Infatti nel congedo di ben cinque canzoni di Aimeric de Peguillian, citate dal Folena (Tradizione, pp. 484-487), compare come destinataria accanto al marchese; e non si potrà certo pensare a un doppio patrocinio del tutto occasionale. Non era, quel matrimonio, una scelta spontanea della E., che probabilmente riuscì soltanto a fronteggiare il disegno impostole dalla matrigna e dal fratellastro procrastinando la data delle nozze, fintanto che, dopo la morte improvvisa del marchese avvenuta nel 1220 - sarebbe stato assai arduo psicologicamente, forse addirittura impossibile, per lei rifiutare e sfuggire a un simile matrimonio per il danno che dall'affronto sarebbe derivato alla sua famiglia - riuscì a portare a compimento la sua vocazione spirituale, per spiegare la quale tutto, pertanto, si deve pensare fuorché a una delusione di amore.
La vocazione religiosa della E. sembra aver avuto origine dalla crisi spirituale provocata dalla morte del padre. Infatti, anche se non ci sono a tutt'oggi elementi filologici per stabilire l'autenticità di una lettera che la E. avrebbe inviato ad Innocenzo III (cfr. Folena, Tradizione, pp. 396-401), non c'è alcun motivo per non credere al contenuto di questa eventuale finzione esemplare che Boncompagno da Signa ha voluto inserire nel I libro della sua Rethorica antiqua, la cui prima redazione è del 1215, apparsa a Bologna; la seconda è del 1226, o 1227, apparsa proprio a Padova. A probabile che il maestro di grammatica e retorica avesse raccolto negli anni d'insegnamento padovano (forse dal 1222 fino al 1226) elementi di documentazione, ovvero opinioni correnti o ricordi nitidi, degli anni in cui la E. si era ritirata a vita monastica (1220-1226), per lo scalpore che la vicenda destò.
Non interessa molto sapere se la E. scrisse realmente al papa e se questi le rispose; interessa piuttosto constatare le sue intenzioni di farsi religiosa, senza violare la volontà paterna, per altro confermata dalle fonti: "... confidentius vestre supplico Sanctitati quatinus michi iubere velitis quod habituin religionis assumam, vel me recipiatis in vestram quia nolo alium habere maritum; et in hoc superare votum patris videbor, qui me regali thoro proposuerat desponsare, quoniam per vos Christo, qui est Rex celi et terre ac regum Dominus terrenorumi, ero sanctimonie matrimonio copulata" (cfr. Folena, 1985, p. 398). Il ritardo di tanti anni nel dar seguito alla sua aspirazione è anticipato nella risposta papale: "... non suademus nec dissuademus ad religionis habiturn assumendum ... Ceterum ... non debet fieri ad religionis propositum festinatio repentina" (ibid., p. 399).
II richiamo alla ponderazione e alla prudenza - reale o fittizio che fosse, papale o no - induce a valorizzare il ruolo di almeno tre personaggi, allora noti nel panorama religioso veneto, che diedero consigli, forse per alcuni anni, alla E., prima di darle il loro sostegno effettivo allorché ella decise di andarsene da corte: Giordano Forzaté, padre fondatore (fundator et pater) dei monaci benedettini bianchi di Padova e priore di S. Benedetto di Padova; Alberto, priore del monastero euganeo benedettino di S. Giovanni del Montericco; un altro Alberto, canonico e priore del monastero di S. Spirito di Verona dell'ordine di S. Marco di Mantova, suo "familiaris consiliarius et fidelis amicus", poi autore della prima biografia della beata, il De progenie, vita, moribus nobilis et humilis Beatricis ... de monasterio Zemulle, scritta fra il 1226 e il 1245 (Rigon, pp. 65 s.). Tutti rappresentavano al meglio correnti di spiritualità nuova, "aperte al mondo religioso femminile, impegnate nel recupero di comunità irregolari" disponibili, diversamente da altri ordini, ad assumersi la cura monialium" (ibid., p. 65). I primi due, da lei sollecitati, misero in atto il piano per sottrarla di nascosto all'ambiente di corte ("detraxerunt occulte", come scrive l'autore del De progenie..., p. 184), ormai divenuto apertamente ostile alla sua aspirazione di vita religiosa.
Verso la metà del 1221, avendo ottenuto dal vescovo di Padova il monastero maschile, in abbandono, di S. Giovanni Battista sul colle di Gemmola, poco distante, a sud del monte Venda, la E. vi si trasferi a piedi accompagnata da Giordano Forzaté e Alberto di Montericco, "viri religiosi et honesti", dalla badessa e da molte suore di Salarola, dalla matrigna Alisia e dalla cognata Giovanna.
L'avvenimento destò scalpore, la fama si diffuse "per varias regiones, civitates et castella" (De progenie..., p. 187). Riconciliata con la famiglia, messi a disposizione i propri beni e fatti restaurare gli edifici cadenti di S. Giovanni Battista, la E. fondò una nuova comunità sotto la regola benedettina, rifiutando tuttavia di diventarne badessa. Infatti, presumibilmente dopo una prima fase iniziale di vita comunitaria caratterizzata dalla spontaneità e dall'imitazione dell'esempio trascinatore della E., il gruppo delle prime dieci compagne della beata elesse come badessa una certa Desiderata, cui fece seguito una certa Imiza. La comunità, quindi, si andò subito evolvendo verso forme istituzionali tradizionali, mentre la decisione clamorosa della fondatrice continuava a produrre i suoi effetti. La pia famiglia ben presto si moltiplicò. L'esempio della E. sollecitò soprattutto le fanciulle di nobile famiglia: secondo il De progenie ... (p. 187), infatti, della nuova comunità "autem decem fuerunt filie comitum. Alie vero pro magna parte nobilium virorum. divitum et potentium filie extitere". Vennero a Gemmola anche da lontano, "ex longinquis etiam partibus", come testimonia il Chronicon Marchiae Tarvisinae. Nell'antico monastero di S. Giovanni Battista si venne in tal modo costituendo - come già altrove nel corso di quello stesso secolo - una comunità monastica femminile, formata da fanciulle e donne nobili che avevano scelto una dura vita di penitenza, di preghiera, di digiuno e di povertà.
Le condizioni di una vita tanto austera non giovarono, anzi furono di danno alla complessione, forse fragile, della E., che si ammalò di tisi. Mori a Gemmola all'età di circa 34 anni, il 10 maggio 1226.
Sepolte nella chiesa di S. Giovanni Battista dei monastero di Gemmola, le sue spoglie furono ben presto oggetto della venerazione dei fedeli, venerazione che si diffuse ancora di più quando, in occasione della loro traslazione in un sarcofago marmoreo, esse furono trovate incorrotte. Sul nuovo monumento funebre venne inciso un epitaffio di sedici versi, composto da sei distici in rima ed una chiusa di quattro esametri leonini e recante la data della morte: "Anno Domini MCCXXVI, ind. XIIII, VI Id. Mad.". Per ordine del vescovo di Padova, nel 1578 le monache di Gemmola si incorporarono a quelle di S. Sofia di Padova e l'arca con le spoglie della E. fu là trasferita, il 12 novembre, al seguito della comunità. Nel 1956 essa fu definitivamente collocata nella chiesa di S. Tecla in Este.
Il culto della E. venne riconosciuto nel 1763 dal papa Clemente XIII, il quale concesse una messa ed un ufficio proprio. La celebrazione della festa della beata, il giorno 27 febbraio, venne esteso nel 1786 dal papa Pio VI a tutta la diocesi di Ferrara. La E. fu proclamata beata più per le sue virtù di povertà e di umiltà che per i miracoli da lei compiuti, dei quali peraltro, almeno fino alla traslazione delle sue spoglie a Padova, non ci è pervenuta alcuna testimonianza coeva, essendo andato perduto l'opuscolo in cui essi erano stati registrati.
Fonti e Bibl.: L. A. Muratori, Delle antichità estensi ed italiane..., I, Modena 1717, pp. 403 ss. (testamento di Azzo [VI] del 18 nov. 1212), 407 (assegnazione di beni alla E. fatta in Montagnana l'8 nov. 1216 per decreto del podestà di Padova Folco), 407 s. (divisione di beni fra la E. e Alisia di Antiochia, fatta il 3 sett. 1217), 408 (notizia dello strumento del 15 ott. 1216 relativo al pagamento del debito che Azzo [VII] aveva nei confronti della E.); Chronicon Marchiae Tarvisinae et Lombardiae, in Rer. Italie. Script., 2 ed., VIII, 3, a cura di L. Botteghi, pp. 51 s.; Alberti fratris De progenie, vita, moribus nobilis et humilis Beatricis, quae fuit preciosus ac precifuus et primarius lapis edificii spiritualis monialium de monasterio Zemulle, a cura di G. A. Scalabrini, in G. Brunacci, Dellabeata B. d'E. Vita antichissima ora per la prima volta pubblicata..., Padova 1767, pp. 180-197 (con volgarizzamento della medesima opera, fatto da anonimo del sec. XIII-XIV e trascritto dallo Scalabrini); G. Bertoni, Rambertino Buvalelli trovatore bolognese e le sue rime provenzali, Dresden 1908, pp. 29-50; R. Buvalelli, Le poesie, a cura E. Melli, Bologna 1978, ad Indicem; B. G. Folena, Beata Beatrix, in Storia e cultura a Padova nell'età di s. Antonio, Padova 1985, pp. 382-385 (epitafio della E.), 386-395, 396-401 (lettera della E. ad Innocenzo III e risposta di quest'ultimo, raccolte da Boncompagno da Signa e da lui inserite nel libro I della sua Rethorica antiqua); Acta sanctorum ... Maii, II, Parisiis-Romae 1866, pp. 597-602; G. Brunacci, Della beata B. d'E, cit., pp. 1-180; G. Manini Ferranti, Compendio della storia sacra e politica di Ferrara, III, Ferrara 1808, p. 95; A. Frizzi, Mem. per la storia di Ferrara, III, Ferrara 1850, p. 71; G. Nuvolato, Storia di Este e del suo territorio, Este 1851, pp. 321-336; P. Balan, La beata B. I di E., Modena 1878; G. Bertoni, Rambergino Buvalelli ..., cit., pp. 2-7, 10; VII Centenario della morte della beata B. d'E., Este 1926; P. Bonomo, Rievocazione stor. dei tempi della beata B. d'E., Padova 1957; D. Balboni, B. I d'E., in Bibliotheca sanctorum, I, Romae 1962, coll. 995 s.; L. Chiappini, Gli Estensi, s. n. t. [ma Varese 1967, pp. 36 s.; G. Folena, Tradiz. e cultura trobadorica nelle corti e nelle città venete, in Storia della cultura veneta, I, Dalle origini al Trecento, Vicenza 1976, pp. 481-492 passim; A. Rigon, La santa nobile: B. d'E. († 1226) e il suo primo biografo, in Viridarium floridum. Studi di storia veneta offerti dagli allievi a Paolo Sambin, Padova 1984, pp. 6187; A. Degli Innocenti, B. I d'E. (1200 c.-1226), in G. Pozzi-C. Leonardi, Scrittrici mistiche italiane, Genova 1988, pp. 77 ss.