BATTERIO (VI, p. 383; App. I, p. 247; II,1, p. 366; III,1, p. 208)
Negli ultimi due decenni vi è stato un enorme sviluppo nella conoscenza dei b. e, allo stesso tempo, un mutato interesse verso questi microrganismi. Infatti, mentre da un lato alcuni b. (come Escherichia coli, Salmonella typhimurium e altri) sono stati usati come sistemi modello per approfondire le nostre conoscenze nei campi della genetica e della fisiologia cellulare, dall'altro la grande diminuzione della mortalità da malattie infettive, conseguente all'introduzione della terapia a base di antibiotici, ha ridotto l'interesse per gli studi sulla patogenesi delle infezioni batteriche. I filoni di studio oggi più attivi sono pertanto non d'indirizzo propriamente medico ma d'indirizzo più generale, come per es. genetica (comprendente anche la cosiddetta ingegneria genetica: vedi sotto), biochimica, fisiologia cellulare e microbiologia applicata (per es., produzione di sostanze tra cui gli antibiotici). Studi comparati delle varie specie batteriche e di varie specie superiori del regno animale e vegetale hanno dimostrato che tutti gli organismi, pur nelle loro ovvie diversità, rispondono ad alcune regole universali per quanto concerne i meccanismi genetici e biochimici fondamentali. I ricercatori che vogliono studiare processi d'interesse generale scelgono un particolare organismo come sistema modello in base ai loro criteri di convenienza. Il b. Escherichia coli, per es., è molto usato in questo tipo di studi per la semplicità di uso in laboratorio, per la sua mancanza di pericolosità e per la relativa facilità di manipolazione genetica. In casi particolari, invece, altri b. vengono scelti come oggetto di studio in quanto possiedono funzioni che sono assenti nella maggioranza degli altri organismi: un esempio sono gli studi oggi in corso su varie specie batteriche appartenenti al genere Rhizobium, a causa della loro capacità di fissare l'azoto atmosferico e tramutarlo in azoto organico.
Sistematica. - Per quanto la classificazione linneana degli organismi viventi sia risultata molto utile per il progresso della scienza, tuttavia essa presenta dei difetti che per i b. sono più gravi rispetto agli organismi superiori, anche perché nei b. prevale la riproduzione agamica. Infatti, alla base della classificazione linneana c'è il concetto di specie: la specie è formata da quel complesso di individui che, incrociandosi tra di loro, dànno progenie fertile, mentre, incrociandosi con individui di altra specie, o non dànno progenie o dànno progenie sterile. Tuttavia in natura si riscontrano gruppi di individui che rappresentano delle forme di transizione da una specie all'altra. Questo fenomeno sembra anche più evidente tra i b. rispetto agli organismi superiori, forse a causa dell'enorme numero di specie che compongono la classe Schizomiceti. Perfino l'assegnazione dei b. al regno vegetale o animale è dibattuta, e nel 1866 E. H. Haeckel propose la creazione di un nuovo regno, quello dei protisti, nel quale includere tutte le specie aventi organizzazione biologica relativamente semplice e quindi anche i b. (fig 1). La classificazione linneana si basa sulla definizione di determinati caratteri (detti tassonomici) per individuare una specie. Con questi caratteri si tenta di stabilire una relazione di tipo evoluzionistico con altre specie. Tale criterio si basa di solito su caratteri macroscopici ed è particolarmente utile nel caso degli organismi superiori. I caratteri tassonomici finora usati per i b. si sono rivelati spesso insoddisfacenti. Così ne sono stati cercati di nuovi, alcuni dei quali cominciano a essere usati. Uno di questi è rappresentato da parametri correlati alla struttura del DNA, come per es. la sua composizione in basi azotate. Usando questo criterio, peraltro anch'esso imperfetto, si trova che specie evoluzionisticamente vicine sarebbero invece lontane, e viceversa. La classificazione dei b. è soggetta a revisione periodica a cura dell'Associazione intern. di microbiologia.
Struttura dell'involucro batterico. - Non tutte le strutture che si vedono al microscopio elettronico o con altri mezzi sono necessarie per la sopravvivenza dei batteri. Paragonando b. differenti si può arrivare al minimo comun denominatore in termini di strutture necessarie per la crescita e per la divisione in due cellule. Queste strutture "essenziali" sono schematizzate nella fig. 2A, insieme con altre strutture che vengono trovate in alcuni, ma non tutti i b. (fig. 2B). In questa figura si vede il citoplasma circondato dalla membrana cellulare, a sua volta circondata dalla parete. Al microscopio elettronico il citoplasma ha un aspetto granulare, dovuto alla presenza di numerosi ribosomi. In sezioni sottili si può vedere nel citoplasma un'area nucleare (o nucleoide o corpo cromatinico), ma mai un nucleo vero e proprio, circondato da una membrana, come si trova nella cellule degli organismi superiori. I mesosomi sono delle invaginazioni della membrana citoplasmatica che si trovano spesso in associazione con il nucleoide o al sito di formazione delle spore o del setto. Nel citoplasma si trovano anche vari granuli (di lipidi, glicogeno, zolfo o metafosfato). Nei b. fotosintetici si trovano delle lamelle o delle vescicole legate alla membrana. Attorno alla parete cellulare si possono trovare dei peli o fimbrie: ve ne sono di parecchi tipi; alcuni sono coinvolti nella coniugazione batterica, alcuni sono recettori di batteriofagi, ma per la maggior parte di essi la funzione è ignota. I b. mobili posseggono i flagelli, in genere più di uno. Molti b. mostrano una capsula attorno alla parete; questa struttura a volte è molto più spessa del corpo batterico.
La struttura e funzione delle membrane cellulari è un problema ancora insoluto e di grande interesse teorico. Lo studio delle membrane dei b., per quanto essi siano dotati di un complesso involucro a più strati, presenta dei vantaggi pratici. Inoltre, lo studio dei vari componenti dell'involucro batterico ha conosciuto un forte sviluppo, per molteplici ragioni. Alcuni antibiotici esplicano la loro azione su uno dei componenti dell'involucro batterico e capire il loro meccanismo d'azione potrebbe portare alla sintesi di antibiotici migliori. Inoltre, il microscopio elettronico ha permesso di capire meglio la struttura dell'involucro e di riconoscere in esso componenti ben definiti, i quali possono essere riconosciuti in preparati di frazioni subcellulari più o meno purificate che vengono poi sottoposte ad analisi chimica.
Ogni cellula è circondata da una membrana che viene detta citoplasmatica o cellulare. Attorno a essa in diverse cellule del regno animale o vegetale si notano ulteriori strati, di struttura diversificata e adatta alla funzione che le singole cellule svolgono. Nei b., attorno alla membrana citoplasmatica, vi è uno strato rigido che viene chiamato "parete cellulare" (ingl. cell wall). La rigidità della parete cellulare è caratteristica non solo dei b., ma anche delle cellule vegetali, e questa è stata una delle ragioni invocate per assegnare i b. al regno vegetale.
La membrana citoplasmatica è, sotto tutti i rispetti, molto simile a qualsiasi membrana cellulare. Al microscopio elettronico nelle sezioni sottili le membrane hanno un aspetto a doppio binario (la "struttura unitaria" delle membrane descritta da J. D. Robertson; si veda la fig. 3). La composizione chimica delle membrane degli organismi più disparati presenta notevoli somiglianze, ad es. la grande abbondanza di lipidi rispetto ad altre strutture cellulari (i lipidi possono arrivare al 50-70% del totale della membrana e spesso rappresentano tutti i lipidi cellulari). Sono inoltre presenti proteine e polisaccaridi. La maggior parte dei lipidi è rappresentata da fosfolipidi, la cui caratteristica più importante dal punto di vista della struttura delle membrane è quella di avere una parte idrofila, polare, che interagisce con molecole d'acqua anch'esse polari e una parte idrofoba, apolare, che interagisce con altre molecole apolari. La disposizione dei fosfolipidi nella membrana è schematizzata nella fig. 4. Essi formano due strati di molecole affiancate o orientate su assi paralleli. La parte apolare di ciascuno strato è a contatto con la parte apolare dell'altro strato in modo che si forma uno strato avente due facce polari, a contatto rispettivamente con il mezzo extracellulare e con quello intracellulare (entrambi di natura polare) e un unico mezzo interno (di natura apolare). Vi sono oggi parecchie osservazioni che indicano che il mezzo interno della membrana è fluido: pertanto la membrana viene concepita come liquido organico (un olio) che separa i due mezzi acquosi extracellulare e intracellulare. La struttura a doppio strato è una conseguenza delle proprietà delle molecole fosfolipidiche; infatti una soluzione di fosfolipidi, opportunamente trattata, dà luogo a strutture molto simili a quella dello schema in fig. 4, formando persino delle vescicole. Le membrane cellulari tuttavia contengono anche proteine e polisaccaridi che servono presumibilmente a esplicare le funzioni proprie della membrana. Questa rappresenta una barriera di permeabilità, ma allo stesso tempo permette una permeabilità selettiva verso le sostanze nutrienti e talvolta verso sostanze tossiche. Anche la respirazione cellulare (o trasporto di elettroni) ha luogo sulla superficie interna della membrana citoplasmatica. Diversi processi metabolici, infine, trovano probabilmente un'organizzazione sulla superficie della membrana: questo è il caso di alcune vie metaboliche catalizzate da enzimi non solubilizzabili e questo è anche il caso della replicazione del DNA, che richiede la segregazione delle due molecole figlie in due cellule separate.
Al di fuori della membrana vi è la parete cellulare. Questa è formata da due strati, di cui quello interno è lo strato rigido che fornisce la forma al b. e permette la sopravvivenza in ambienti a forza osmotica più bassa di quella intracellulare. Questo strato prende il nome dalle sue caratteristiche chimiche e viene perciò chiamato glicopeptide o mucopeptide o peptidoglicano. Viene anche chiamato mureina per indicare, sebbene impropriamente, che è la molecola che forma la parete. La struttura e la biosintesi del glicopeptide sono state oggetto di numerosi studi. Questi sono iniziati quando M.R.J. Salton dimostrò che era possibile preparare dai b. una frazione che al microscopio elettronico risultava costituita da oggetti aventi la stessa forma dei b. di partenza (fig. 5). Una successiva analisi chimica di questa preparazione dimostrava la presenza di una sostanza sino allora sconosciuta, l'acido muramico (il nome proviene da murus, parete). Questa sostanza è presente solo nei b. e manca in quelle poche specie batteriche che mancano di parete cellulare. Gli studi successivi, perciò, si sono valsi della presenza di acido muramico come saggio della presenza di glicopeptide e della sua purezza. Il glicopeptide è una grossa molecola che racchiude praticamente tutta la cellula. Esso è costituito di lunghe catene longitudinali unite da corte catene trasversali (fig. 6). Le catene longitudinali sono formate da unità alternate di N-acetilglicosamina e acido N-acetilmuramico. Le catene trasversali hanno composizione molto differente nei vari batteri. La biosintesi del glicopeptide avviene per aggiunta di "monomeri" (vedi fig. 6) alla molecola preesistente. La biosintesi dei monomeri è conosciuta in dettaglio; essa avviene in parte nel citoplasma mentre gli stadi finali hanno luogo sulla membrana citoplasmatica. Successivamente vi sarebbe un trasporto del monomero all'esterno e un suo inserimento nel glicopeptide preesistente, attraverso la formazione di un ipotetico "buco" al sito di accrescimento. La struttura mostrata in fig. 6 può realizzare un cilindro ma non una struttura ovoidale quale quella dei batteri. È necessario ipotizzare che ai poli della cellula la struttura sia differente, almeno in parte. Ciò sembra confermato da recenti esperimenti.
Attorno al glicopeptide vi è, in tutte le specie batteriche, almeno un altro strato. Questo però è eterogeno e possiamo distinguere due gruppi di b., nei quali la struttura della parte esterna dell'involucro coincide con il tipo di risposta che si ottiene in un test di colorazione istologica, il test di Gram. I b. Gram-positivi possiedono l'acido teicoico, mentre i b. Gram-negativi possiedono la membrana esterna.
Il nome di "acido teicoico" viene dato a una classe di composti, ricchi in fosforo, che vengono estratti da cellule di b. Gram-positivi o dai loro involucri precedentemente purificati. L'estrazione avviene per trattamento prolungato con acido tricloro-acetico 5% a freddo. Con questo metodo si ottiene un polimero essenzialmente puro formato da monomeri di uno zucchero fosforilato, come il glicerol-fosfato, il glucosil-fosfato o la N-acetil-glicosamina-fosfato-glicerol-fosfato. Recentemente si è visto che con metodi di estrazione più blandi si ottengorio degli acidi teicoici di struttura molto più complessa, legati a proteine e lipidi, e per questa ragione le ipotesi sull'organizzazione degli acidi teicoici negli involucri cellulari sono oggi soggette a revisione.
Poco si conosce sulla funzione degli acidi teicoici. Quando il Bacillus subtilis viene coltivato in condizioni di limitazione di magnesio, la quantità di acido teicoico per cellula aumenta. Se la concentrazione di magnesio nel mezzo viene aumentata e quella di fosfato diminuita, l'acido teicoico scompare e al suo posto si trova l'acido teicuronico, un polimero di Nacetil-glicosamina e acido glicuronico. Questo risultato si ottiene non solo con Bacillus subtilis, ma anche con b. di altre specie. È possibile che sia necessario per le cellule batteriche possedere, come strato esterno, uno strato carico negativamente, e quando l'acido teicoico non può essere sintetizzato per mancanza di fosfato la cellula sintetizza acido teicuronico. La carica negativa potrebbe essere necessaria per l'interazione tra cellula e cellula o tra cellula e ambiente; oppure per l'attività di particolari funzioni della membrana.
Come detto in precedenza, i b. Gram-negativi possiedono, attorno alla parete cellulare, la membrana esterna. Questa è una vera e propria membrana, mostra cioè al microscopio elettronico la classica struttura a doppio binario (v. fig. 3). Tale membrana è ancorata al glicopeptide mediante alcune proteine che sono legate covalentemente ad esso, mentre all'altra estremità terminano con una porzione lipidica che entra a far parte della membrana esterna. Lo strato esterno dei fosfolipidi della membrana esterna è legato a un polisaccaride: pertanto lo strato esterno è in prevalenza formato da lipopolisaccaridi la cui porzione lipidica è orientata verso l'interno e affonda nella membrana esterna, mentre la porzione polisaccaridica si affaccia verso l'esterno. Le parti interne di ciascun polisaccaride sono legate tra di loro per mezzo di legami trasversali. Le parti esterne invece sono legate per mezzo di legami ionici con lo ione Ca2+. Se questo viene rimosso, per es. con un agente chelante, la membrana esterna viene distrutta e ciò rende il glicopeptide sensibile all'azione di alcuni agenti tra i quali il lisozima. La struttura e biosintesi dei lipopolisaccaridi sono state molto studiate, sia perché essi sono responsabili della virulenza dei b. Gram-negativi, sia perché la loro struttura è simile a quella delle sostanze presenti sulla superficie dei globuli rossi che sono causa di una risposta immunologica nelle trasfusioni. La struttura dei lipopolisaccaridi è molto eterogena, sia fra le varie specie batteriche sia all'interno di una stessa specie, come si riscontra in varie centinaia di ceppi di Salmonella. I risultati sinora ottenuti nello studio della biosintesi dei lipopolisaccaridi permettono di affermare che essi vengono sintetizzati all'interno della cellula e poi, in modo ancora poco chiaro, trasportati all'esterno.
Le capsule si trovano all'esterno dell'involucro. Non sono presenti in tutte le specie batteriche e la loro presenza varia con le condizioni di coltura. La capsula non è visibile chiaramente al microscopio, ma può essere ben evidenziata se si sospendono le cellule in inchiostro di china (fig. 7). Le capsule contengono polisaccaridi e, spesso, polipeptidi. I flagelli sono strutture mobili che consentono il movimento ai b. sospesi in terreno liquido. Alcune specie contengono un solo flagello, altre un ciuffo di flagelli a uno, o entrambi i poli, altre infine molti flagelli attorno a tutta la cellula. I flagelli sono lunghi anche parecchie volte il corpo cellulare e sono spessi da 10 a 30 nm. Sono formati da unità ripetute di un'unica proteina, la flagellina. Quando sono rimossi, il b. non si muove fino a che non siano stati rigenerati. I b. si muovono a una velocità variabile, sino a 50 μ (cioè 50 volte la loro lunghezza) per secondo. Non è ben chiaro con quale meccanismo i flagelli si muovano né come conferiscano la motilità ai batteri.
Fisiologia. - Grandi sviluppi si sono avuti in questo campo, come già accennato nell'introduzione. La ragione principale è l'uso di mutanti in cui una funzione specifica è alterata a causa di una mutazione in un gene specifico. Lo studio comparativo delle caratteristiche (il fenotipo) del ceppo alterato e del ceppo normale (ceppo selvaggio) permette di definire la funzione del prodotto genico mancante (o alterato). Questo tipo di studi ha permesso, già da parecchi anni, di chiarire la maggiore parte delle reazioni del metabolismo intermedio di una cellula. Ciò è stato realizzato per mezzo di mutanti auxotrofi, cioè mutanti che hanno perso la capacità di formare un enzima necessario per la biosintesi di una sostanza indispensabile. Questi mutanti crescono solo se la sostanza, aggiunta al mezzo di coltura, può penetrare attraverso la membrana cellulare. Inoltre essi spesso accumulano nella cellula e secernono nel mezzo di coltura il prodotto intermedio, substrato dell'enzima alterato. Se una sequenza biosintetica si svolge attraverso sostanze la cui formazione è catalizzata da una serie di enzimi, per es. A, B, C, D, E, un mutante alterato nell'enzima A non formerà il prodotto finale e non crescerà se questo non viene aggiunto al mezzo di coltura. Però esso crescerà anche se invece del prodotto finale si aggiunge al mezzo di coltura uno dei prodotti intermedi, che sono substrati degli altri enzimi a valle della lesione. Quindi, una volta ottenuto il mutante alterato in A, si potranno trovare i substrati degli enzimi B, C, D, E aggiungendo al mezzo di coltura sostanze che si pensa possano essere prodotti intermedi nella biosintesi del prodotto finale, oppure sostanze ricavate dai mezzi di coltura di mutanti alterati in enzimi che nella sequenza biosintetica vengono dopo A. Infatti se, per es., un altro mutante è alterato nell'enzima E, esso accumula e secerne nel mezzo di coltura il substrato di questo enzima che, a sua volta, permette la crescita del mutante alterato in A. In questo modo è possibile purificare e identificare la sostanza accumulata dal secondo mutante. Se il prodotto di un enzima è una sostanza che non passa attraverso la membrana cellulare, una mutazione del gene corrispondente non verrà mai ottenuta: si dice, in questo caso, che la mutazione è letale. Si è però visto che particolari mutazioni causano un fenotipo sensibile alla temperatura: il prodotto del gene è attivo a una certa temperatura, inattivo a un'altra. Selezionando questo tipo di mutazioni si è potuto studiare la funzione di molti prodotti genici la cui mancanza è letale.
L'uso combinato dei metodi genetici e dei metodi biochimici si è spesso rivelato molto utile anche per altre ragioni. A volte evidenza circostanziale suggeriva una certa funzione per un certo enzima; l'isolamento di un mutante mancante di quell'enzima ha dimostrato che la funzione che era stata ipotizzata non era alterata e quindi ha permesso di scartare l'ipotesi. Altre volte l'isolamento di mutanti ha permesso di dimostrare che una certa attività enzimatica era in realtà costituita da due o più attività molto simili. Più recentemente sono stati iniziati la ricerca e lo studio di mutanti alterati in funzioni più complesse come la crescita e la divisione cellulare, la motilità, la chemiotassi e altro.
Genetica. Vedi App. III, 1, p. 210; ma negli ultimi anni l'uso di nuove tecniche biochimiche e genetiche ha fornito tuttavia risultati di enorme importanza. Si è trovato il modo di selezionare batteriofagi che contengono geni batterici specifici e rappresentano quindi un materiale arricchito in questi geni. Essi sono stati molto utili per dosare lo RNA che nella cellula viene prodotto da questi geni oppure per produrre in vitro RNA specifico e, più recentemente, per ricostruire in vitro un sistema che, dal DNA, produce RNA e proteine specifiche, enzimaticamente attive. Opportune manipolazioni di questi batteriofagi hanno permesso d'isolare geni che, introdotti in altri batteri, si sono dimostrati biologicamente attivi. Da queste molecole di DNA, ancora relativamente complesse, con l'uso di enzimi specifici, sono stati isolati dei frammenti di particolare importanza, di solito le regioni di controllo dell'attività del gene, e ne è stata elucidata la sequenza delle basi puriniche e pirimidiniche. Questi studi, ripetuti su DNA estratti da ceppi mutati, hanno permesso di correlare l'alterazione genetica con l'alterazione di una o più basi del DNA e di stabilire la posizione di varie mutazioni sul cromosoma. Si è visto così che, tranne alcuni casi particolari, l'ordine stabilito con metodi genetici (ricombinazione) corrisponde all'ordine stabilito con metodi biochimici. DNA ottenuto da altri organismi può essere integrato per via biochimica nel DNA di particolari batteriofagi che, successivamente, vengono usati per infettare un b. (di solito Escherichia coli) e così propagare nel b. il materiale genetico eterologo. Questi metodi, che stanno diventando tecnicamente sempre più semplici, se da un lato permettono lo studio di materiale genetico estratto da organismi superiori, dall'altro presentano dei rischi potenziali molto alti. È risaputo, per es., che le cellule umane contengono spesso dei virus; la produzione in un b. di grosse quantità di DNA umano potrebbe quindi dar luogo all'apparizione casuale di un virus mutato e molto virulento. Una recente riunione ad Asilomar (California) è stata intesa a definire i rischi in cui si può incorrere con i vari esperimenti e le precauzioni da prendere. Questa descrizione dei rischi e delle precauzioni è servita come base di discussione per alcuni governi che cominciano a stabilire delle regole in materia. La branca della genetica che si occupa delle suddette manipolazioni del materiale genetico è stata chiamata "ingegneria genetica".
Riproduzione. - La quasi totalità dei b. d'interesse medico si riproduce per scissione binaria, cioè una cellula si divide in due cellule più piccole le quali si accresceranno per poi dividersi a loro volta. Ciascuna delle due cellule figlie deve contenere un patrimonio genetico completo perché sia possibile un'ulteriore divisione; inoltre dev'essere circondata senza soluzione di continuità da membrana e parete cellulare, altrimenti il citoplasma verrebbe diluito nel mezzo ambiente. La divisione cellulare deve quindi avvenire in sincronia con la duplicazione del DNA e i due cromosomi formatisi devono andare ciascuno in una delle due nuove cellule. Si pensa che la sintesi del DNA sia intimamente associata a quella della membrana in modo che la divisione cellulare capiti tra due parti di membrana associate con due cromosomi diversi. La membrana cellulare, cioè, funzionerebbe come un apparato mitotico primitivo. Ciascun cromosoma sembra attaccato alla membrana tramite un mesosoma (v. fig. 2) che è una struttura formata da lamelle di membrana citoplasmatica. La fig. 8 mostra uno schema ipotetico di divisione batterica.
Spore. - La capacità di molte specie batteriche di dar luogo alla formazione di spore è stata studiata in dettaglio in quanto la sporulazione consiste nella formazione, all'interno della cellula, di un'altra cellula avente struttura e composizione differenti dalla cellula madre; questo processo viene perciò considerato come un sistema modello per lo studio di almeno parte degli eventi che si verificano nel corso della differenziazione cellulare.
La formazione di spore in una coltura batterica avviene virtualmente in tutta la popolazione quando questa si trova verso la fine della fase esponenziale; a questo punto le cellule, invece di dividersi come di solito ogni 30-60 min., danno luogo alla formazione di una spora nel giro di circa 10 ore. Uno dei primi eventi osservati (v. fig. 9) è la condensazione del DNA lungo l'asse più lungo della cellula (si forma così quello che è stato chiamato filamento assiale); poi, per invaginazione della membrana citoplasmatica, si forma un setto trasversale che racchiude in un compartimento, chiamato prespora, parte del protoplasma; la prespora viene circondata dalla membrana cellulare e, attraverso varie fasi, dà luogo alla spora che in opportune condizioni può germinare e trasformarsi così in cellula vegetativa. Il processo di sporulazione coinvolge numerose sintesi e non sempre il materiale cellulare è sufficiente a fornire l'energia e tutti i precursori necessari. Solo alcune specie possono cioè sporulare in acqua distillata: in genere le condizioni che provocano la sporulazione sono quelle di tipo subottimale o sbilanciato (limitazione di carbonio con eccesso di azoto e simili). Le spore non hanno attività metaboliche misurabili e non respirano (l'attività dei sistemi di trasporto elettronico è ridotta del 95%); possono rimanere in questo stato per molti anni, ma se esposte a particolari sostanze, come per es. la L-alanina o un nucleoside purinico, vengono attivate nel giro di pochi minuti in modo da riprendere la crescita vegetativa e così completare il ciclo.
La composizione chimica delle spore presenta diverse caratteristiche peculiari. Il contenuto in acqua è molto basso; il 5-12% del peso secco delle spore è costituito da acido dipicolinico (cfr. App. III, 1, p. 209), che non è stato trovato in nessun'altra cellula; anche lo ione Ca2+ è molto concentrato. L'acido dipicolinico è presente presumibilmente sotto forma di sale di calcio e come tale o come sale di manganese passa in soluzione alla germinazione. L'involucro delle spore presenta, rispetto a quello del b. da cui si origina, una riduzione del contenuto in acido teicoico e in glicopeptide e un aumento del contenuto di lipidi e proteine. Gli antigeni superficiali delle spore e delle cellule vegetative non dànno reazione incrociata. Le spore contengono molti enzimi caratteristici delle cellule vegetative. Parecchi enzimi appaiono o aumentano di concentrazione durante il processo della sporulazione; per alcuni di essi, come quelli che catalizzano la biosintesi di acido dipicolinico, la funzione è ovvia, per altri lo è di meno. Siccome le spore sono molto resistenti al calore si è pensato che i loro enzimi potessero avere una struttura diversa da quelli delle cellule vegetative; tuttavia la purificazione e l'analisi accurata di molti di essi estratti da cellule vegetative e da spore, hanno mostrato sempre una completa identità in tutti i parametri misurati, anche per quei casi nei quali, con preparazioni meno pure o con estratti grezzi, erano state trovate differenze. Per spiegare la resistenza al calore delle spore si pensa che in qualche modo l'acido dipicolinico stabilizzi, mediante interazioni ioniche tra le diverse catene polipeptidiche, la struttura terziaria delle proteine; oppure che queste siano stabilizzate dall'interazione con altre strutture cellulari, specifiche delle spore. Per quanto vi sia una grande somiglianza, almeno dal punto di vista qualitativo, nella composizione enzimatica delle spore rispetto alle cellule vegetative, più del 75% delle proteine della prespora sono sintetizzate durante il processo di sporulazione; buona parte di queste sintesi proteiche avviene a spese della degradazione di altre proteine cellulari.
In Bacillus subtilis sono state descritte mutazioni in più di 20 geni, che non causano alterazioni apprezzabili alla crescita vegetativa della cellula ma impediscono la formazione di spore normali. Non si sa ancora, tuttavia, che cosa fa iniziare il processo di sporulazione. I dati disponibili in letteratura permettono di escludere diversi meccanismi di sporulazione, ma finora nessuna ipotesi ha ricevuto sufficienti conferme sperimentali. Recentemente sono state trovate differenze tra RNA-polimerasi di cellule vegetative e quella delle spore. Per cui acquista maggior valore la seguente ipotesi: i b. avrebbero la capacità, ogni volta che si trovano in difficoltà metabolica, d'indurre la sintesi di una proteina specifica, che interagirebbe con la RNA-polimerasi per indurre la trascrizione preferenziale di una porzione specifica del genoma, mettendo così in moto una catena di eventi che culmina nella sporulazione.
Bibl.: M. R. J. Salton, The bacterial cell wall, Amsterdam 1964; B. D. Davis, R. Dulbecco e altri, Principles of microbiology and immunology, New York 1968; A. Kornberg, J. A. Spudich, e altri, Origin of proteins in sporulation, in Annual review of biochemistry, vol. 37 (1968), p. 51 segg.; J. Mandelstam, K. McQuillen, Biochemistry of bacterial growth, Oxford 1973; M. Iaccarino, J. Guardiola, M. De Felice, La permeabilità delle membrane cellulari, in Le Scienze, n. 84, agosto 1975. Per la sistematica vedi: Microbial classification, Londra 1962. Per un aggiornamento annuale vedi il periodico: Annual reviews of microbiology, Palo Alto, California.