ESTE, Beatrice d'
Nacque nel terzo decennio del sec. XIII dal marchese Azzo (VII) e dalla prima moglie di questo, Giovanna di Puglia (o forse dell'Aquila, secondo l'ipotesi avanzata con molta cautela dal Mostardi), probabilmente nel castello di Calaone (comune di Baone, prov. di Padova), dove sua madre si trovava già verso la metà del 1221.
La data esatta ed il luogo preciso della nascita della E. non sono indicati dalle fonti a noi note. Tuttavia, se si considera che i suoi genitori si erano sposati molto probabilmente nel marzo del 1221, quando Azzo (VII) si era recato a Brindisi per farsi rinnovare dall'imperatore Federico II l'investitura dei possessi e dei diritti della Casa d'Este; che la E. era maggiore delle sorelle Costanza e Cubitosa, giusta la testimonianza di Riccobaldo da Ferrara, il quale scrive di Azzo (VII): "Ei uxor sterilis erat. Verum ex primis coniugiis liberos habuit tres feminini sexus, quarum maìor natu monasterio se dicavit, alie nuptiis addicate; filium autem marem iam adultum obsidem dare Federico imperatori coactus est"; se si tiene conto che la madre morì il 19 nov. 1233, si deve allora supporre che la E. sia nata nei primi anni di matrimonio dei suoi genitori. Nel 1226morì la pia Beatrice d'Este, sorellastra di Azzo (VII): il suo nome potrebbe essere stato imposto alla E., allora forse neonata, in suo ricordo, come propone il Mostardi. La maggior parte degli studiosi, sulla scorta di queste argomentazioni, pone la nascita della E. tra il 1222 e il 1226. Il Frizzi riferisce l'avvenimento al decennio 1221- 1231 e commenta: "maggior precisione non si puo avere"; dello stesso avviso è il Bernini, mentre il Baruffaldi e il Balboni indicano "intorno al 1230", ma senza portare ragioni a sostegno della loro tesi.
Per il luogo di nascita della E. si preferisce pensare al castello di Calaone, che doveva essere allora la residenza abituale della famiglia. Infatti il castello di Este, che era stato distrutto dai Padovani nel 1213, non era probabilmente stato ancora ricostruito, nonostante l'ingiunzione imperiale del 17 sett. 1220, ed il palazzo dì Ferrara in contrada S. Paolo non era dimora sicura sia per l'aspra lotta che negli anni 1222-1224 contrappose Salinguerra Torelli, il capitano del Popolo del 1220, ad Azzo (VII), sia per essere stato quest'ultimo escluso dalla vìta politica ferrarese anche dopo l'accordo del 1224. A Calaone, inoltre, la madre di E. si trovava gia intorno alla metà del 1221, come sembra potersi dedurre da quanto narra il primo biografo della beata Beatrice d'Este, suo contemporaneo, il canonico Alberto, priore del monastero veronese di S. Spirito, il quale scrive che appunto verso la metà del 1221 accompagnarono Beatrice dal monastero di S. Margherita di Salarola a quello di S. Giovanni Battista sul colle di Gemmola, "comitisse quoque, mater scilicet fratris, et uxor, cum his qui erant in comitatu earum".
Ben poco si sa della madre della E., Giovanna, e del tipo di educazione che ella poté dare alla figlia nei primissimi anni di vita. Di più sappiamo della pia Mabilia Pallavicino, la nobildonna che Azzo (VII), rimasto vedovo di Giovanna, sposò in seconde nozze prima del 1238. Il suo esempio, la sua educazione e, forse, Pattività caritativa svolta con lei condussero la E. nell'orbita della spiritualità francescana, che fu determinante nel momento della scelta monastica della giovane e, più tardi, nella direzione - sembra - della comunità da lei fondata.
Di Mabilia Pallavicino ci è rimasto il profilo delineato nella sua Cronica da fra Salimbene de Adam, il quale spinge l'elogio sino a paragonarla a Matilde di Canossa. Devota "omniuni religiosorum", ma soprattutto dei frati minori, presso i quali trovava i suoi direttori spirituali e nella cui chiesa era solita celebrare la liturgia delle ore, Mabilia si dedicò attivamente alle opere di assistenza in favore dei poveri e degli ammalati, impegnando in questa azione molto del suo danaro. Confezionava farmaci (famosa era la sua "acqua di rose"), che distribuiva gratuitamente: "Ex hoc:", osserva argutamente a questo proposito fra Salimbene, "medici, stationarii et apotecarii speciarum. minus diligebant eam".
Altro contributo alla sua formazione personale ed altro stimolo alla scelta di vita, che ella avrebbe di lì a poco compiuto, vennero forse alla E. dall'abate di S. Giustina di Padova Arnaldo Cattanei di Limena, grande figura di benedettino, che nel 1237 aveva trovato rifugio ed ospitalità presso la corte estense. Tuttavia, oltre alle attività caritative, cui poté dedicarsi, inizialmente sotto la guida della matrigna Mabilia, ed oltre alla frequentazione dei francescani di Ferrara, iniziata a partire almeno dal 1240, dopo l'assedio posto dal padre a quella città e dopo la resa di Salinguerra, ebbero senza dubbio una particolare influenza su di lei e sulla sua decisione di abbandonare il secolo l'esempio e la fama di santità della zia Beatrice, sulla cui vita ella modellò la propria, nella volontà di ìmitarla in tutto e per tutto. Ce ne accerta il quasi coevo (ultimo decennio del sec. XIII) Chronicon Marchiae Tarvisinae, ilcui anonimo autore, monaco di S. Giustina a Padova, così scrive di lei: "Divini amoris igne succensa, ainite sue vestigia cupiens pro viribus imitari, ornamentis depositis pretiosis, religionis habituni intrepida mente suscepit".
Questa volontà della E. di imitare in tutto e per tutto l'esempio della santa zia viene espressa secondo i moduli della letteratura agiografica nella biografia leggendaria della E. composta sul finire del sec. XV da una religiosa del suo monastero ed ora conservata manoscritta presso la Biblioteca Ariostea di Ferrara. In questa biografia si cerca infatti.di instaurare una corrispondenza assoluta tra l'esperienza spirituale della E. e il modello di perfezione cristiana offerto dalla pia Beatrice d'Este, inserendo nella vita della prima, anche solo in veste topica, episodi e particolari propri della vita dell'altra. È il caso, ad esempio, della notizia relativa al matrimonio della E. con Galeasso Manfredi, podestà di Vicenza, matrimonio che non avrebbe potuto avere luogo a causa della morte in battaglia del promesso sposo, avvenuta quando già era stata firmata a Modena la promessa di nozze e quando già era mosso per fiume il corteggio nuziale che avrebbe dovuto accompagnare la E. dal futuro marito. Si tratta di notizia inattendibile, come è dimostrato dal fatto che nulla ci dicono in proposito le fonti coeve o di poco posteriori. Calco evidente del mancato matrimonio della pia Beatrice con Guglielmo Malaspina (il Mostardi, p. 31, preferisce pensare ad una confusione con l'omonima sorella di Azzo (VIII) d'Este, andata sposa in seconde nozze, nel 1300, a Galeazzo di Matteo Visconti), pure la notizia è stata ripresa, come del resto altre egualmente inattendibili contenute in quella biografia, da panegiristi e da storiografi successivi, sino ai giorni nostri.
Sebbene non fossero stati fatti per lei - a differenza di quanto era avvenuto a suo tempo con Beatrice d'Este - progetti di nozze, la E. si dovette scontrare lo stesso contro molte resistenze per far accettare alla famiglia il suo proposito di abbandonare il secolo. Il Chronicon Marchiae Tarvisinae riferisce infatti che il padre - come già aveva fatto con la propria sorellastra Beatrice in circostanze analoghe - usò ogni mezzo di persuasione e di minaccia per indurla a desistere dal progetto, e che con lui tentarono altri, ma egualmente invano. Intorno alla metà del secolo, secondo un'ipotesi attendibile, è probabile che la E., insieme con una sua fedele dama di compagnia, Melenida da Padova, abbia vissuto per qualche tempo in solitudine nella dimora estiva che gli Estensi possedevano nell'isoletta di San Lazzaro, ad est della città, nel Po di Volano, tra gli attuali Quacchio e Focomorto. Vinte finalmente le resistenze paterne, il 27 marzo 1254, nella chiesa di S. Stefano della Rotta, alla presenza del vescovo di Ferrara. il veneziano Giovanni Quirini, insieme con la fidata Melenida la E. pronunziò i voti solenni, promettendo di vivere "in religione secundum. illum. moduni et formam, quani dominus Papa eis ... voluerit conferre". Al termine del rito ricevette in dono dal vescovo la stessa chiesa di S. Stefano della Rotta di Focomorto, il locus su cui essa insisteva, con libera facoltà "aliani ecclesiam et aliud claustrum. construendi" (gli edifici esistenti erano con ogni evidenza malridotti) e la piena esenzione dalla giurisdizione episcopale, col solo vincolo di offrire in perpetuo al vescovo ed ai suoi successori una libbra di cera nel giorno della festa di s. Giorgio.
In tutto questo traspare l'intervento di Azzo (VII) d'Este, il quale, non essendo riuscito a convincere la figlia a desistere dal suo proposito, aveva comunque voluto offrirle appropriate garanzie economiche per il suo futuro di monaca e di fondatrice di una nuova comunità religiosa ed aveva voluto fare della cerimonia un avvenimento di risonanza pubblica e, quindi, politica e mondana. Fra gli ecclesiastici e i religiosi erano presenti infatti, accanto al vescovo di Ferrara, il priore dei domenicani, il ministro provinciale dei francescani con altri suoi confratelli (tra loro, il ben noto Salimbene da Parma, amico di famiglia degli Este), il praepositus e l'archipresbiter, che rappresentavano il capitolo della cattedrale. Tra i laici, che, invitati per l'occasione, attorniavano il marchese, vi erano alcuni importanti esponenti del guelfismo emiliano e romagnolo: Bernardino Fontana di Piacenza, Nordio Turchi, Pietro Maltraversi, conte di Padova, il ravennate Guido Rizzuto da Polenta. Non vengono ricordate, dalle fonti a nostra disposizione, le gentildonne presenti. In quella occasione la E. ricevette dal padre alcuni beni che questi possedeva presso Este; dal vescovo, un fondo posto in San Lazzaro; dal podestà, una tenuta a Copparo.
Il documento, che fu redatto al termine della cerimonia a testimonianza dell'evento, non ci è giunto in originale. Noi lo conosciamo soltanto attraverso una copia autentica, rogata il 30 marzo 1468 dal notaio Giovanni di Ludovico de Milianis (Ferrara, Arch. arcivesc., Archivio dei residui, Catasto M, f. 210v), e due copie semplici inserite nel Catasto del monastero di S. Antonio in Polesine, rispettivamente al f. 6v ed al f. 10r. Nella copia autentica il documento reca la data "die veneris quinta exeunte Iunio", che riporta al 26 giugno, venerdì, di quell'anno; nelle copie semplici l'atto appare invece con la data "die veneris quinto exeunte marcio", che riporta al 27 di marzo, che in quell'anno cadde pure di venerdì. La diversità di tali elementi ha fatto sì che gli studiosi si siano divisi circa la cronologia della professione monastica della E., ma la data del 27 marzo sembra essere la più probabile. Errano il Baruffaldi e il Balboni, che la pongono al 25 marzo.
L'atto formale di donazione della chiesa di S. Stefano della Rotta, del locus di Focomorto, con le terre, i possessi e le ragioni temporali e spirituali ad essi pertinenti, che - come risulta dalle copie del citato documento - vennero consegnati materialmente alla E. il giorno stesso della sua professione religiosa, fu rogato il 26 aprile di quello stesso anno: esso rappresenta l'approvazione esplicita dei canonici della cattedrale alle donazioni compiute il mese precedente in favore della Este.
Una volta insediatasi in S. Stefano della Rotta, la E. sollecitò in più occasioni il papa Alessandro IV perché le fornisse lettere, in rescritto, su alcune importanti questioni. Il 31 genn. 1255 il pontefice le confermò la donazione della chiesa di S. Stefano, fatta dal vescovo e dai canonici e il permesso per costruirvi un monastero, che pose sotto la protezione apostolica. La lettera è rivolta alla E. e alle sue consorelle: la comunità monastica, dopo dieci mesi di vita, si era dunque allargata, come è attestato dal fatto che in questo periodo erano presenti nella nuova fondazione già dodici monache (Mostardi, p. 43). E ciò deve aver richiesto lavori di ristrutturazione, forse già conclusi quando, il 29 ott. 1256, la E. ricevette la visita della badessa Nida e di trenta monache dei monastero di Gemmola. In quell'occasione forse le fu donata copia della Vita della zia, che fu poi ritrovata dal Brunacci nel, monastero di S. Antonio in Polesine. Fra i due monasteri di Gemmola e di S. Stefano (e in seguito di S. Antonio in Polesine) si instaurò un vincolo di "gemellaggio" spirituale, confortato dalla consuetudine di una visita annuale che divenne reciproca quando papa Urbano V (16 luglio 1366) autorizzò ad una rappresentanza di sei monache di ricambiare la visita al monastero di Gemmola.
Circa la regola che la E. attendeva dal papa, sappiamo indirettamente da una lettera di Alessandro IV del 5 febbr. 1256 che le monache avevano manifestato al suo predecessore, il papa Innocenzo IV, il desiderio di vivere secondo la regola benedettina e che erano state esaudite. Il papa tuttavia aveva incaricato alcuni "viros religiosos et literatos Ordinis Fratrum Minorum" di scegliere quei capitoli che meglio si adattassero ad una comunità femminile. "Regulain excerptani et a Nobis piis precibus postulatam vobis concedimus" scriveva Alessandro IV nella lettera citata, e ne inseriva il testo nella sua missiva (Catasto, ff. 97r, i I 2r). Si tratta di un florilegio, dì una selezione della regola benedettina (per le parti scelte e quelle mancanti si veda Mostardi, pp. 52 S.). In un precedente privilegio dell'11 maggio 1255 lo stesso pontefice, nell'estendere ai possessi del monastero la protezione apostolica, nel concedere il privilegio di accettare gratuitamente le consacrazioni e di poter avere la celebrazione della Messa anche in periodo d'interdetto purché a porte chiuse, aveva prescritto l'osservanza della regola di s. Benedetto. Ma era forse una semplice designazione. Vent'anni dopo le monache ottennero da papa Giovanni XXI (1276-'77) di reintegrare i capitoli espunti. Nella scelta della regola benedettina forse giocò un ruolo importante l'esempio della zia, esempio che tornò senza dubbio a suggestionare la E. nel momento in cui la comunità monastica da lei fondata passò da una fase di spontaneità ad una istituzionalizzata; la E. infatti - come la zia - rifiutò di divenire badessa e priora del nuovo monastero ma accettò solo il titolo di "madre" che le riconosceva il ruolo di fondatrice.
La fedeltà di Azzo (VII) alla "pars Ecclesiae" e il ruolo rilevante da lui ricoperto quale guida del guelfismo padano facilitarono i contatti della E. con il papa Alessandro IV e l'ottenimento di svariati privilegi in favore della comunità di S. Stefano della Rotta, documentati dalle lettere di quel pontefice conservateci dal Catasto del monastero di S. Antonio in Polesine.
Nel codice del Catasto le lettere relative alle donazioni e ai privilegi concessi alla E. ed alle sue consorelle da Alessandro IV (lettere che sì trovano ai ff. ir-12r, 14r-17r, 18r-21r, 36v-37r., 38v-39r, 40v-41v, 46v-47v) non sono state trascritte seguendone rigidamente l'ordine cronologico. La traduzione in volgare italiano di buona parte di esse compare, nel medesìmo codice, ai ff. 119v-124v.
Qualche anno dopo la E. sì trasferì, seguendo la comunità da lei fondata, dal monastero di S. Stefano della Rotta in quello di S. Antonio in Polesine, subito fuori le mura di Ferrara, già appartenuto agli eremitani di s. Agostino, che nel settembre del 1256 lo avevano abbandonato per passare presso la chiesa di S. Andrea, in Ferrara. L'insediamento nella nuova sede avvenne in epoca anteriore alla primavera del 1257, perché le lettere pontificie inviate alla E. a partire dal 22 aprile di quell'anno le sono indirizzate appunto presso il nuovo monastero. I lavori di riattamento e ristrutturazione degli edifici, ad ogni modo, si prolungarono ancora per oltre un decennio. Infatti l'11 maggio 1267 papa Clemente IV dava il permesso alle monache di far demolire la chiesa e il monastero di S. Stefano, dove un tempo dimoravano ("ubi tunc morabantur") per poter reimpiegare in S. Antonio il materiale utile. Il priore del convento di S. Domenico di Bologna fu incaricato di compiere una supervisione e di disporre le cose in modo tale che il popolo non si sdegnasse.
Non si conoscono i motivi del trasferimento da S. Stefano della Rotta a S. Antonio in Polesine. Il vescovo Giovanni dice, con espressione indefinibile: "monasterìum intendunt de novo aedificare ut in eo possint congruentius perpetuo Domino famulari" (Frizzi, III, p. 183). Forse il primo insediamento era troppo angusto e disagevole per una comunità già numerosa. La E. e la badessa Lieta non riuscirono forse ad acquistare direttamente i locali della nuova sede, per cui si rivolsero al papa, il quale, tramite il cardinale Ottaviano Ubaldini, legato pontificio in Romagna e parte dell'Emilia, "viva voce mandavit" che fosse fatta la transazione e che il nuovo insediamento monastico fosse del tutto esente dalla giurisdizione episcopale. L'atto di acquisto venne rogitato l'8 febbr. 1257 nel palazzo del cardinale a Roma, presenti lo stesso e il vescovo di Ferrara; il prezzo ammontava a 1.000 lire di ferrarini vecchi ed era già stato pagato. Con lettera del 22 febbr. 1257 Alessandro IV acconsentiva di buon grado al trasferimento della comunità. Il 10 marzo ratificava l'acquisizione.
Le condizioni di particolare indigenza in cui verso la comunità fondata dalla E. nei primi anni della sua esistenza sono testimoniate da diversi documenti. Il 21 giugno 1255 Azzo (VII) concesse alla figlia e alle sue consorelle i beni che possedeva in Gaibana, in Madraica e in Fossanova (Catasto di S. Antonio in Polesìne, ff. 8rv). Il 23 luglìo successivo il papa Alessandro IV rilasciò un privilegio nel quale, premettendo di voler provvedere alla povertà della E. e delle sue monache, concesse al loro monastero l'esenzione da qualsiasi tributo (Mostardi, p. 61). Il 5 giugno 1258 ancora Azzo (VII) concesse loro i beni che possedeva a Calcatonica, in diocesi di Padova (Catasto, 13r-14r). Infine, con lettera del 27 giugno 1259, il papa Alessandro IV, nell'accogliere sotto la protezione della Sede apostolìca il monastero di S. Antonio in Polesine, confermò i privilegi precedentemente concessi alla comunità fondata dalla E., enumerando i possessi: S. Stefano della Rotta, con case, vigne, terre e prati; Gaibana, con case, terre e vigne; i mansi in San Giacomo, in Guasdo, in Cocomaro e in Calcatonica, con le terre, le vigne, i prati, i boschi, i pascoli, le acque e i mulini ad essi pertinenti.
Frattanto l'E. era morta il 18 gennaio - si ipotizza - del 1262; comunque prima del testamento paterno (13 febbr. 1264), in cui Azzo confermò tutte le donazioni da lui fatte in precedenza "monasterio, Sancti Antonii de Ferraria vel filiae nostrae Beatrici, olim sorori dicti monasterii". Quando morì, la E. aveva circa quarant'anni. Il suo corpo venne sepolto nel chiostro attiguo alla chiesa di S. Antonio abate.
La biografia della E. conservataci dal citato Catasto ("Qui comenza la legenda de la beata Beatrice monacha": ff. 112v-119v), che riproduce fedelmente il testo della Leggenda quattrocentesca, indica erroneamente l'anno di morte nel 1270.
Immediati furono la venerazione e il culto che alla E. riservarono le consorelle e i fedeli. Non sembra tuttavia, stando al silenzio del Chronicon Marchiae Tarvisinae, che si siano verificati dei miracoli nei primi tempi. L'anonimo benedettino di S. Giustina ricorda soltanto di lei - come già per la zia - la vita di virtù ("de virtute in virtutem cotidie procedendo", p. 52) e le opere meritevoli, tratteggiando cosi una santità senza miracoli, i cui segni, ben più apprezzati, furono le "fructuosa pietatis opera". In occasione di momenti drammatici e di calamità per la città di Ferrara (ad esempio nel 1476) si compirono tuttavia ripetute processioni alla tomba della beata; fino al 1512, il giorno della sua festa (18 gennaio), ogni anno le monache lavavano il corpo della E., che miracolosamente si era conservato intatto, e distribuivano l'acqua agli ammalati. La fama di miracoli avvenuti per sua intercessione si dilatò e si consolidò. Dissoltosi, nel 1512, il corpo della beata, il lavaggio delle ossa fu permesso per breve tempo ancora. Fra il 1527 è il 1530 ebbe inizio il singolare fenomeno dello stillicidio della pietra posta sulla tomba della E. come pietra d'altare, stillicidio che ancor oggi si verifica costantemente fra il mese di ottobre e il mese di marzo. Il "sacro liquore", che veniva usato per gli infermi, avrebbe compiuto miracolose guarigioni, com'è attestato nel Catasto (ff. 124v-136v, i 40rv, in volgare: "Qui di sotto serano descripti tutti li miracoli e gratie le quale Dio se ha dignato...", fino al 1512) e nei fascicoli manoscritti e fogli sparsi non numerati della busta n. 14 A dell'archivio del monastero.
Il culto della E. fu confermato da Clemente XIV il 16 luglio 1774, e l'anno seguente Pio VI riservò alla E. una messa e un ufficio propri, da celebrarsi il 19 gennaio per la concomitanza della festa della Cattedra di s. Pietro; ora però reintegrati al 18 gennaio.
Fonti e Bibl.: Ferrara, Arch. arciv., Archivio dei residui, Catasto M., f. 210v (atto di professione religiosa della E., copia autentica rogata dal notaio Giovanni di Ludovico de Milianis); Ferrara, Bibl. Ariostea, Fondo Antonelli, ms. 503: Biografia della beata B. ("Leggenda quattrocentesca"), pergam. del sec. XV; Ibid., Arch. del Monastero di S. Antonio in Polesine, ms. n. 10: Catasto, pergam. del sec. XV ex.-XVI in., contenente la trascrizione di docc. di varia natura, la regola (ff. 97r-112r), copia della Leggenda quattrocentesca ff.112v-119v), la narrazione dei miracoli e delle grazie ricevute per intercessione della E. (ff. 124v-136v, 140rv), la matricola delle badesse (ff. 143r-149r); Ibid., ms. n. 10 A: Copia dell'antico Catasto dell'insigne monastero di S. Antonio in Ferrara..., cart. del 1777; Ibid ., ms. n. 9: Memoriale degli interessi del monastero delle monache..., cart. del sec. XVII; Ibid., ms. n. 11 A: Processus super immemorabili cultu beatae Beatricis II Estensis, cart. del 1752; Ibid., ms. n. 12: Copia processus super fama sanctitatis et cultu immemorabili..., cart. del 1773; Ibid., ms. n. 13 A: Sommario culto Beata, a stampa, del 1773; Ibid., busta n. 14A: Grazie ottenute ed altre cose riguardanti la beata B.; Ibid., ms. non numerato: Memorie del Santo Liquore della beata B. II Estense, cart., redatto a partire dal 1784 ad oggi; Chronicon Marchiae Tarvisinae et Lombardiae..., a cura di L. A. Botteghi, in Rer. Ital. Script., 2 ed., VIII, 3, p. 52; Les Registres d'Alexandre IV, Paris 1953, n. 2892, pp. 41 s.; Salimbene de Adam, Cronica, a cura di G. Scalia, Bari 1966, 1, pp. 545 ss.; Riccobaldo da Ferrara, Chronica parva Ferrariensis, a cura di G. Zanella, Ferrara 1983, p. 184; Acta sanctorum Ianuarii, II, Bruxellis 1863, p. 759; L. A. Muratori, Delle antichità estensi ed italiane, II, Modena 1717, pp. 20 ss.; G. Baruffaldi, Vita della b. B. seconda d'E., Ferrara 1796; G. Manini Ferranti, Compendio della storia sacra e politica di Ferrara, III, Ferrara 1808, pp. 135-156; A. Frizzi, Memorie per la storia di Ferrara, III, Ferrara 1850, pp. 168-185; M. Calura, L'isola sacra di Ferrara (Il monastero di S. Antonio del Polesine), Ferrara 1933, pp. 15-42; G. Bargellesì, Bartolomeo veneto. Il ritratto della beata B. Estense e Lucrezia Borgia, in Atti e mem. della Dep. provinciale ferrarese di storia patria, n.s., II (1944), pp. 1-15; L. Chiappini, Realtà e leggenda di S. Contardo. Con appunti di genealogia estense dei secc. XII e XIII, ibid. n.s., IV (1946-1949), pp. 86 s.; F. Bernini, L'unico documento originale relativo a Salimbene (La monacazione in Ferrara, nel 1254, di B. d'E.), in Aurea Parma, XXXII (1948), pp. 3-11; G. Costa, Illiquore della b. B. II d'E. nell'asceterio di S. Antonio abate in Ferrara, in Benedietina, IX (1955), pp. 305-317; D. Balboni, B. II d'E., in Bibliotheca sanctorum, I, Romae 1962, coll. 996 s.; F. Mostardi, La beata B. II d'E., Venezia 1963; Id., Lettere di L. A. Muratori sul culto alla b. B. II d'E., in Atti e mem. della Dep. provinciale ferrarese di storia patria, s. 3, XXI (1975), pp. 85-96; L. Chiappini, Gli Estensi, Varese 1967, pp. 43ss.; A Samaritani, Sulla data di professione religiosa della b. B. II d'E. (ca. 1226-64), in Benedictina, XIX (1972), pp. 103-107; Id., La "cura animarum" e la religiosità popolare nella vita ecclesiale di Ferrara dei secc. XIII-XIV, in Analecta Pomposiana, IX (1984), p. 183; Il monastero di S. Antonio in Polesine, Ferrara 1978, pp. 7-11; A. Franceschini, Istituzioni benedettine in diocesi di Ferrara (sec. X-XV), in Analecta Pomposiana, VI (1981), pp. 54 s.; R. Varese, La pittura a Ferrara e nel territorio dal XIII al XIV secolo, in Storia di Ferrara, V, Il basso Medioevo, Ferrara 1987, pp. 431-434.