BATAVI (lat. Batāvi e qualche volta Batăvi)
I Romani dell'Impero devono aver conosciuto i Batavi meglio di qualunque altro popolo germanico, visto che già sotto Caligola la guardia del corpo dell'imperatore era composta da Batavi (Svetonio, Calig., 43) e Batavi si trovavano nell'esercito sino alla fine dell'impero d'occidente (Not. dignit., passim; Ihm, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, col. 120) come ausiliarî. Eppure non sappiamo gran che di speciale sul conto loro. Ci vengono descritti come di statura molto alta (Tac., Hist., IV, 14; V, 18), dai capelli biondi (Sil. Ital., III, 688: auricomo Batavo; Marziale, XIV, 176). Il pubblico della capitale li tacciava di superbia e di rozzezza (Lucano, I, 431; Marziale, VI, 87,6; Tac., Hist., I, 59). Gli scrittori militari ci dicono che i Batavi erano soldati eccellenti e che si distinguevano specialmente come cavalieri e nuotatori (Pauly-Wissowa, loc. cit.). Abbiamo per questo anche la testimonianza di uno di loro che illustra ingenuamente i proprî meriti nel suo epitaffio (Anthol. lat., ed. Bücheler, Lipsia 1895, 427).
Storia. - Tacito (Germ., 29) parlando dei Batavi dice: Chattorum quondam populus et seditione domestica in eas sedes transgressus in quibus pars Romani imperii fierent. Egli fa seguire le parole: Manet honos et antiquae societatis insigne. L' "antica alleanza" deve essere stata conclusa - come mostra il contesto - prima della partenza dei Batavi dal territorio dei Chatti. Questi però abbandonavano "le sedi indicate loro dai Romani" nell'anno 10 a. C. (Dione Cassio, LIV, 36). Prima dunque di quest'anno i Batavi cambiarono domicilio, ma rimanevano tuttavia alleati dei Romani.
È una supposizione assai probabile del Holwerda (Mnemosyne, XLI, 1913,1-7), alla quale aderisce adesso anche lo storico dell'Olanda Blok, che l'alleanza sia stata fatta da Cesare intorno al 55 a. C., quando venne per la prima volta in contatto coi Germani d'oltre Reno, con tutti i Chatti allo scopo di proteggere la frontiera renana. Così si spiegano le condizioni del patto (esenzione da ogni tributo; come unico obbligo l'aiuto militare) che erano secondo Tacito identiche per i Mattiaci "rimasti nella propria patria" e per i Batavi trapiantati sull'isola deserta (vacua cultoribus, Tac., Hist., IV, 12) del confine settentrionale. Unica apparente difficoltà è un passo di Cesare (De bell. gall., IV, 10) che parla già prima del 50 a. C. di Batavorum insula, ma qui si tratta quasi certamente (Holwerda e Blok) di un'interpolazione. È ovvio che la formazione di stati-cuscinetti di Germani mezzo romanizzati, della quale si trovano parecchi altri esempî (J.H. Holwerda, Nederlands vroegste geschiedenis, 2ª ed., 1925. pp. 124-125) non può essere anteriore a Cesare.
I dati ricavati in questa maniera dalla tradizione scritta vengono pienamente confermati dai risultati degli scavi. Nei terreni alluvionali fra le colline sabbiose della Gueldria e quelle del Brabante, non soltanto dunque nell'isola stessa dei Batavi, ma anche più a sud (come d'altronde fanno intendere le parole di Tacito, Hist., IV, 12: extrema Gallicae ora vacua cultoribus simulque insulam iuxta sitam occupavere) vennero constatati resti di abitazioni e di sepolcreti ben distinti da quelli della popolazione anteriore stabilita unicamente su terreni più elevati, e perciò più facilmente coltivabili, popolazione già sedentaria nell'epoca neolitica. Le abitazioni dei Batavi si trovano sopra alture artificiali (in olandese woerd o hof) a riparo dalle piene dei fiumi, i sepolcreti (Holwerda, op. cit., p. 140) soprattutto sul margine dei terreni sabbiosi. Le urne cinerarie mostrano spesso perfetta somiglianza con quelle dell'Assia, l'antico territorio dei Chatti. Il vasellame di uso comune è in parte di fabbricazione indigena, in parte di carattere romano (Holwerda, ibid., pp. 120-129). Quest'ultimo data dai primi secoli della nostra era. Oltre alle singole case coloniche, spesso di dimensioni abbastanza ragguardevoli (cfr. Tac., Hist., V, 13: villae) costruite in legno su pianta rettangolare, l'Holwerda ha scoperto ad est di Nimega una vera città fortificata, che può essere identificata con l'oppidum Batavorum bruciato da Claudio Civile nella rivolta del 70 d. C. (Tac., Hist., V, 19).
Tutto il vasellame ivi scavato - in gran parte d'importazione romana - data dalla prima metà del primo secolo d. C. mentre nei castra romana costruiti subito dopo la sottomissione dei Batavi, tutti i frammenti sono posteriori. Dappertutto nel recinto dell'oppidum il Holwerda ha potuto constatare le tracce di un grande incendio. Così viene avvalorato uno degli avvenimenti principali dell'insurrezione degli anni 69 e 70 d. C., il solo fatto della storia dei B. sul quale possediamo un racconto piuttosto ampio (Tacito, Hist., IV, 12-37;54-80; V, 14-26). Per altro non siamo informati sulla fine della rivolta che per lungo tempo ha avuto un aspetto minaccioso perché la parte relativa dell'opera tacitiana è perduta. Le parole surriferite però (Tac., Germ., 29) dimostrano che dopo la conclusione della pace l'antica alleanza fu rinnovata alle medesime condizioni. Anzi la circostanza che Tacito (Hist., I, 59) parla di otto coorti di Batavi, mentre le iscrizioni, le quali sono tutte posteriori all'anno 70, non menzionano che la 1ª, 2ª e 3ª, fa supporre che il contingente dovuto dai Batavi venne diminuito. Veramente per un territorio relativamente piccolo e non densamente abitato un numero di 4500 fanti e un migliaio di cavalieri (una ala milliaria) era esagerato (Ihm, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, col. 120).
Gli scavi fatti nell'isola dei Batavi e nei dintorni di essa non hanno mai dato vasellame romano più recente del terzo secolo (Holwerda, op. cit., p. 129) e tale vasellame non si trova nemmeno nelle fortezze romane permanenti alcune delle quali ci sono note in questa regione (sulla localizzazione molto incerta dei luoghi nominati dalla Tavola Peutingeriana, v.A.W. Bijvanck, in Mnemosyne, XLVI, 1918, pp. 83-100). Sembra dunque probabile che nel terzo secolo i Romani si siano ritirati verso est e sud - a Nimega (Holwerda, 177) e nel Limburgo (ibid., 223) si trovano le tracce dell'occupazione fin nel quarto secolo - e che i Batavi li abbiano seguiti mentre i loro connazionali, i Frisoni, rimanevano nella parte settentrionale dell'Olanda. Dal terzo secolo in poi soltanto il nome della nobilissima Batavorum insula ricordava ancora gli antichi abitatori. Zosimo (III, 6) la menziona come già occupata dai Franchi. Aimoinus ci dà la prima storpiatura dell'antico nome scrivendo (Historia Francorum, praef. 4, in Migne, Patrol. Lai., CXXXIX, col. 633): Vaculus, vulgo autem dicitur Vualis, insulam efficit Batavorum, quae rustico sermone vocatur Battua, e con questo aiuto ritroviamo il popolo assorbito già nel quarto secolo dall'Impero romano ancora nel nome odierno dell'isola: Betuwe.
Scoperte fatte a Vechten (presso Utrecht) e a Voorburg (presso L'Aia) provano l'esistenza di porti fluviali romani importanti; agli scavi dobbiamo la conoscenza di recinti sacri presso cimiteri batavi (Holwerda, in 16. Bericht der Röm.-Germ. Kommission, p-131). È recentissima ipotesi che la divisione dei terreni coltivabili nel territorio dei Batavi risalga all'epoca romana (v. su questa e sulla geologia e idrografia dell'epoca romana H. Blink in Tijdschrift voor Economische Geogr., 1929). Per farsi un'idea giusta della posizione geografica dell'insula Batavorum bisogna ricordare che nei tempi romani la Zuiderzee non esisteva e probabilmente (v. Holwerda, in Oudh. Meded. van het Museum te Leiden, X, 1929, pp. 9-20) una vastissima pianura sabbiosa si estendeva dove ora si trova la parte meridionale del Mare del Nord.