CANETOLI, Battista
Figlio, forse primogenito, di Matteo e di Vermiglia Bentivoglio, le cui nozze furono celebrate attorno al 1382, nacque quasi certamente prima del 1390, dato che nel 1417 o nel 1418 fece parte del Consiglio degli anziani del Comune di Bologna. In un primo momento molto probabilmente esercitò, come il padre, la professione di cambiatore, anche se non compare mai con questa qualifica. Secondo Sabbadino degli Arienti, nel 1414-15 accompagnò, assieme ad Antonio Bentivoglio, il papa Giovanni XXIII al concilio di Costanza; ma la notizia non è confermata da altre fonti e potrebbe darsi che il letterato bolognese abbia confuso il C. col cugino Marco, che effettivamente si recò al concilio.
Il suo ingresso nella vita politica bolognese avvenne quandole due fazioni cittadine dei Caneschi e dei Bentivoglieschi, rivendicando una maggiore autonomia della città, effettuarono un colpo di Stato contro il governo della Chiesa. Lo troviamo infatti a fianco del padre e del fratello Baldassarre nella riunione che precedette la sommossa del 5 genn. 1416. Durante il nuovo regime ricoprì, in un primo momento, la carica economico-finanziaria di "tesaurarius generalis" del Comune per il secondo semestre del 1417, ufficio già esercitato in passato dal padre; e poi quella di anziano, per l'ultimo bimestre dello stesso anno, o, più probabilmente, per i primi due mesi del 1418. Ma la collaborazione tra le due potenti famiglie si ruppe assai presto e Antonio Bentivoglio, il 26 genn. 1420, riuscì ad impadronirsi con la forza del potere. Vittima delle inevitabili persecuzioni fu anche il C., che dovette rifugiarsi a Verona, insieme col fratello Baldassarre. Vennero richiamati il 18 ottobre per desiderio del legato, che intendeva limitare in tal modo la potenza del Bentivoglio, peraltro gia allontanato da Bologna.
Per un certo periodo il C. collaborò col legato, come, d'altra parte, anche altri membri della sua fazione: le cronache ricordano che egli si recò col governatore pontificio, nel maggio del 1426, a prendere possesso di Imola, Forlì e altre terre che il duca di Milano aveva elargito al papa. Ma questa subordinazione e la circostanza che il Bentivoglio era ormai riuscito a guadagnarsi l'appoggio del papa Martino V e tramava per rientrare a Bologna spinsero i Canetoli e gli Zambeccari a ripetere il tentativo di ricostituire un governo popolare. Approfittando dell'impopolarità del legato, il C., diventato ormai capoparte dei Caneschi, e l'abate Bartolomeo Zambeccari si posero alla guida del moto che il 1º ag. 1428 sconvolse la città. Il legato venne catturato e rinchiuso nella casa di Marco Canetoli, presso porta Stiera, donde venne liberato solo il 23 agosto, mentre i Canetoli si insediarono nelle più importanti magistrature della città. In conseguenza Bologna, per quasi un anno, dovette subire numerosi attacchi da parte delle truppe pontificie, tra i cui condottieri si trovava anche il Bentivoglio, e fu colpita dall'interdetto.
La lunga resistenza dei Bolognesi convinse il papa a tentare la via delle trattative: il 30 ag. 1429 i capitoli di pace furono approvati dal Consiglio dei seicento e il nuovo cardinale legato, Lucido Conti, fece il suo solenne ingresso il 25 settembre. All'inizio del 1430 vennero eletti nuovi magistrati: nessuno dei Canetoli ebbe cariche di rilievo; forse anche per questo essi tentarono una rivolta contro il legato, ma stavolta venne meno il favore del popolo, fiaccato dai disagi dell'anno precedente e desideroso di pace. L'azione del C. si fece allora più sotterranea: mentre esternamente assecondava la politica del legato, volta a riequilibrare le forze delle fazioni rivalutando quella bentivogliesca, si alleò più strettamente con gli Zambeccari e i Griffoni, al fine di eliminare, anche con l'inganno e il delitto, gli avversari più pericolosi e ascoltati dal popolo. Il legato, intimorito, fuggì dalla città il 3 aprile e si rifugiò a Cento. Di nuovo i Canetoli, gli Zambeccari e i Griffoni rimasero padroni di Bologna e il papa inviò un altro legato, Nicolò Acciopaci, per costringere la città alla resa senza condizioni. L'assedio accerchiò di nuovo Bologna e la guerra proseguì con alterne vicende, finché, il 20 febbr. 1431, morì a Roma il papa Martino V, con grande esultanza dei Bolognesi. Il C. e i suoi collaboratori cercarono in questo frangente di allargare le loro alleanze con le città e i castelli del contado, ma i loro tentativi furono rintuzzati dalle forze pontificie. Vennero inoltre subito intavolate trattative col nuovo papa, Eugenio IV, assai popolare a Bologna per avervi per oltre un anno svolto la funzione di legato, e notoriamente amico dei Canetoli. Nel marzo dello stesso anno, uno dei fratelli del C., Galeotto, si recò a Roma per concordare i capitoli di pace che alla fine di aprile divennero operanti.
Il C. mantenne, anche dopo il rientro del governatore papale, una posizione di primo piano: fu infatti nominato membro del Consiglio dei venti commissari incaricati di eleggere i nuovi magistrati, carica che ricoprì anche l'anno successivo (1432). Ma presto i rapporti fra le famiglie dominanti si incrinarono di nuovo: già nel mese in cui si stava trattando la pace con Eugenio IV, il C. e l'abate Zambeccari furono protagonisti di un clamoroso contrasto, dovuto apparentemente a futili motivi. All'inizio del 1432, con l'ingresso in carica del nuovo governatore Fantino Dandolo (7 sett. 1431) questi contrasti vennero continuamente rinfocolati. L'obiettivo del Dandolo sembrava infatti quello di esautorare il C., che da parte sua cercò di prendere contatto con l'imperatore, in quel periodo (marzo 1432) a Parma, e forse con Filippo Maria Visconti, il cui esercito era attestato a Lugo; l'abate Zambeccari e i suoi seguaci costituirono invece per il Dandolo, almeno per qualche mese, un utile strumento per fermare l'ascesa della parte canesca. Ma la pronta reazione del C. contro le trame dei suoi avversari costrinse lo Zambeccari a riparare a Vignola (settembre) e il Dandolo ad abbandonare Bologna (27 genn. 1433).
Col nuovo governatore i rapporti sembrarono migliorare, ma i ripetuti tentativi dello Zambeccari, del Bentivoglio e di altri fuorusciti di rientrare con la forza a Bologna resero la vita assai difficile ai Caneschi. Intanto la presenza del duca di Milano si faceva sempre più sentire in Romagna, e gli Imolesi, nel febbraio 1434, si consegnarono nelle mani del Visconti. Forte della presenza dell'esercito milanese, il C. spinse i magistrati ad impadronirsi del potere, esautorando il governatore pontificio (maggio-giugno 1434). Tra i Dieci di balia, creati in seguito, figurava Galeotto, fratello del C., mentre un altro fratello, Gaspare, comandava le truppe bolognesi contro il Gattamelata, condottiero del papa. Le trattative di pace intavolate con Eugenio IV furono però compromesse dall'atteggiamento del Gattamelata, il quale, impadronitosi della persona di Gaspare, lo spedì prigioniero a Venezia invece di rilasciarlo, com'era stato stabilito.
Da questo momento la via per una stretta alleanza di Bologna con il nuovo comandante dell'esercito visconteo, Niccolò Piccinino, era aperta. Ma la pace (agosto 1435) tra il duca di Milano da una parte, e la Chiesa, Venezia e Firenze dall'altra, indebolì notevolmente la posizione dei Canetoli, che ormai non potevano più contare sulla protezione dei Visconti. Restaurato a Bologna il governo papale, il C., pochi giorni dopo aver accolto con finta letizia il nuovo governatore pontificio, fuggì improvvisamente a Correggio (14 ott. 1435), seguito subito da circa duecento suoi partigiani, mentre si aprirono le porte di Bologna per il rientro dei banditi, primo fra tutti Antonio Bentivoglio che tuttavia ben presto, per la sua popolarità, ritenuta eccessiva dal governatore, venne ucciso a tradimento (23 dicembre). Il duca di Milano, accusato dal papa di favorire i nemici della Chiesa, fece però imprigionare il C., ma si trattò evidentemente di una mossa tattica, dato che il prigioniero fu liberato pochi giorni dopo.
A Bologna intanto i Bentivoglieschi, stanchi del duro governo pontificio presero accordi col Piccinino per rovesciarlo: il 20 maggio 1438 l'esercito visconteo penetrò nella città preparando la via al trionfale ritorno di Annibale Bentivoglio, destinato a diventare il primo cittadino di Bologna. Ma sia la popolarità del giovane figlio di Antonio sia i maneggi del Piccinino insospettirono il duca di Milano che decise di servirsi del C. per controllare la situazione bolognese. Dopo un primo momento di tensione, il C. poté rientrare a Bologna il 29 genn. 1439; si recò due mesi dopo a Milano per informare il duca, e dopo il suo ritorno si adoperò di nuovo per limitare i poteri del Bentivoglio. Ma un tentativo di sedizione antibentivogliesca, organizzato nel settembre, fallì, ed il C., costretto a renderne conto al duca, fu richiamato e confinato a Milano. Il confino fu tramutato in prigionia quando il Visconti si convinse che, se voleva mantenere il controllo di Bologna, doveva allearsi col Bentivoglio (febbraio-marzo 1440). Questi, con l'appoggio del Piccinino, consolidò il suo potere e si imparentò col duca di Milano sposandone una nipote. Ai Canetoli invece vennero confiscati i beni mobili e immobili, donati poi, con un decreto del Piccinino del 10 dic. 1441, ad Annibale Bentivoglio, a risarcimento dei danni subiti nel 1428 "ex notoria operatione Baptiste de Canedulo".
Lo stesso giorno fu pubblicata anche la pace di Cavriana, una delle cui clausole prevedeva il ritorno di Bologna sotto il dominio della Chiesa. Ma il Piccinino, incaricato di consegnare la città al papa, se ne impadronì. Continuò anche in questo periodo la persecuzione contro i Caneschi, tanto è vero che il C., unitamente ai fratelli, venne condannato a morte (22 marzo 1442). Tuttavia ben presto, nell'autunno, anche i Bentivoglio furono scalzati dal potere. Il C. allora, pur di rientrare a Bologna e riguadagnare la sua libertà, si fece strumento dei Piccinino per catturare Ludovico Bentivoglio, che si trovava a Carpi, ma non vi riuscì (giugno 1443). Nello stesso tempo Annibale riprese il controllo della città e diede inizio a una politica di pacificazione, non si sa fino a che punto autonoma, con le più potenti famiglie bolognesi. Il primo dei Canetoli ad entrare in città, ben accolto dal Bentivoglio, fu Gaspare (22 giugno); poi fu la volta di Galeotto e del C., ancora una volta alle dipendenze del Visconti, di cui si faceva latore di proposte di pace (3 agosto). Il C. fu ben accolto anche dal Senato e poté ristabilirsi a Bologna; nei primi mesi del 1444 venne addirittura eletto gonfaloniere di Giustizia.
Ma il clima di pace durò ben poco. I contrasti, molto probabilmente fomentati dal Visconti, si accentuarono, soprattutto tra i Caneschi e i Bentivoglieschi. Dopo un primo scontro, senza gravi conseguenze, nel marzo 1445, Baldassarre Canetoli pare all'insaputa del C., organizzò l'assassinio del Bentivoglio, e ne fu l'esecutore materiale. Attirato da un tranello, mentre l'esercito del duca si stava apprestando ad intervenire, il Bentivoglio fu pugnalato il 24 giugno 1445. La pronta reazione di Galeazzo Marescotti e dei Bentivoglieschi riuscì a scongiurare il ritorno del Visconti a Bologna, ma fu fatale per i Canetoli: Baldassarre riuscì a fuggire, ma il C., dopo aver resistito valorosamente per tutta la giornata coi suoi partigiani, si nascose verso sera in una buca, dove fu scoperto e barbaramente trucidato. L'ira degli avversari si accanì anche sul suo corpo che, dopo essere stato pubblicamente bruciato, fu gettato ai porci.
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