DE FRANCHI, Battista
Nacque a Genova nella seconda metà del sec. XIV da Antonio; apparteneva alla famiglia Luxardo, entrata a far parte dell'"albergo" dei De Franchi (nei documenti è ricordato come "Baptista De Franchis, olim Luxardus"). Alla fondazione di quest'"albergo", avvenuta il 28 genn. 1393, risulta aver egli stesso partecipato. Suoi fratelli furono Segurano, Giovanni (sposato a Isolta, figlia di Raffaele Montaldo) e Gabriele.
Il D. fu uomo assai ricco, grande mercante di gioielli. Nell'ottobre 1396, avendo il doge Antoniotto Adorno convocato una assemblea di 120 popolari ghibellini, per discutere il possibile passaggio di Genova sotto la protezione francese, il D. appoggiò l'opinione di chi sperava di porre termine con tale scelta alle violente lotte interne. L'anno seguente prestò giuramento al re di Francia; fu anche elettore nel 1398 e nel 1400, anno in cui fece parte del Consiglio degli anziani. In seguito rivestì un ruolo di primo piano nei convulsi avvenimenti genovesi.
Nei primi decenni del sec. XV la lotta politica in città conobbe una fase parossistica: dietro gli schieramenti ufficiali (nobili e popolari; guelfi e ghibellini; Cappellazzi e Mascherati) si celava una confusa rete di alleanze, coinvolgenti le grandi famiglie mercantili emergenti, i nobili esclusi dal potere ma pronti a servirsi in città di uomini di paglia o di demagoghi, e le classi popolari, massa di manovra instabile ma necessaria per realizzare qualunque progetto di controllo sulla città. A rendere ancora più complessa la situazione, già difficile da schematizzare, contribuivano ambizioni personali e oscure trame destabilizzanti, spesso intessute con la complicità di potenze straniere, interessate al controllo di un vitale sbocco marittimo. Questa "guerra per bande", avente per mira il controllo del dogato e delle cariche pubbliche, non era cessata neppure negli anni del dominio francese, invocato da alcuni gruppi, ma osteggiato dai popolari. Nel gennaio 1400 la città si sollevò contro il governatore francese Colart de Colleville; in realtà, l'episodio rientrava nella violenta lotta tra le varie fazioni cittadine, in particolare tra quelle capeggiate dagli Adorno e dai rivali Guarco e Montaldo (famiglia alla quale i fratelli De Franchi erano legati).
Il 17 gennaio, facendo formalmente salva la tutela francese, a capitano del Popolo venne eletto Battista Boccanegra, appoggiato da Montaldo e Guarco. Tuttavia, questa coalizione di forze fu travolta, obbligando il Boccanegra alla rinuncia; un tentativo compiuto dai Fregoso per impadronirsi del palazzo fallì, cosicché il 26 marzo gli Otto di balia e il Consiglio nominavano capitano regio il D., allora membro del Collegio degli anziani e dotato di un certo seguito nella massa degli artigiani.
In questo senso va letta la testimonianza di un contemporaneo, secondo cui egli "non è stato e non è homo de seta" (cioè, imprenditore serico e quindi poco amato dalla manodopera cittadina), ma banchiere e mercante (cfr. R. Piattoli, p. 83). È probabile, inoltre, che l'elezione sia stata favorita dalle grandi famiglie genovesi e da potenze esterne (come il duca di Milano), che appoggiavano il De Franchi.
Il suo primo obiettivo fu quello di legittimare la nomina davanti al sovrano francese. A tale scopo inviò Lazzaro De Franchi a Pavia, per sondare le intenzioni del Colleville, il governatore scacciato dalla città, e per verificare la possibilità che il duca di Milano potesse intromettersi nelle trattative. Nell'aprile inviò, sempre a Pavia, una ambasceria per giungere ad un accordo; il 14 venne firmata una tregua fra le fazioni cittadine; in seguito, il fratello del D., Giovanni, fu mandato a Pontedecimo, per accogliervi il signore di Montjoie, consigliere francese del duca di Milano e inviato come mediatore tra le fazioni genovesi. La missione dei Montjoie non ebbe, però, successo: dovendosi recare a palazzo per esporre le ragioni del duca di Milano, egli si trovò di fronte all'aperta ostilità della piazza, tanto da preferire un frettoloso ritorno nel monastero di S. Siro, sua residenza. Anche il tentativo di convocare un'assemblea popolare fallì, perché nessuno si presentò nel luogo stabilito (18 apr. 1400). Di fronte a questo insuccesso politico, dopo solo 24 giorni di governo, il D. preferì abbandonare il potere, che ritornò al Consiglio degli anziani.
La situazione divenne ancora più confusa: come luogotenente francese arrivò a Genova Rainaldo di Olivar, appoggiato anche dal Visconti, ma, nell'ottobre, nuovi disordini lo costrinsero a rifugiarsi nella fortezza del Castelletto. Il 16 dello stesso mese un altro Consiglio generale, tenuto nella chiesa di S. Maria delle Vigne, scelse quaranta elettori, i quali il giorno dopo invitarono l'Olivar e il D. a governare la città: questa scelta di compromesso fu dettata anche dalla necessità di opporsi ad un nuovo tentativo dei Fregoso di sfruttare a loro vantaggio il vuoto di potere, facendo occupare il palazzo da Gabriele Racanello, cognato di Rollando Fregoso. Per evitare altre incertezze, tre giorni dopo il Collegio degli elettori decise di nominare unico governatore il D., mentre suo fratello Giovanni percorreva la città per annunciarne la elezione.
Il D. non volle assumere il titolo di doge e preferì salvare le apparenze della fedeltà al re di Francia, accettando solo il titolo di capitano reale. Egli cercò innanzitutto di riportare la calma in città, invitando a deporre le armi e tentando di amministrare in modo rigoroso la giustizia. Si trattò, tuttavia, di una illusione destinata a naufragare davanti all'ostilità delle potenti famiglie cittadine e al malcontento serpeggiante tra gli artigiani. Il 2 febbr. 1401 venne eletto il nuovo podestà, il bolognese Ugolino Presbiteri, che, su ordine del D., fece arrestare alcuni membri autorevoli dei Fregoso (tra cui Rollando e il Racanello) e degli Adorno. Il colpo di mano, tuttavia, rivelò la fragilità del governo del D.: in città vennero alzate barricate che Giovanni De Franchi non riuscì ad abbattere; il tentativo del D. di far appello alla piazza per ottenere un avallo alle sue iniziative fallì, perché andò deserta la riunione da lui convocata a tale scopo. Alla fine, egli fu costretto a rilasciare i prigionieri: le agitazioni si calmarono, ma il prestigio del D. fu irrimediabilmente azzerato.
Nel frattempo l'iniziativa tornò alla Francia: il 23 marzo 1401 il re nominava governatore di Genova Jean Le Maingre, signore di Boucicault, l'"uomo forte" deciso a ristabilire l'ordine ad ogni costo. Il primo avviso delle reali intenzioni francesi si ebbe quando Giacomo Fregoso, inviato a Parigi probabilmente per congratularsi col nuovo eletto, riferì le severe rimostranze di Carlo VI per i recenti avvenimenti e specialmente contro il D., ancora in carica. In conseguenza di ciò, il 17 settembre venne eletto l'ufficio degli Otto di balia con lo scopo di deporre il capitano reale. Nuovi disordini scoppiati in città e attribuiti, forse non a torto, al D. o ai feudatari suoi potenti alleati, non impedirono che il 20 settembre il D. venisse deposto. Il 31 ottobre il Boucicault entrò in Genova. Primo suo atto fu l'arresto (2 novembre) di Battista Boccanegra e del D., accusati di ribellione al re. Condotti dal palazzo in piazza per essere giustiziati, il Boccanegra fu decapitato; il D., invece, approfittando della confusione provocata dalla prima esecuzione, riuscì a fuggire, rifugiandosi nella sua villa in Multedo. Come ritorsione il Boucicault fece arrestare l'ufficiale responsabile della fuga e lo fece decapitare; anche la villa del D. fu poi abbattuta. Uscito di nascosto dalla città, il D. si rifugiò presso il marchese di Varzi, Isnardo Malaspina. Alleatosi con Rollando Fregoso, egli ottenne aiuti anche dal signore di Sassello; il 1° giugno 1403. insieme con Cassano Doria, organizzò contro Genova un colpo di mano, favorito anche dai Visconti. Giunto ad Arenzano e affrontato dalle truppe del Boucicault, fu, però, costretto a desistere. Nel luglio un'abile operazione riuscì a portare alla cattura del D., allora di passaggio per il territorio tortonese perché diretto presso Facino Cane con l'intenzione di chiedergli aiuti; portato a Tortona, egli fu, però, liberato grazie all'intervento del vescovo, Pietro De Giorgi. Nel luglio del 1405 il D. si recò a Venezia: qui illustrò un suo piano d'azione per scacciare il Boucicault con l'aiuto di Facino Cane e dei suoi amici; in cambio chiese un cospicuo finanziamento che si dichiarava disposto a restituire, qualora non fosse riuscito a controllare Genova per più di tre mesi; nel caso in cui fosse avvenuta la sua nomina a governatore, il D. si impegnava a ripagare la Repubblica di Venezia con 16.000 ducati quale risarcimento dei danni patiti dai mercanti veneti a Beirut. Il piano, tuttavia, non fu attuato.
In seguito, ospitato dal marchese del Monferrato, Teodoro II, il D. si adoperò per convincere il Paleologo e Facino Cane ad intervenire per conquistare Genova. Approfittando della campagna militare del Boucicault contro Milano, nel 1409 Teodoro II riuscì ad impadronirsi della città. Probabilmente, il D. poté ritornare a Genova, riprendendo la sua attività economica e politica. Infatti, nel 1412, assediando i Catalani l'isola di Chio, i mercanti genovesi residenti nell'isola e i Maonesi armarono cinque navi grosse, cui il signore di Metelino aggiunse una sua galea; al comando della flotta vennero posti il D. e Paolo Lercari, che avevano fatto tappa nell'isola, essendo diretti a Caffa come consoli. Alternandosi al comando delle navi, essi diedero la caccia alla flotta catalana, che raggiunsero nel porto di Alessandria: nel lungo scontro seguitone, i Genovesi riuscirono a catturare una nave nemica e a recuperarne due, a suo tempo prese dai Catalani. Proseguendo la navigazione verso Chio, la flotta fece scalo a Rodi, dove vennero impiccati i prigionieri sotto gli occhi dei Catalani residenti nell'isola. Morto il Lercari, ferito nello scontro navale, il D. rivestì la carica di console a Caffa.
In seguito, secondo il Federici, fu ufficiale di Provvigione nel 1420 e ambasciatore al duca di Milano nel 1422. L'anno seguente, insieme con Prospero di Ovada, rivolse una supplica (in materia spirituale) a papa Martino V; nel 1424 fu elettore nella Casa di S. Giorgio; nel 1427 partecipò ad una riunione del suo "albergo" per decidere alcune norme circa l'elezione dei governatori e del "massarius".
Non abbiamo altre sue notizie dopo questa data. Dalla moglie, Caterina, figlia di Francesco Caparagia, ebbe 16 figli; uno di questi, Antonio, rivestì varie cariche nella Repubblica, tra cui quella di ufficiale di Guerra (1438), di console di Caffa (1447), di capitano di Famagosta (1449, 1450).
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