Battesimo di Costantino
La fonte principale sul battesimo di Costantino1, quella che ne offre il resoconto più completo, si trova in quattro paragrafi della Vita di Costantino di Eusebio2. Questo racconto fu scritto entro i due anni successivi all’evento. Benché non sia il lavoro di un testimone oculare, non c’è motivo di dubitare dell’autenticità dei fatti riportati, malgrado le narrazioni posteriori ne abbiano completamente trasformato la presentazione. Ma il racconto di Eusebio è lontano dalla descrizione oggettiva di un evento reale: nei termini del ritratto agiografico che ha dedicato a Costantino, la sua intenzione è quella di rendere questo battesimo il culmine della conversione dell’imperatore, mostrando che egli l’ha ricevuto non solo con tutte le disposizioni richieste, ma anche con i preparativi e i riti che ne avrebbero assicurato la validità. Usando il linguaggio delle religioni misteriche, Eusebio caratterizza questo battesimo (senza neppure utilizzare il termine cristiano) come un’iniziazione, una rigenerazione e un dono di luce divina attraverso dei misteri (IV 62,4), una purificazione (61,2), un sigillo salvifico che conferisce l’immortalità (62,1-2), grazie al potere di un bagno salutare accompagnato da parole segrete (61,2).
Prima di iniziare il suo racconto, Eusebio menziona il tempo liturgico in cui Costantino era in procinto di ricevere il battesimo: è stato dopo aver compiuto «i più importanti esercizi spirituali della celebrazione della Pasqua» (60,5), il periodo durante il quale i catecumeni sono ammessi al battesimo. Tuttavia, evita di dire che questo periodo primaverile è tradizionalmente lo stesso in cui iniziano le campagne militari, cercando anche di nascondere che il viaggio appena intrapreso da Costantino era, in realtà, una campagna militare contro i persiani, i grandi rivali dell’Impero a Est. Il re persiano Shabur II aveva, infatti, avanzato la pretesa di recuperare la Mesopotamia, della quale l’aveva privato il trattato di Nisibi nel 299. Dopo trattative infruttuose, Costantino, che durante tutta la sua vita ha giustificato i suoi successi con la teologia della vittoria, decide di intraprendere la guerra con i persiani poiché contro di essi «non aveva ancora ottenuto una vittoria militare» (56,1). Parte dunque con il suo esercito, che è già con lui sulla riva asiatica del Bosforo: particolare che Eusebio si guarda bene dal segnalare. In compenso il biografo sottolinea l’intervento divino: è Dio che lo ritiene pronto, in questo tempo di celebrazioni, che coincide con quello della fine della vita dell’imperatore, «per il divino trapasso verso la vita ultraterrena» (60,5).
Il racconto di Eusebio comincia menzionando una indisposizione improvvisa che degenera in malattia grave, circostanza che induce Costantino a ricorrere ai bagni caldi termali della «sua città»: si potrebbe pensare che l’imperatore sia ancora a Costantinopoli, dove avrebbe partecipato alle festività pasquali, ma in realtà è alle terme naturali di Pythia Therma (oggi Altinova), sulla riva meridionale del golfo di Nicomedia, che egli va a cercare la guarigione. Dopo questa parentesi curativa, raggiunge la città alla quale ha dato il nome di sua madre, Elenopoli, l’antica Drepanum, e si reca in preghiera nel «santuario dei martiri» (61,1) – dove era sepolto Luciano di Antiochia. È in questo santuario che Costantino decide di essere battezzato, perché comprende di essere giunto al termine della sua vita. Questa decisione tardiva, da parte di un imperatore che si dichiarava cristiano da oltre venti anni, non deve portare a dubitare della sincerità della sua fede, poiché questa pratica era molto comune a quell’epoca. Molti tra quanti volevano ricevere il battesimo, infatti, presumendo di garantirsi la salvezza con la remissione di tutti i peccati, temevano di cadere di nuovo nell’errore prima di morire e quindi di essere costretti a sottoporsi alle dure pratiche della penitenza pubblica. Per questo motivo preferivano aspettare di essere arrivati alla fine della loro esistenza per ricevere il battesimo, così da morire perfettamente purificati. Un comportamento del genere è ben documentato già alla fine del III secolo, quando il numero dei cristiani era notevolmente aumentato; tale atteggiamento è particolarmente diffuso presso quanti, per mestiere, potevano essere coinvolti in atti di violenza e conseguenti spargimenti di sangue, come i magistrati e i soldati. Non c’è nulla di sorprendente nel fatto che un imperatore abbia lo stesso scrupolo, che sarà condiviso anche da alcuni dei suoi successori. Suo figlio Costanzo II, di cui nessuno può mettere in discussione le convinzioni cristiane, si farà battezzare, come suo padre, poco prima della morte. Costantino, del resto, era certamente consapevole di avere commesso degli errori: lo riconosce in alcune lettere (Epistula ad Concilium Arelatense, 23) e nella Oratio ad sanctorum coetum (XI 1-2). La sua malattia gli fa capire che è il momento giusto, per lui, «di purificarsi dalle offese di cui si era reso responsabile nel corso della sua intera esistenza, confidando che i peccati che aveva commesso nella sua vita mortale potessero essere lavati grazie alla forza delle parole arcane e alla potenza del salvifico battesimo» (IV 61,2).
Questa decisione, in cui si può leggere una sorta di ingresso nel catecumenato, è immediatamente seguita da una serie di riti nel martyrium di Elenopoli. Si sa che i riti dell’iniziazione cristiana non erano sempre uguali in ogni Chiesa ed è possibile che Eusebio si ispiri a quelli della propria, tuttavia ciò sembra improbabile, poiché la maggior parte di questi riti erano gli stessi ovunque. La preparazione al battesimo consiste in più fasi che si susseguono nelle settimane precedenti al battesimo stesso: Eusebio è attento a mostrare che nessuna delle tappe usuali è omessa, nonostante le circostanze particolari in cui il sacramento è amministrato e nonostante lo status del personaggio che lo riceve. Quindi ne rileva gli elementi essenziali, menzionati già nella Traditio Apostolica (19-20). Costantino si mette prima in ginocchio; prega Dio; confessa i suoi peccati, pratica che ricorda quella di coloro che ricevevano il battesimo da Giovanni (Mt 3,6). Riceve infine l’imposizione delle mani, rito di esorcismo (61,3).
Dopo questa sosta presso il martyrium di Elenopoli, che gli permette di completare le fasi preparatorie che il catecumeno deve attraversare, Costantino si reca nei pressi di Nicomedia: si sa da altre fonti che si ferma in una villa suburbana chiamata Achyron (che probabilmente significa ‘il Pagliaio’)4. Lì, l’imperatore formula ufficialmente la sua richiesta di battesimo, in presenza dei vescovi: Eusebio non riferisce il nome di nessuno di questi, ma altre fonti riportano che uno di loro era Eusebio di Nicomedia, che era presente sia come uno dei vescovi che lo seguivano nella sua spedizione militare – il che non sarebbe sorprendente, poiché Costantino stesso aveva voluto essere accompagnato dai vescovi (56,3) – sia, più probabilmente, in quanto vescovo locale. Le parole che il suo biografo mette in bocca all’imperatore risentono del genere letterario dei discorsi fittizi attribuiti dagli storici antichi ai loro eroi; si accordano dunque con l’immagine di Costantino che Eusebio vuole dare in tutta la sua opera, ma non è escluso che riflettano anche qualcosa dei reali sentimenti dell’imperatore, di cui Eusebio, in alcuni colloqui, aveva raccolto le confidenze:
Questo è il momento che da tanto tempo aspettavo, assetato e desideroso di ottenere la salvezza in Dio; ora è tempo che si goda anche noi del suggello della vita eterna, è il tempo del sigillo salvifico che un giorno pensai di poter ricevere nelle correnti del Giordano, presso le quali si ricorda che abbia ricevuto il battesimo anche il nostro Salvatore perché ci fosse di esempio. Ma Dio, che sa quel che è più vantaggioso, ci ha stimati degni di riceverlo qui. Che non vi sia dunque alcuna incertezza. Se infatti Colui che è padrone della vita e della morte desidera che noi viviamo ancora su questa terra, e se è stabilito così che io mi aggreghi per l’avvenire al popolo di Dio, e che partecipi ai riti della Chiesa e alla preghiera insieme a tutti gli altri, allora mi impegnerò a osservare regole di vita degne di Dio (62,1-3).
Le prime frasi del discorso dell’imperatore indicano la sua volontà di essere battezzato e, come giustificazione per il ritardo di questa sua decisione, adducono la confessione del suo primo desiderio di ricevere il sacramento nel fiume Giordano, luogo presunto del battesimo del Cristo. Questa pratica era molto popolare, come evidenziato da Eusebio di Cesarea, due decenni prima, nel suo libro sulla geografia della Palestina, l’Onomasticon5. Costantino sperava forse di realizzare questo desiderio al suo ritorno vittorioso dalla spedizione persiana, ma questo si può soltanto ipotizzare. Tuttavia, poiché ciò si era rivelato impossibile, Costantino non può più esitare e deve ricevere il battesimo sul posto, conformandosi a ciò che Dio stesso ha deciso.
È proprio questa decisione divina che lo convince a non tardare oltre. L’esitazione, questione che è necessario risolvere e sulla quale si sono soffermati molti commentatori, non riguarda la convinzione cristiana di Costantino, in quanto molte dichiarazioni, scritte e orali, dimostrano l’autenticità e l’antichità del suo processo di conversione. Riguarda bensì il momento opportuno per coronare questo processo ricevendo il battesimo: ma Dio stesso glielo rivela attraverso la malattia che lo colpisce. L’ultima frase della sua dichiarazione, cioè la promessa di conformare ormai la propria condotta ai precetti cristiani, è l’eco di quanto era richiesto ai candidati al battesimo anche prima della loro ammissione al catecumenato; in questo caso, si può anche pensare a un’applicazione delle disposizioni del concilio di Arles destinate ai titolari delle cariche pubbliche6. In questo modo Costantino avrebbe potuto partecipare pienamente alle preghiere della Chiesa, vale a dire alla celebrazione eucaristica, cui non potevano assistere i non battezzati.
Questo discorso attribuito all’imperatore nelle intenzioni di Eusebio mira, quindi, a mostrare la libertà e la fermezza della sua decisione, giustificando allo stesso tempo il battesimo tardivo, che sarebbe stato determinato solo dal suo desiderio di ricevere il battesimo dove Cristo stesso l’aveva ricevuto. Si tratta, d’altra parte, di una manifestazione della sua sottomissione alla decisione divina che si era rivelata attraverso la malattia. La promessa di comportarsi come un cristiano fa riferimento alle formule per mezzo delle quali i futuri battezzati promettevano di rinunciare alle opere del demonio.
Lo stesso battesimo avviene, dunque, nel rispetto di tutte le cerimonie prescritte (62,4): unzioni, esorcismi, imposizione delle mani.
Il rito battesimale comportava una triplice immersione nella piscina battesimale, ma in caso di malattia era possibile sostituire l’immersione semplicemente versando l’acqua battesimale sul capo del battezzato. Costantino era gravemente malato e non si trovava in una chiesa: è quindi verosimile che egli sia stato battezzato in questo modo, con una semplice infusione. Sottolineando nel suo racconto che Costantino riceve il «sigillo divino», un rito che completa il battesimo per infusione, Eusebio senza dubbio vuole dare assicurazione che nessuno dei riti necessari era stato omesso. Il battesimo ‘clinico’, rilasciato in caso di necessità, suscitava, infatti, qualche sospetto: era considerato un rito imperfetto, che doveva essere completato in caso di guarigione.
Dopo il battesimo, è concesso all’imperatore di ‘condividere i Misteri’, vale a dire di ricevere l’eucaristia. Eusebio precisa che questo gli è permesso dopo che i vescovi gli hanno dato «le necessarie istruzioni» (62,4), il che ricorda le catechesi mistagogiche rilasciate dopo le cerimonie dell’iniziazione cristiana, quando il significato dei riti ricevuti era spiegato ai neobattezzati, quelli che i greci chiamavano gli ‘illuminati’ (photizomenoi). Eusebio, nelle Lodi di Costantino come nella Vita di Costantino, presenta più volte l’imperatore come un maestro (didaskalos) del cristianesimo, che proclama a tutti «le leggi della vera pietà» che ha ricevuto direttamente da Dio. In questa circostanza, Costantino è quindi un neofita come gli altri, istruito dai vescovi.
Una volta eseguiti questi riti, «si avvolse in splendide vesti imperiali rifulgenti come la luce e si distese su un letto bianchissimo, deciso a non toccare mai più la veste di porpora» (62,5; 63,1). Costantino si conforma, in questo, alla pratica, ben attestata nel IV secolo, secondo la quale i battezzati indossavano abiti bianchi per una settimana. Morire in albis, nei vestiti bianchi, è il desiderio dei neobattezzati: circostanza che, quando si verifica, conferisce una venerazione particolare a quanti hanno avuto questa fortuna, poiché in questo modo ottengono la certezza della salvezza. Il fatto che Costantino sia morto nei suoi abiti bianchi ha certamente contribuito a fare sì che la Chiesa greca lo annoverasse tra i santi.
Eusebio aggiunge che, dopo aver indossato questi vestiti, l’imperatore si rifiuta di toccare la porpora; questo non vuol dire, tuttavia, che egli rinuncia all’autorità imperiale di cui dà ancora chiare dimostrazioni dopo il battesimo, ricevendo i suoi generali e soldati, e mettendo in ordine i suoi affari. Eusebio evoca qui, in una parola, il problema della successione, e dell’Impero trasmesso ai suoi figli «come una sorta di patrimonio di famiglia» (63,3), in un passo che riflette la situazione politica al momento della scrittura piuttosto che le intenzioni reali dell’imperatore.
Il racconto della cerimonia si conclude con il ricordo di alcune parole di Costantino. Mentre la titolatura dell’imperatore lo dichiara sempre felice, felix, o anche molto felice, beatissimus, egli si definisce ora «beato nel vero senso della parola», non più a causa del suo potere, ma perché è adesso «degno della vita eterna» avendo ricevuto «la luce divina» (63,1).
Il battesimo ha luogo il 22 maggio del 337, il giorno della festa di Pentecoste – una festa che, insieme a quella di Pasqua, è privilegiata per l’amministrazione del sacramento. Eusebio precisa che si celebra «intorno all’ora di mezzogiorno» (64,2), usando la stessa espressione che utilizza nel descrivere la comparsa della croce nel cielo durante la campagna di Costantino contro Massenzio (I 28,2), riferimento che non è certo casuale. Eusebio, lettore assiduo di Origene, ha da quest’ultimo ereditato l’interpretazione del mezzogiorno, l’ora della piena luce, in cui l’anima pura può avere la visione di Dio7.
Il racconto degli ultimi giorni di Costantino, scritto da Eusebio poco dopo la morte dell’imperatore e poco prima della sua, certamente non è una narrazione completamente neutrale degli eventi, come dimostrano sia la sua stilizzazione sia i suoi silenzi, ma non si può mettere in dubbio la parte essenziale della storia, il battesimo amministrato da Eusebio di Nicomedia, anche se questi non è nominato nel testo. Girolamo sarà il primo a menzionarlo apertamente nella sua Cronaca8, traendo la conclusione che Costantino avrebbe allora adottato l’arianesimo: un’affermazione destinata ad avere una lunga fortuna, ma che egli è l’unico a sostenere nel suo tempo e che è più che discutibile.
Gli storici ecclesiastici del V secolo, Socrate, Sozomeno e Teodoreto, che si ispirano a Eusebio, riportano anch’essi la notizia del battesimo senza nominare l’officiante, pur aggiungendo alcuni dettagli che riflettono versioni alternative dell’evento. Rufino omette di parlare del battesimo stesso: sapendo che Girolamo aveva accusato l’imperatore di essersi avvicinato all’arianesimo in quanto era stato battezzato da un vescovo ‘ariano’, preferisce non dire nulla. Tuttavia, riferisce che Costantino era effettivamente morto a Nicomedia, aggiungendo che prima di morire aveva affidato il suo testamento a un prete ariano, che era stato accolto alla corte da Costanza, sorella di Costantino, con l’ordine di consegnarlo solo a Costanzo II, tra i suoi figli quello più vicino geograficamente – viveva ad Antiochia, ma arrivò a Costantinopoli quando suo padre era già morto. Il testamento prevede la divisione dell’Impero fra i tre figli – in questo, Rufino riproduce la versione ufficiale; la conseguenza della consegna da parte del presbitero ariano è che Costanzo, per le sue future scelte sulla politica religiosa, si avvarrà proprio dei suoi consigli9. Questo sviluppo permette a Rufino di non pronunciarsi sull’ortodossia di Costantino e di far ricadere sugli inganni degli ariani il cambiamento graduale di orientamento della politica di Costanzo, che, a differenza di suo padre, sostiene e cerca di imporre, per amore di unità, confessioni di fede che correggono quella di Nicea. Socrate, di cui Eusebio è la fonte per il racconto del battesimo a Nicomedia, e che come lui non menziona il nome del battezzante, si ispira a Rufino per la menzione del testamento affidato all’ecclesiastico, «grazie al quale Ario era stato richiamato»10. Sozomeno fa lo stesso, aggiungendo solo che il presbitero a cui è consegnato il testamento è «certo seguace di Ario, ma uomo di vita virtuosa»11. Teodoreto si ispira anche a Eusebio, senza dire nulla del testamento; aggiunge che Costantino ordina il richiamo di Atanasio ad Alessandria, nonostante l’opposizione di Eusebio di Nicomedia12. Le loro versioni sono l’eco di un ambiente ‘ortodosso’, perché sono scritte in un periodo in cui gli oppositori della formula di Nicea vengono ridotti al silenzio e qualificati con l’espressione infamante di ‘eretici ariani’ (sebbene la maggior parte non sia in alcun modo seguace di Ario e faccia solo riferimento a una teologia che tende, in maniera più o meno accentuata, verso il subordinazionismo). Gli storici vogliono denunciare la cattiva influenza che questi ‘ariani’ hanno avuto su Costanzo e gettare l’infamia sull’imperatore, che li sosteneva. In ogni caso nessuna versione, neppure quella di Rufino, mette in discussione l’ortodossia di Costantino stesso. Tuttavia Filostorgio, venti anni dopo Rufino, fornisce una versione molto diversa di questi eventi: pur attestando anche lui che Costantino muore a Nicomedia, afferma che è stato avvelenato dai suoi fratellastri, che volevano vendicare l’omicidio di Crispo. La menzione del battesimo in sé non si trova nei frammenti della sua opera, ma questa ha ispirato fonti più tarde, le quali riferiscono che il battesimo è dato a Costantino a Nicomedia da Eusebio, presentato a torto come già vescovo di Costantinopoli13.
Il battesimo dell’imperatore alla vigilia della sua morte, seppure ben attestato, diventa un argomento problematico nel corso del tempo. Il sospetto lanciato sull’autore della Vita di Costantino di essere favorevole ad Ario ha condotto a occultare, anzi a rifiutare la sua testimonianza. In Occidente, storici come Sulpicio Severo e Orosio tacciono del battesimo, così come Rufino, anche quando lodano il principe cristiano. Ambrogio parla di questo battesimo per sottolineare che Costantino è il primo imperatore a riceverlo, trasmettendo, così, la fede in eredità ai suoi successori, ma non dice nulla delle circostanze di questa trasmissione14. Agostino dà un’immagine positiva del primo imperatore cristiano, ma anch’egli non parla del suo battesimo. Se gli storici greci della prima metà del secolo si accontentano di aggiungere ai loro racconti ispirati da Eusebio alcuni dettagli, per sollevare l’imperatore da ogni sospetto di eresia, il tono cambia a partire dallo storico anonimo, a lungo chiamato Gelasio di Cizico, che scrive verso il 480. L’accusa, più volte rivolta a Eusebio di Nicomedia, di essere uno dei capi del partito ariano, lo spinge ad affermare, al fine di sollevare Costantino dalle accuse di arianesimo, che colui che aveva battezzato Costantino era un vescovo ortodosso, «non un eretico, come l’hanno creduto alcuni», di cui tuttavia non dà il nome. Allo stesso tempo difende l’imperatore per il suo battesimo tardivo, ricordando il suo desiderio di voler essere battezzato nel Giordano15. Ma in Oriente la versione di Eusebio, conosciuta direttamente o attraverso Teodoreto, è presente anche in Evagrio, che la utilizza nella sua Storia ecclesiastica per confutare la versione pagana (Zosimo) della conversione di Costantino16.
Alla fine del V secolo, in Occidente appare una versione alternativa che cambia completamente la situazione. Si trova negli Actus Silvestri, uno scritto attestato per la prima volta nel Decretum Gelasianum (tra il 494 e il 498). La seconda parte di questo lavoro, la Conversio Constantini, offre infatti della conversione e del battesimo dell’imperatore un racconto completamente diverso da quello di Eusebio. Secondo gli Actus, Costantino, imperatore pagano e persecutore, sarebbe stato colpito dalla lebbra dopo la sua vittoria su Licinio. Dopo aver chiesto un rimedio ai sacerdoti del Campidoglio (pontifices Capitolii), quelli gli avrebbero consigliato di bagnarsi nel sangue di tremila bambini. Commosso dalle suppliche delle loro madri, Costantino avrebbe rifiutato di salire sul Campidoglio per compiere questo rito. La notte successiva, gli apostoli Pietro e Paolo gli sarebbero apparsi e gli avrebbero proposto di essere battezzato da papa Silvestro. Ed è quello sarebbe accaduto; ricevendo il battesimo da Silvestro, Costantino sarebbe guarito anche dalla lebbra, e in seguito alla sua guarigione avrebbe concesso al papa importanti privilegi17.
Questa versione ebbe immediatamente un grande successo in Occidente, facendo concorrenza a quelle che, pur conoscendo il battesimo dalle fonti disponibili, o si astengono dal commentarlo, come Prospero di Aquitania nella sua cronaca e Cassiodoro nella Storia tripartita18, o vedono nell’episodio un secondo battesimo, come la Chronica Gallica a. DXI19, o, ancora, riferiscono il battesimo a Costanzo II, come l’autore dei Gesta Liberii, apocrifo simmachiano dell’inizio del VI secolo20, e quello della Vita Felicis del Liber Pontificalis21. Ma la versione degli Actus Silvestri, soprattutto quando integra il falso dell’VIII secolo conosciuto sotto il nome di Donatio o Constitutum Constantini, diviene predominante in Occidente. Essa è ripetutamente illustrata dall’iconografia: è la stessa che viene rappresentata nelle Stanze di Raffaello (Sala di Costantino).
In Oriente, il nome di Silvestro come battezzante di Costantino appare alla metà del VI secolo in un autore di origine siriaca, Giovanni Malalas, ma in un contesto molto diverso da quello degli Actus Silvestri. Egli raffigura Costantino in guerra contro i barbari in Occidente: vittorioso dopo un sogno in cui ha la visione della croce, l’imperatore prende subito delle misure contro i templi pagani, fa costruire delle chiese, si fa istruire nel cristianesimo e infine è battezzato da Silvestro con sua madre Elena e molti altri romani22. Un altro testo forse anteriore, la Visio Constantini, riprende il tema della visione, ma fa battezzare Costantino da un «Eusebio vescovo di Roma», identificabile con Eusebio di Nicomedia, poiché quest’ultimo era diventato il titolare della sede di Costantinopoli. Il nome di Silvestro prevale tuttavia nella tradizione manoscritta di questo testo. Sempre in ambiente siriaco, Giacomo di Sarug, nel 473, conosce la leggenda della lebbra di Costantino guarita attraverso il battesimo. Nel 569, la versione siriaca della Storia Ecclesiastica di Zaccaria il Retore conosce e sviluppa la versione degli Actus Silvestri23.
Nell’Oriente cristiano, questa versione è diffusa dalla lettera di papa Adriano I (772-795) a Irene e Costantino VI, nota a sua volta perché citata dagli Atti del concilio niceno II (787)24. Nel IX secolo, con Teofane, che rifiuta esplicitamente la versione di Eusebio, essa diviene la versione dominante nel mondo bizantino25, entrando nella liturgia e ispirando l’innografia legata alla festa di San Costantino.
1 Studi sul battesimo di Costantino: F.J. Dölger, Die Taufe Konstantins und ihre Probleme, in Konstantin der Grosse und seine Zeit, Römische Quartalschrift, suppl. 19 (1913), pp. 377-447; H. Kraft, Zur Taufe Kaiser Konstantins, in Studia Patristica, 1 (1957), pp. 642-648; E.Y. Yarnold, The Baptism of Constantine, in Studia Patristica, 26 (1993), pp. 95-101; M. Amerise, Il battesimo di Costantino il Grande. Storia di una scomoda eredità, Stuttgart 2005. Sulle diverse versioni del racconto, si veda G. Fowden, The last Days of Constantine: Oppositional Versions and Their Influence, in Journal of Roman Studies, 84 (1994), pp. 153-170.
2 Eus., v.C. IV 61-64. Per le citazioni successive cfr. Eusebio di Cesarea, Vita di Costantino, a cura di L. Franco.
3 Optat., app. V.
4 Aur. Vict., Caes., 41,16; sul luogo del battesimo e del decesso, si veda R.W. Burgess, ’Aχυρών or Προάστειον? The Location and Circumstances of Constantine’s Death, in Journal of Theological Studies, 50 (1999), pp. 153-161.
5 Eus., onomast., GCS 11, p. 58,19-20.
6 Concilio di Arles, canone 7, SC 241, pp. 48-51.
7 Cfr. Or., hom. in Gen., 4,1, SC 7 bis, pp. 144-147.
8 Hier., chron., a. 337, GCS 47, p. 234.
9 Rufin., hist. I (X) 12, GCS, p. 978.
10 Socr., h.e. I 39, SC 477, pp. 258-261.
11 Soz., h.e. II 34,1-2, SC 306, pp. 380-381.
12 Thdt., h.e. I 32, SC 501, pp. 324-325.
13 Philost., h.e. II 16, pp. 26-28, riprodotto da Cedreno, Historiarum Compendium, I, Corpus Scriptorum Historiae Byzantinae, p. 520. La Passione di Artemio e la Vita di Costantino e anche Zonar., XIII, 2, 38-41, riprendono questa versione, ma conservando solo l’avvelenamento. M. Di Maio, W.H. Arnold, Per vim, per caedem, per bellum. A Study of Murder and Ecclesiastical Politics in the Year 337 A.D., in Byzantion 62 (1992), pp. 158-211, ritengono questa versione veritiera, considerando che un testamento autentico (e niceno) era stato intercettato da Eusebio di Nicomedia, da lui falsificato e utilizzato al meglio per i propri interessi e per quelli della fazione ‘ariana’, ovvero per influenzare Costanza a loro favore. Questa tesi è rifiutata da I. Tantillo, Filostorgio e la tradizione sul testamento di Costantino, in Athenaeum, 88 (2000), pp. 559-563, che la mostra fondata su un iniziale errore di traduzione: i due studiosi infatti leggono, a torto, in Filostorgio che Eusebio avrebbe trovato questo testamento in mano a Costantino, deducendone che l’aveva stilato lui stesso.
14 Ambr., obit. theod., 40, CSEL 73.
15 Phot., cod. 88, ha letto ciò nello pseudo Gelasio di Cizico, ma questo brano manca nei manoscritti della sua Storia ecclesiastica. G.C. Hansen l’ha aggiunto nella sua edizione: Anonyme Kirchengeschichte (Gelasius Cyzicenus, Clavis patrum Graecorum 6034), GCS, nf 9, Berlin 2002, p. 154.
16 Evagr., h.e. III 41, SC 542, pp. 514-515.
17 Si veda M. Amerise, Il battesimo di Costantino, cit., pp. 93-119, e T. Canella, Gli Actus Silvestri. Genesi di una leggenda su Costantino imperatore, Spoleto 2006. Si veda inoltre T. Canella, Actus Silvestri: Tradizione latina e greca, in questa stessa opera.
18 Prosp., chron., MGH IX, p. 452; Cassiod., hist., III 1, CSEL 71, pp. 153-155.
19 Chronica 474, MGH IX, p. 643.
20 Gesta Liberii, 2, PL 8, 1389.
21 Liber Pontificalis, I, ed. Duchesne, pp. 207-211.
22 Malal., chron. XIII, Corpus Scriptorum Historiae Byzantinae, pp. 316-317.
23 Zach. Mit., h.e. I 7, Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium 86-87, pp. 44-46, 63-66.
24 J.D. Mansi, Sacrorum Conciliorum Nova Amplissima Collectio, XII, Graz 1960 (rist. anast.), pp. 1055-1056.
25 Theoph. Conf., chron. a.m. 5814 e 5428, Corpus Scriptorum Historiae Byzantinae, pp. 49-50.