DE ROSSI, Bastiano
Nacque a Firenze, presumibilmente intorno al 1550-60, e vi trascorse gran parte della vita. Membro della Accademia Fiorentina, se ne distaccò ben presto costituendo con F. Grazzini, G. B. Deti, B. Canigiani e B. Zanchini la brigata dei "Crusconi" di cui egli fu il più giovane promotore.
La sua attività letteraria seguì l'evolversi del cenacolo privato in accademia. Con la prima attribuzione delle cariche il 25 febbr. 1584, fu eletto primo segretario dell'Accademia e scelse il nome di Inferigno e secondo la tradizione (intorno al 1588) anche l'impresa riproducente la caratteristica "pala" su cui era dipinta una focaccia di pan di cruschello ed inciso il motto "per cominciare". Suo compito principale fu quello di redigere meticolosamente il Diario, preziosa testimonianza della storia dell'Accademia dal 1588.
Acceso polemista nelle dispute sorte intorno alla persona e all'opera di Torquato Tasso, sull'esempio di L. Salviati, il cui opuscolo (Degli accademici della Crusca in difesa dell'Orlando furioso, che aprì la polemica nel 1585) fu presentato ai lettori proprio da lui, pubblicò una Lettera a Flamminio Mannelli nobil fiorentino, nella quale si ragiona di Torquato Tasso, del Dialogo dell'epica poesia di messer Cammillo Pellegrino, della risposta fattagli dagli accademici della Crusca e delle famiglie e degli uomini della città di Firenze (Firenze 1585).
In essa, il "virtuosissimo giovane", come a lui si rivolge Flaminio Mannelli, fornisce ai lettori diversi "pareri" a riprova delle affermazioni ingiuriose di cui il Tasso si sarebbe reso colpevole contro la città di Firenze e i Fiorentini. Le falsità di cui "l'orso" sarebbe responsabile divengono così pretesto perché il segretario operi una disamina della illustre tradizione storica e culturale della città toscana nonché della validità dei principî di tutela della purezza della lingua a cui la Crusca si ispirava.
Riconfermato segretario dell'Accademia il 12 febbr. 1586, il D. scrisse in quello stesso anno una Descrizione del magnificentissimo apparato, e de' maravigliosi intermedi fatti per la commedia rappresentata in Firenze nellefelicissime nozze degl'illustrissimi... don Cesare d'Este e ... donna Virginia Medici (Firenze 1586; stile fiorentino 1585), la prima di due descrizioni di fondamentale importanza per la ricostruzione delle feste fiorentine, organizzate in occasione di matrimoni di corte, che secondo la tradizione medicea rappresentavano un momento particolare di sfarzo politico e di egemonia culturale.
Dedicata ad Alfonso d'Este, l'opera si presenta come un diffuso ed analitico resoconto delle manifestazioni spettacolari organizzate in quella occasione. Lo stile narrativo è tutto teso a ricreare le immagini quali apparvero al pubblico e le sensazioni di meraviglia e stupore che esse destarono. Concepiti inizialmente come accompagnamento alla commedia L'amico fido di Giovanni Maria Bardi di Vernio, i sei intermezzi (intermedi), realizzati insieme dal "poeta" e da Bernardo Buontalenti che fu incaricato della direzione scenica di essi (musica di C. Malvezzi, A. Striggio e dello stesso Bardi), dettero vita (secondo gli intendimenti del granduca) a uno spettacolo che "per perfezione di se stesso, e per le qualità ragguardevoli dell'autore, e per la grandezza, bellezza, spesa, artificio dello apparato e per l'invenzione, magnificenza e maraviglia degl'intermedi, non restasse vinta da alcuna che, davanti a Principi, e gran Signori, in Italia fosse recitata giammai".
Poiché fu in quella occasione ristrutturato ed inaugurato il salone "già da Cosimo destinato e fabbricato a questo uso delle recitazioni" nel palazzo chiamato dei Magistrati, il D. dedica la prima parte della descrizione all'analisi meticolosa di quello che venne riconosciuto come il primo esempio di teatro stabile di corte delle scene fiorentine.
Il cronista passa quindi a narrare ciò che accadde quando "dal granduca fu dato il cenno" e si levarono le cortine. Il granduca, mecenate, regista e spettatore ad un tempo, si preoccupa che anche la cronaca della festa metta in rilievo la centralità della sua presenza. Se già dal punto di vista dei "maravigliosi" effetti scenografici e dei complessi mutamenti di scena gli intermezzi rappresentano una tappa importante nella storia dello spettacolo (il cronista richiama continuamente il lettore sulla "novità" di ciò che apparve agli occhi del pubblico), non va tuttavia sottovalutata la loro rilevanza anche sotto l'aspetto espressivo e drammatico, visto che essi furono testimonianza di un profondo rinnovamento nel linguaggio teatrale.
Il D. infatti ci spiega come alla primitiva intenzione del poeta di investire gli "intermedi" di un unico e preciso significato culturale si sovrappose quella di tendere alla varietà. Il motivo unitario, sotto l'apparente esaltazione cortigianesca degli sposi, era infatti secondo il Bardi quello di rappresentare l'universo (composto dei quattro elementi della concezione neoplatonica allora imperante presso la corte medicea) nella sua totalità. Tale tentativo venne probabilmente vanificato, seguendo il gusto del pubblico, dalla "varietà" degli effetti scenici ideati dal Buontalenti.
Nel 1589 il D. fu nuovamente incaricato di perpetuare la memoria di un altro evento di grossa rilevanza politica ed artistica, con la Descrizione dell'apparato e degl'intermedi fatti per la commedia rappresentata in Firenze nelle nozze de' serenissimi don Ferdinando Medici e madama Cristina di Lorena, gran duchi di Toscana, (Firenze 1589).
Gli intermezzi di accompagnamento alla commedia La pellegrina di Girolamo Bargagli rappresentata in quell'occasione presentano una quantità di elementi comuni con quelli messi in scena quattro anni prima. Ritroviamo infatti, a creare uno spettacolo che fosse occasione di meraviglia per il pubblico della corte medicea, il conte Bardi e "Bernardo delle girandole"; il primo quale autore dei sei intermezzi (e della musica di uno), affiancato da Emilio de' Cavalieri, intendente teatrale del Bardi e direttore degli attori e dei cantanti, il secondo quale disegnatore dei costumi e macchinista. Il D. è l'autore della cronaca, che per questo spettacolo (ancora più che per quello precedente) svolge un ruolo attribuitogli dal Warburg di prologo scientifico. Si sentì infatti l'esigenza che il narratore spiegase al pur colto pubblico il senso di simboli cenici non facilmente comprensibili. Gli intermezzi dell'89, rilevanti più che dal punto di vista scenografico sul piano dei contenuti culturali, costituirono infatti una significativa premessa allo sviluppo del grande spettacolo del '600; essi riuscirono ad esprimere nella varietà spettacolare una volontà organicamente unitaria, quella cioè di rappresentare gli effetti della musica e dell'armonia nel mondo. Essi furono, rispetto a quelli dell'85, di carattere più dotto. Il Bardi cercò infatti di porvi le basi teoriche di un programma di restituzione di forme antiche da cui si sarebbe poi nel giro di pochi anni sviluppata la prima tragedia in musica.
In entrambe le "descrittioni" un ruolo importante riveste l'analisi dei costumi teatrali usati per gli intermezzi. Significativi soprattutto i riferimenti agli abiti "alla ninfale" per le interrelazioni e la comunanza che esprimono tra fantasia pittorica e scenica del periodo.
Morto il Salviati (1589), si spensero anche le dispute tassesche e l'attività della Crusca fu dedicata principalmente al lavoro di compilazione del Vocabolario. Tenace ricercatore e correttore di testi, il D. si apprestò in quegli anni all'opera di "volgarizzamento" dell'importante trattato in latino di Pietro de' Crescenzi Liber ruralium commodorum, basandosi sulla prima traduzione operata da un anonimo scrittore toscano presumibilmente negli anni seguenti la morte dell'autore. L'opera del D., Trattato dell'agricoltura di Piero de' Crescenzi compilato da lui in latino, e diviso in dodici libri, nei quali distintamente si tratta delle piante, e degli animali, e di tutte le villerecce utilità; già traslatato nella favella fiorentina e di nuovo rivisto, e riscontrato con testi a penna dallo Inferigno, accademico della Crusca, venne dato alle stampe in Firenze nel 1605.
Riconfermato segretario nel 1597 e 1601, venne incaricato nel 1610 di recarsi a Venezia per dirigere di persona la stampa del Vocabolario. IlD. lavorò accanitamente per osservare le istruzioni affidategli dall'Accademia e mediante le quali questa intendeva controllare in modo rigido lo svolgimento del lavoro, e fu in grado di presentarlo al pubblico nel gennaio del 1612. Il segretario, già soprintendente alla prima stampa, si rivelò accurato correttore di testi anche per la seconda impressione del Vocabolario che apparve nel 1623. Il suo nome non compare tra i collaboratori alla terza edizione dell'opera.
Ignoto è l'anno della morte.
Nonostante numerose e di vario tipo fossero nel corso del '500 le cronache di cerimonie ed eventi importanti, le descrizioni del D. furono quelle che meglio di altre riuscirono a realizzare in sé un nuovo genere a cui attinsero gran parte dei narratori posteriori. Le sue relazioni molto ampie ed erudite hanno il pregio di saper rendere in termini icastici le immagini che via via sfilarono dinnanzi agli occhi del pubblico, nell'intento di "ricreare" in termini letterari le sensazioni provate in quell'occasione. In ciò l'opera del D. supera i limiti puramente descrittivi dei testi documentari coevi ed appare tesa alla ricostruzione più ampiamente "iconologica" dello spettacolo, "evento irriproducibile".
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