NEGRONE, Battista
NEGRONE, Battista. – Nacque a Genova nel 1522, terzogenito di Battista di Domenico e di Mariola, figlia di Domenico Camilla.
La famiglia, di origine ghibellina e appartenente alla ‘nobiltà vecchia’, è attestata a Genova, proveniente da Lugano (o da Locarno o dal lago Maggiore, secondo i vari genealogisti), dal secolo XII. Da Filippo, anziano del Comune nel 1319, si diversificarono, attraverso i figli Gregorio, Giovanni, Cosma, altrettanti rami, con ricorrenti omonimie. Negrone, da non confondere con un Battista di Angelo e un Battista di Pietro, apparteneva al ramo di Giovanni, impegnato, tra XIV e XV secolo, nell’attività armatoriale piuttosto che in quella politico-amministrativa. Il nonno, Domenico, nel 1477 era capitano di 4 galee e ne perse 2 ad Antibes, assediata dai Catalani. Nel corso dei primi decenni del Cinquecento, con la riforma doriana del 1528 e la costituzione dei Negrone in uno dei 28 Alberghi, anche l’attività di questo ramo si spostò al campo mercantile-finanziario, in accordo con quanto stava avvenendo per gran parte della imprenditoria marittima genovese.
Negrone non si orientò sul settore degli asientos di Spagna (il suo nome non compare tra i numerosi banchieri genovesi di Carlo V), ma sui mercati di cambio di Francia, Roma, Venezia, dove dimorò ricorrentemente per quasi vent’anni, tra il 1557 e il 1575, con l’incarico ufficiale di gentiluomo genovese accreditato presso la Serenissima, ancora priva di un regolare rapporto diplomatico con la Repubblica di Genova.
Prima di lui, Genova aveva mandato a Venezia solo due oratori, Nicola Giustiniani nel 1507 e Pietro Maria Promontorio nel 1539, e un inviato, Bianco Ambrogio, latore nel 1547 delle disposizioni governative sui futuri consoli genovesi a Venezia. In seguito oratori e agenti si susseguirono con continuità. Giovanni Antonio Santacroce, proveniente da Costantinopoli, affiancò Negrone tra la fine del 1573 e il luglio 1575, e, dalla primavera del 1575, fu la volta del nobile Battista Giustiniani, che poi lo sostituì. Alla lunga permanenza veneziana di Negrone, oltre al servizio reso alla Repubblica, concorsero interessi economico-finanziari. Dalla corrispondenza di famiglia (Schiappacasse, 1991), risulta, infatti, che negli anni 1566-67 e 1570-71 era attiva a Venezia la ditta di Battista Negrone e Battista Giustiniani, operante in attività di cambi e prestiti, in particolare sulle fiere di Francia, e nel commercio di coralli, sete, grani e olive, in rapporto con ditte, genovesi e non, con sede a Palermo, Messina, Lucca, Lione, Anversa. Anche le lettere di Gabriele Salvago, conservate nell’archivio del loro comune amico Giovanni Vincenzo Pinelli (Ceruti, 1880), confermano gli interessi economici personali come primario motivo della permanenza veneziana di Negrone. Salvago, genovese di nobiltà vecchia ma economicamente debole, brillante epistolografo e autore di sonetti burleschi, visse a lungo a Roma con la carica di cameriere pontificio e dimorò a Venezia tra il 1565 e il 1573. Con Negrone ebbe un rapporto che sembra improntato ad amicizia sincera e a una certa complicità politico-ideologica. In una lettera da Roma del 12 giugno 1574, raccomandava a Negrone, che definiva «repubblichista» come lui, di prestare attenzione ai discorsi negli ambienti politici veneziani sulla morte del re di Francia, argomento di grande preoccupazione per il papa. Nel mese successivo, quando il futuro Enrico III, quasi in fuga dalla Polonia e dalla Germania, per raggiungere la Francia scese a Venezia, si incontrò proprio con Negrone, da cui ricevette quei sostanziosi finanziamenti (destinati a ripetersi anche col suo successore Enrico IV), cui Salvago nella corrispondenza sembra più volte maliziosamente alludere. Ed è sempre Salvago a ironizzare su Negrone che restava a curare i propri interessi a Venezia mentre a Genova si stava consumando la guerra civile tra le opposte fazioni nobiliari: «Quel mio pecunioso Negrone stando sicuro e vivendo lontano dalla rabbia popolare, predica agli altri lo stare alla città» , e ancora «si guardi dal morire, perché qui Santa Chiesa è risoluta di canonizzarla col titolo e nome di s. Securano» (lettera 28 maggio 1575, ibid., p. 894).
Quasi sicuramente Negrone partì da Venezia nel luglio 1575; forse raggiunse le sue terre marchionali in basso Monferrato, contigue a quel marchesato gonzaghesco di Casale dove, sotto l’abile mediatore della crisi genovese, il cardinale Giovanni Morone, si costituì la Deputazione per la formulazione delle Leges novae. Il suo nome risulta comunque, nel gennaio 1576, nel lungo elenco dei nobili vecchi sottoposti all’autotassazione del 2,5%. Tra i 16 membri di due elenchi della famiglia Negrone, il patrimonio tassabile di Battista è il quarto per entità: 37.500 scudi, contro i 77.500 del più cospicuo, quello di Luca Negrone di Pietro, grande assentista di Spagna. E comunque, nel giugno 1587, ricevette 7.000 scudi di eredità materna.
Col nuovo organigramma istituzionale uscito dagli accordi di Casale, dal 1576 Negrone rientrò a Genova nella politica attiva: nell’appendice dei nuovi Statuti, il suo nome compare tra i 400 eletti a formare il Gran Consiglio, e quindi tra i 100 del Minor Consiglio, al centro dei nuovi meccanismi per il rinnovo delle magistrature di vertice. Nel 1579 fu eletto all’ufficio dei Cambi e – in concomitanza con il dilagare dell’epidemia di peste nel 1580 – a quello di Sanità. Nel dicembre 1582 fu estratto senatore e procuratore della Repubblica, con incarico al magistrato delle Triremi, nel quadro di quel programma di riarmo marittimo sostenuto dai settori ‘repubblichisti’ della classe dirigente genovese. Tra il 1584 e il 1589 fu impiegato in alcune missioni diplomatiche: a Monaco, con Antonio Grimaldi (su una discussa e complessa eredità di 19.000 lire vantata dal Grimaldi signore di Monaco), e in Provenza, al grande centro monastico di Lerins. Negli stessi anni, a Genova presiedette il magistrato delle Monache e si occupò dei sostanziosi lavori di restauro della chiesa di S. Maria delle Vigne, nella cui diocesi si trovava il suo palazzo residenziale in città: affidò a Lazzaro Tavarone la decorazione della volta e vi fece erigere la sontuosa cappella del Crocefisso (dove poi, secondo sua volontà, fu sepolto). Il 20 novembre 1589 fu eletto doge con 213 voti. Le orazioni furono tenute dal magnifico Pasquale Sauli nella cerimonia civile e da fra’ Gerolamo Rocca, francescano conventuale, in quella religiosa in S. Lorenzo: entrambe date alle stampe.
Il dogato di Negrone fu attivissimo, sia sotto il profilo economico sia sotto quello dei grandi interventi edilizi. Il più politicamente significativo, nella prospettiva del riarmo navale della Repubblica, fu l’istituzione di una commissione per studiare le modalità di prelievo dal Banco di S. Giorgio di 45.000 lire sopra la colonna dell’ex doge perpetuo Ottaviano Fregoso da utilizzare nell’ampliamento dell’area portuale di Banchi. Dal Banco di S. Giorgio ottenne anche finanziamenti per l’ampliamento di Palazzo ducale e per la ristrutturazione dell’annesso Palazzetto criminale, nonché per le fortificazioni della città. In difesa degli interessi dei mercanti genovesi in Spagna, compromessi dalle nuove politiche di quella corona, inviò una squadra di galee al comando del generale Pier Antonio Chiesa per recuperare contanti e merci a rischio di blocco; subito dopo inviò la stessa squadra in Sicilia a imbarcare carichi di seta. Entrambe le operazioni suscitarono proteste spagnole a livello diplomatico; proteste che il governo genovese lasciò cadere, mentre, quasi come risposta indiretta, si ospitavano con tutti gli onori nei pubblici palazzi marescialli e personalità della corte francese – magari con la necessità di ricorrere poi alla autorevole mediazione di Giovanni Andrea D’Oria per giustificarsi. E alla mediazione di D’Oria, e dello stesso ambasciatore spagnolo, Negrone e il Senato dovettero appellarsi nel 1590 di fronte alla grave carestia che minacciava di provocare anche una vasta sommossa popolare. Una fornitura straordinaria di grano, arrivata in gennaio a bordo di 200 navi dalla Sicilia e da Amburgo, risolse l’approvvigionamento annonario e trasformò il clima in tripudio generale. L’ultimo decreto del doge Negrone fu, in accordo col Senato, una decima generale da devolvere all’ufficio dei Poveri, da dividere a metà tra la città e il contado, impoverito dalla carestia.
Negrone morì a Genova il 22 gennaio 1592, due mesi dopo la conclusione del dogato.
Dal matrimonio con Camilla Giustiniani non nacquero figli; ma l’unico nipote suo omonimo, Battista, figlio del fratello Lorenzo, ebbe numerosa discendenza maschile, per lo più operante nei commerci d’Oriente.
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