CARIONI, Battista (Battista da Crema)
Nacque a Crema tra il 1450 e il 1460 dalla nobile famiglia dei Carioni.
Si ignorano i nomi dei genitori, ma il padre esercitava presumibilmente l'arte dell'orefice a giudicare dall'altro cognome, Aurifex (Orefice) che gli venne anche attribuito. Ancora giovane, si volse alla vita religiosa entrando nella Congregazione domenicana di Lombardia - in una città che non è stato possibile precisare - dove compì i suoi studi, alimentati anche dalla conoscenza della filosofia antica. è ipotesi comunemente accolta che il C., assieme al confratello Girolamo Savonarola, abbia avuto come maestro spirituale padre Sebastiano Maggi, probabilmente nel convento di S. Maria delle Grazie a Milano, dove costui fu superiore e vicario generale della Congregazione negli anni 1480-82. Si è supposto che tale discepolato poté invece avvenire nel convento di S. Domenico in Brescia o in quello di S. Corona a Vicenza, dove il Maggi fu priore dal 1492 al 1493.
Nel 1494 il C. vestì l'abito domenicano svolgendo la sua attività forse nella sua città natale fino al 1497 quando lo troviamo a Milano con l'incarico provvisorio di superiore del convento di S. Maria delle Grazie. Due anni dopo l'incarico divenne definitivo con il trasferimento del C. nel piccolo convento, dello stesso nome, di Modigliana. Qui trascorse molti anni e si perde ogni traccia di possibili cambiamenti fino al 1519, quando si ha notizia della sua dimora nel convento di S. Corona a Vicenza.
Intanto egli aveva già acquistato tra i confratelli una grande autorità morale e religiosa, come frate di integerrima vita e di grande esperienza spirituale. Sotto la sua guida si pose Gaetano da Thiene, protonotario apostolico e fondatore dell'Oratorio del Divino Amore a Roma, giunto nel 1519 a Vicenza per dedicarsi a una benefica attività a favore dei poveri e degli infermi. I risultati da lui raggiunti in poco tempo furono molto soddisfacenti e il C., desiderando che tale opera si propagasse altrove, gli ingiunse, nel 1521, di continuarla a Venezia e quindi nel 1523 a Roma.
Nello stesso 1523 fu pubblicata a Venezia a sua insaputa, e per iniziativa dell'eremita don Girolamo Regino, la sua opera Via de Aperta Verità.L'edizione risultò gravemente scorretta e in qualche luogo incomprensibile cosicché il C. fu costretto a prepararne una ristampa, apparsa sempre a Venezia nel 1525. L'opera non ha un disegno unitario ma è formata
da quattro piccoli trattati seguiti da una Epistola familiare, composta per rispondere ad alcuni quesiti che gli erano stati formulati da Gaetano da Thiene. Nel primo opuscolo, il De la professione, il C.ammaestra un novizio sul significato e sul valore della scelta della vita religiosa, volgendosi poi a trattare gli specifici temi della povertà, della castità e dell'obbedienza, i tre voti dalla cui perfetta osservanza si ricavano, per lui, i massimi vantaggi per una perfetta vita spirituale. Il secondo scritto, De li confessori e de li penitenti, èuna viva esortazione a ricorrere al sacramento della confessione, di cui sono esaminati la natura e i segni interiori e esteriori del suo pieno soddisfacimento. Confessione e comunione, di cui si propugna l'uso frequente in un altro opuscolo di grande importanza per la conoscenza della dottrina mistica del tempo (De la Santa Comunione), costituiscono per il fedele, nel pensiero del C., un potentissimo mezzo di difesa contro le seduzioni delle dottrine ereticali e le tentazioni del demonio. Infine nello scritto Del modo di acquistar devotione et conservarla viene spiegato in primo luogo il significato della vera devozione e come da essa procedono quelle consolazioni spirituali che gli uomini possono gustare dopo aver compiuto le indispensabili opere di carità. Si passa quindi all'esame delle cause da cui procedono i mali e i vizi: si tratta dell'amor proprio, della concupiscenza, dell'irascibilità, delle malvage inclinazioni ecc., con i relativi rimedi in modo che l'uomo, vincendo se stesso, si possa liberare da tutto ciò che lo insidia. Dal complesso degli insegnamenti del C. emergono quindi i precetti riassuntivi per poter conseguire la salvezza eterna. Questa non deriva per lui tanto dall'osservanza delle bolle e delle indulgenze, cioè dal soddisfacimento di nonne morali e giuridiche, quanto dal bene che si è capaci di compiere e, soprattutto, dal saper imitare Cristo in noi stessi. In quest'opera del C. sono già configurati i principi fondamentali della sua spiritualità che saranno in seguito sviluppati e approfonditi. Intanto sia le sue idee favorevoli alle concezioni cristocentriche, sia l'elogio a Giovanni Cassiano contenuto nel primo trattatello, nel quale era esplicita l'accentuazione delvalorg della libertà dell'uomo per vincere il peccato e per conseguire la salvezza, diedero luogo ad accuse di semipelagianesimo. Ciò provocò un intervento di Clemente VII il quale ordinò (breve del 23 giugno 1525) che l'opera venisse esaminata da due domenicani; il C. uscì indenne da questo primo giudizio, grazie anche alla sua proclamata sottomissione alla Chiesa espressa nella prefazione dell'opera stessa.
Intanto la fama del C. si diffondeva oltre gli stretti confini entro cui aveva fino allora operato, mentre si approssimava l'evento che ne avrebbe profondamente modificato la vita. Nel 1527 conobbe Ludovica Torelli, contessa di Guastalla, succeduta alcuni anni prima (1522) nella signoria della città al padre Achille, trucidato da Ercole Gonzaga. La Torelli usciva da due tragiche esperienze matrimoniali: il primo marito, il patrizio cremonese Ludovico Stanga, era morto subito dopo il matrimonio; il secondo, il conte bresciano Andrea Martinengo, era stato assassinato anche egli subito dopo le nozze. Questo evento generò nell'animo della donna una profonda crisi che la indusse ad abbandonare la vita della corte per raccogliersi in ritiro spirituale sotto la guida del C., il quale era allora confessore nel convento delle Rose a Milano. In quegli anni il C. conobbe il medico Antonio Maria Zaccaria, già da tempo dedito ad opere di apostolato, sul quale acquistò presto un grande ascendente, tanto da indurlo a ritirarsi dalla vita laicale e ad abbracciare il sacerdozio. Nel 1529, ottenuta la dispensa papale e il permesso dei superiori, si stabilì a Guastalla presso la Torelli, la quale accentuò a tal punto la severità del suo comportamento che la sua corte sembrerà un "chiostro de monastero" e poco dopo, acquistata una casa a Milano, vi si trasferì con tutta la sua corte organizzandola sul modello di una comunità religiosa. Per essa il C. dettò le norme di vita spirituale e morale da cui avrebbe dovuto essere guidata, e che erano basate su un'intensa partecipazione al culto religioso - devozioni, prediche, frequenza ai sacramenti ecc. - e sulla pratica di esercizi ascetici.
L'elaborazione dei principî dottrinari del C. è contenuta in un altro suo scritto apparso a Venezia nel 1531, Opera utilissima della cognitione et vittoria di se stesso, divisa in nove capitoli e preceduta da un'epistola di mons. Francesco Ladino, vescovo di Laodicea e suffraganeo della diocesi di Milano. Nella sua analisi, il C. procede in base a uno schema preciso: in primo luogo ricerca l'origine e la natura dei mali morali da cui gli uomini vengono insidiati; poi, per ognuno di essi, indica i rimedi spirituali perché possano essere vinti. Infine esamina i "segni", vale a dire la nuova situazione dell'anima purificata, dai quali si riconosce l'avvenuta vittoria dell'uomo su se stesso. Il C. si basa sulla triplice suddivisione della natura umana in concupiscibile, irascibile e razionale, da cui scaturirebbero mali e vizi che dominano l'esistenza dei malvagi e di quanti sono schiavi delle proprie passioni. Dalla natura concupiscibile si generano, egli dice, l'intemperanza, la golosità, la lussuria - che comporta anche, per chi soggiace ad essa, il male dell'incostanza e dell'amore di sé, il sentimento dell'odio ecc. - e l'avarizia, prodotta quest'ultima anche dalla mente corrotta. Trattando della parte irascibile, il C. analizza in primo luogo la natura dell'ira considerata come causa di altri vizi che provengono da essa come da un tossico che si espande: l'amarezza, l'audacia, la tristezza, l'invidia. Da questi, come da una catena ininterrotta, nascono poi altri. Ad esempio dall'invidia, l'odio, l'ostinazione, l'incostanza, la vanagloria; dalla tristezza, l'irrazionalità, il "male habito" (cioè il cattivo comportamento), la radice del "male habito" (cioè la predisposizione ad esso); dall'accidia, infine, provengono il sospetto e il giudizio temerario, la tendenza a seminare zizzania e a truffare il prossimo, la negligenza. Una trattazione particolare è dedicata alla superbia che ha origine da se stessa, in quanto si genera automaticamente, e anche da cause del tutto opposte, come l'umiltà e la virtù. Per questo essa si rivela subdola e ingannatrice e insieme con gli altri vizi che l'accompagnano - la leggerezza, l'arroganza la presunzione, la ribellione - può così affliggere la maggioranza degli uomini, i buoni e i cattivi, i dotati e gli incapaci, i fortunati e gli sfortunati. Nel capitolo conclusivo, il C. riprende il tema generale delle passioni - di cui alcune dice fondate sulla ragione, altre sul sentimento e altre ancora sulla "complessione" - e delle inclinazioni naturali che provocano danni morali per l'anima. Per poterle superare egli indica allora un duplice rimedio: in primo luogo la grazia di Dio che è necessaria, e poi operando con i mezzi da lui stesso indicati. L'uomo potrà quindi raggiungere la propria liberazione da se stesso quando sarà uscito vincitore dal combattimento spirituale ingaggiato contro la propria tepidezza, considerata come incompatibile con ogni idea di perfezione cristiana e come l'autentica eresia della vita ascetica. Senza indulgere ad alcun compromesso con quanto appartenga al mondo o provenga da esso, egli conseguirà così una piena vittoria che lo condurrà al culmine della perfezione introducendolo alla vita contemplativa. In questo modo si attua il passaggio, nel pensiero del C., dalla fase ascetica a quella mistica quando l'anima si nutre soltanto della speculazione della verità e del puro amore di Dio. Il pericolo è rappresentato, questa volta, dalla scienza speculativa che genera orgoglio e pusillanimità, ma ad esso si può resistere imitando nel proprio animo la passione di Cristo e rivivendola con l'ausilio delle preghiere e della pratica dei sacramenti. Quest'opera del C. diede luogo a rinnovate accuse di semipelagianesimo contro di lui a causa della funzione primaria assegnata alla volontà umana nel processo di salvezza e che egli derivava da Cassiano, al cui insegnamento aderiva apertamente e dal quale aveva anche appreso, tra l'altro, i mezzi per combattere le passioni e l'idea della purezza di cuore. Ma egli ebbe altre e numerose fonti: s. Paolo, s. Agostino, s. Giovanni Cristostomo, s. Gregorio Magno, s. Ambrogio e, più vicini a lui Riccardo di S. Vittore, s. Tommaso, s. Caterina da Siena, ecc. Dalle sue opere affiorano inoltre altri elementi della sua formazione culturale, di carattere platonico e neoplatonico, che egli aveva attinto da Marsilio Ficino e soprattutto da Giovanni Pico della Mirandola da cui riprende, ma impiegandola poi in senso ascetico, l'idea della "virtus" intesa come valore e potenza, e il concetto stesso di uomo come microcosmo posto tra cielo e terra, e capolavoro di Dio.
Sul piano dell'interpretazione storica, la dottrina del C. sfiora l'eresia semipelagiana soltanto quando è spinta a conseguenze troppo avanzate; in essa è affermata invece l'idea di un contemperamento tra la volontà umanae la grazia di Dio, che è ritenuta indispensabile e che si effonde con maggiore abbondanza quanto è più forte la cooperazione della stessa volontà. Il tentativo di interpretare tale dottrina come una forma di reazione all'eresia luterana, e in particolare al concetto di giustificazione per la sola fede, a causa della preminenza attribuita alla sola grazia di Dio, è stato respinto come estraneo alla sua prospettiva religiosa.
La sua esperienza di apostolato procedeva, nel frattempo, non senza difficoltà. Un primo tentativo operato nel 1530 dai suoi superiori lombardi di farlo rientrare nell'Ordine fu frustrato dalla Torelli, che riuscì ad avere dal papa una nuova autorizzazione a far risiedere il frate presso di lei. Ma nel 1532 il C. fu di nuovo invitato a rientrare in convento, mentre da Venezia interveniva con una lettera molto energica e decisa il vescovo Gian Pietro Carafa che sollecitava, anche lui il richiesto ritorno. Come risposta a tutte le ingiunzioni, la Torelli abbandonò subito Milano trasferendosi a Guastalla e chiamando presso di sé, come consigliere e assistente, anche lo Zaccaria che in quell'anno (1533) portava a compimento con alcuni suoi compagni il progetto di dar vita ad una Congregazione religiosa che chiamerà dei conventuali di s. Paolo, poi volgarmente detta dei barnabiti.
I legami tra lo Zaccaria e il C. si strinsero ancora di più e questi ebbe anche una parte di rilievo nell'organizzazione della nuova congregazione, approntando per essa un progetto di costituzioni, redatto in lingua latina. Le regole sono andate perdute ma la loro influenza si avverte ugualmente nelle costituzioni redatte subito dopo dallo stesso Zaccaria in lingua italiana. Nel frattempo i domenicani ripresero la loro azione per ricondurre il C. in convento. Il papa, questa volta, cedette alle ragioni addotte da costoro cosicché padre Angelo da Faenza, provinciale di Lombardia, poté rinnovare di nuovo (1533) l'ingiunzione al frate. La Torelli reagì energicamente e tramite lo Zaccaria, nominato suo procuratore, fece formale opposizione davanti a un notaio alle richieste, contestando il potere di giurisdizione del provinciale domenicano. Contemporaneamente riuscì ad avere dal papa un altro breve di concessione perché il C. potesse rimanere presso di lei ma, mentre la polemica divampava, già gravemente ammalato, questi morì all'inizio del 1534, probabilmente il 2 gennaio, assistito dalla Torelli e dallo Zaccaria.
Due anni dopo si ripresentò di nuovo il problema della sua ortodossia. Paolo III, avuto sentore che a Milano esisteva una setta di seguaci del frate che avrebbe professato idee ereticali richiamandosi, oltre che agli scritti del proprio maestro, anche a concezioni dei begardi e dei poveri di Lione, incaricò il vescovo di Modena, Giovanni Morone, di svolgere un'inchiesta. Le accuse risultarono infondate, ma la condanna del C. avverrà alcuni anni più tardi, nel 1552 quando, a causa della sregolata e superba condotta dell'angelica Paola Antonia Negri che si richiamava alle sue dottrine, queste furono definitivamente condannate in quanto ritenute dai giudici inquisitori scandalose, temerarie ed eretiche. Le opere del C. furono così inserite nell'Indice dell'Inquisizione veneziana del 1554, nell'Indice del1559 e in quello tridentino del 1503, ma, questa volta, con la clausola "donec emendentur" che la Torelli era riuscita a ottenere. Soltanto alla fine del sec. XIX il C. verrà prosciolto da ogni addebito, quando le sue opere scompariranno dall'Indice diLeone XIII.
Oltre alle opere già citate, il C. compose: La philosophia divina, ossia Historia de la passione del nostro S.G.C. crucifixo et modo di contemplare quella per imitarlo e Lo Specchio interiore opera divina per la cui lettione ciascuno divoto potrà facilmente ascendere al colmo della perfettione che erano già composte nel 1531 e che avrebbero dovuto essere pubblicate insieme all'Operautilissima come risulta dalla lettera di presentazione premessa a tale trattato da mons. Francesco Ladino. Invece se ne ebbero due edizioni a parte, la prima a Milano nel 1531 (poi Venezia 1545), la seconda, sempre a Milano, nel 1540; Detti notabili raccolti da diversi autoriper il R. P. Antonio Zaccharia daCremona, Opera divotissima, e molto utile a chi desidera far profitto delle cose de spirito, et governar l'anima sua secondo il volere di Dio, Venetia 1583. Quest'opera è stata attribuita allo Zaccaria dal curatore dell'edizione padre Filiberto, ma si è avanzata l'ipotesi che costui l'abbia fatto per salvarla dalla censura che aveva già colpito le altre opere del Carioni. In ogni caso lo Zaccaria non avrebbe fatto altro che raccogliere le sentenze del C. sotto il nome di Dettinotabili.
Del C. sono andati perduti un Libro de Divina Providentia, un Libro delle Sentenze, mentre risultano di dubbia autenticità i seguenti scritti: Profecto Spirituale; Via del paradiso; Libro de Contemplatione chiamato Amore Langueo.
Fonti e Bibl.: Serafino da Fermo, Apol. di fra Battista da Crema, Venezia 1541 (pubbl. insieme ad altri scritti dell'A. in un volume miscell. dal titolo: Trattato brevissimo della Conversione intitolato alle Donne convertite di s. Magdalena;altra ed. a cura di O. Premoli, Apologia di fra Battista da Crema, Firenze 1918); A. F. Doni, La Libraria…, Vinegia 1550, p. 30; P.Morigia, Historia della meravigliosa conversione, vita esemplare e beata fine della Ill.ma Sig. Ludovica Torelli contessa di Guastalla;Bergamo 1592; H. Reusch, Der Index der verbotenen Bücher, I, Bonn 1883, pp. 399 s.; T. Moltedo, Vita di s. Antonio Zaccaria, Firenze 1897, p. 308; O. Premoli, Le lettere e lo spirito relig. di s. A. M. Zaccaria, Roma 1909, p. 13 e passim;Id., S. Gaetano da Thiene e fra' Battista da Crema, in Riv. di scienze stor., VII(1910), pp. 33-66; Id., Fra' Battista da Crema secondo documenti inediti, Roma 1910; Id., Storia dei barnabiti nel Cinquecento, Roma 1913, passim;G.Boffito, Biblioteca Barnabitica, IV, Firenze 1937, pp. 250-255, 257, 262; I. Colosio, Battista da Crema autore di "Detti Memorabili", in Vita cristiana, IX(1937), pp. 171-199; A. Cambiè, Fra' Battista da Crema, in Memorie domenicane, LVII (1940), pp. 112-114; T. M. Abbiati, Gaetano Bugatti e i "Detti Memorabili" attribuiti a s. Antonio Zaccaria, in La Scuola cattolica, agosto 1940, pp. 388-396; L. Bogliolo, La dottrina spirit. di fra' Battista da Crema nella luce di s. Giovanni della Croce, in Vita cristiana, XXI(1949), pp. 40-51; Id., Battista da Crema. Nuovi studi sopra la sua vita, i suoi scritti, la sua dottrina, Torino 1952; M. Petrocchi, Pagine sulla letteratura religiosa lombarda del 1500, Napoli 1956, pp. 11 s.; Dict. de spiritualité, II, 1, coll. 153-156.