CINOSCEFALE, Battaglia di (Κυνὸς κεϕαλαί, Cynoscephălae)
A occidente di Fere (Velestino), non lontano dal golfo Pagaseo, si stendono i monti detti Karadaǧ o Mavrovouni, che raggiungono i 725 metri. A occidente li separa dal Dogangidaǧ una regione collinosa, attraverso alla quale passa la strada che da Farsalo conduce a Larissa, regione conosciuta col nome "testa di cane". Qui avvennero due notevoli battaglie, l'una nel 304 a. C., in cui Pelopida cadde combattendo contro Alessandro di Fere, l'altra, molto più importante, nel 197, in cui i Macedoni comandati dal re Filippo V furono disfatti dai Romani comandati dal proconsole T. Quinzio Flaminino. La precisa localizzazione d'entrambe le battaglie è peraltro incerta. Nella seconda i Macedoni disponevano di 25.500 uomini di cui 2000 cavalieri. I Romani avevano una lieve superiorità numerica, fondata principalmente sui loro 2400 cavalieri, di cui una parte notevole Numidi ed Etoli. Le loro forze erano costituite da due legioni e per circa un terzo da alleati greci. Nella primavera del 197 Flaminino mosse da sud verso Fere, che era fedele ai Macedoni. Filippo accorse dal nord e accampò a non grande distanza dai Romani. Poi i due eserciti procedettero entrambi verso occidente, per foraggiare e per fare giornata campale. Filippo marciò in una specie di sella tra il Karadağ settentrionale e il meridionale; Flaminino a sud del Karadağ. Oltrepassato da entrambi gli eserciti il Karadağ, una ricognizione per cui si spinsero l'uno da nord l'altro da sud diede occasione alla battaglia. Sul principio il successo arrise ai Macedoni, che avevano impegnato la cavalleria e parte della fanteria leggiera. Poi alla sua volta Flaminino, uscito con tutte le sue forze a battaglia, respinti i fanti leggieri dei Macedoni, incominciò a salire le alture. Appunto in questo momento Filippo, schierata la sua destra, facendo ripiegare i fuggiaschi sull'estremo fianco destro, attaccò con la falange una delle legioni romane, che procedeva innanzi sotto la guida dello stesso Flaminino, e riuscì a respingerla; ma mentre i Romani ripiegavano in ordine, avvantaggiandosi della tattica manipolare, l'altra legione appoggiata dagli alleati Etoli attaccava la sinistra macedonica, che non era riuscita a compiere il suo spiegamento e la respingeva. Si delineava dunque una parziale vittoria dei Macedoni sulla sinistra romana, dei Romani sulla propria destra. Ma a questo punto, avvantaggiandosi dei progresgi tattici attuati da Scipione nella seconda guerra punica, un ignoto tribuno militare, usando per la prima volta nella storia i manipoli dei principi e dei triarî come vera riserva, li staccò dalla legione che procedeva e li condusse a tergo della falange fino allora vittoriosa di Filippo, decidendo la piena vittoria romana: 8000 Macedoni rimasero sul campo, 5000 furono fatti prigionieri. Dei Romani non perirono che 700, oltre un certo numero di Etoli e di alleati.
Fonti: Polyb., XVIII, 19-27; Liv., XXXIII, 6-10 (tradotto da Polibio); Plut., Flaminin., 7-8; Iustin., XXX, 4; Zonar., XXX, 10 (riassunto di Dione Cassio).
Bibl.: H. Delbrück, Geschichte der Kriegskunst, I, 3ª ed., Berlino 1920, pp. 424-425; J. Kromayer, Antike Schlachtfelder in Griech., II, Berlino 1907, p. 84 segg.; G. De Sanctis, Storia dei Romani, IV, i, Torino 1923, p. 81 segg.; F. Stählin, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., XII, col. 33 segg.