BASTAARDS (voce olandese)
Popolazione di meticci, formatasi nella Colonia del Capo (Africa australe) dalle unioni di coloni bianchi, specialmente Boeri olandesi, con donne ottentotte, e non senza qualche infiltrazione di sangue bantu. All'inizio del sec. XIX questi ibridi, tenuti lontani tanto dalla popolazione bianca quanto dalle tribù indigene di Boscimani e Ottentotti, avevano le loro sedi principali nella parte nord-occidentale della colonia a sud dell'Orange. Per sfuggire alle depredazioni dei nomadi e all'ostilità dei Boeri, i Bastaards emigrarono in due riprese, nel 1830 e nel 1868, a nord dell'Orange, spargendosi con spostamenti varî, durati sino al 1874, soprattutto nel Gran Nama, e cioè nel territorio non ancora colonizzato dagli Europei, che doveva costituire l'Africa tedesca del sud-ovest. Essi si fissarono specialmente in quattro luoghi: Warmbad, Rietfontein (entrato poi a far parte del Kalahari britannico), Keetmanshoop e Rehoboth. In quest'ultimo luogo è ancora il nucleo principale (2800 ind.) della massa emigrata nel 1868 sotto la guida del missionario Heidmann e del capitano Hermanus von Wyk. I Bastaards sono ormai cristiani e hanno adottate le fogge e i modi di esistenza dei Bianchi, sebbene in forme ridotte. È però molto usata, per l'abitazione, la capanna di tipo ottentotto, a cupola, coperta di stoffe o stuoie o terra. Evitano ogni miscela con gl'indigeni e sono piuttosto fieri del loro nome e della discendenza bianca. Sotto l'amministrazione tedesca i rapporti coi coloni europei erano buoni e le loro condizioni economiche in via di progresso. Come allevatori, e specialmente come giardinieri e barrocciai, varie famiglie di Bastaards hanno accumulato un notevole patrimonio. Rappresentando uno dei più interessanti esempi di ibridismo umano, che si manifesta anche al profano in una stragrande varietà di tipi, di fattezze e di colori, essi sono stati oggetto di particolare studio da parte dell'antropologo E. Fischer (v. ibridismo).
Bibl.: Gentz, Die Geschichte des südwestafrikanischen Bastardvolkes, in Globus, LXXXIV, Brunswick 1903; E. Fischer, Die Rehobother Bastards, Jena 1913.