CULTUALE, Bassorilievo
La rappresentazione della divinità nelle civiltà antiche, orientali e greco-romana, prende due forme diverse e opposte a seconda del ruolo a cui è destinata. Nel caso dell'ex voto, e soprattutto del quadro a carattere narrativo, è stato scelto il bassorilievo (o la pittura, altra forma della rappresentazione grafica, di cui però ci sono pervenuti esempî meno numerosi); in questo caso l'antica convenzione della rappresentazione di profilo permette di mettere la divinita in relazione con gli altri personaggi. Quando invece si tratti di un'immagine destinata al culto, che quindi presenta la divinità direttamente all'adorazione dei fedeli, viene adottato il tutto tondo: si direbbe insomma che solo la statua venisse ritenuta adatta a materializzare in qualche modo la presenza dell'essere divino. La frontalità propria dello stadio primitivo della statuaria antica stabiliva, per mezzo della rappresentazione di faccia, un legame diretto tra il dio e l'adoratore. Questa distinzione fu adottata con molto rigore durante tutta l'antichità, e il tempio, sia esso orientale, greco o romano, era concepito come la dimora del dio e il luogo di riparo della statua, mentre il rilievo cultuale, cioè l'immagine di culto tradotta in rilievo, doveva essere del tutto eccezionale. Per l'Oriente, in effetti, non si possono citare che casi molto rari, più frequenti forse presso i "Popoli dei monti" sui confini della Siria e dell'Anatolia. La situazione si presenta invece infinitamente più complessa per il mondo greco-romano.
Un esame approfondito rivela infatti in quest'ultimo un gran numero di bassorilievi cultuali, la cui identificazione non è però sempre facile. Al momento attuale una serie di divinità ci sono conosciute soprattutto nella iconografia del bassorilievo: nella stessa Grecia, per esempio, le Ninfe e i Dioscuri; in Tracia sempre le Ninfe, ma anche molte altre divinità; in Anatolia Men, Sabazio, Cibele, ci appaiono soprattutto sotto questa forma; in Siria, infine, importanti complessi dello stesso genere sono venuti alla luce nei santuari della regione palmirena nord-occidentale e in quelli di Dura. In Occidente si hanno antichi riferimenti alle pitture che raffiguravano gli dèi Lari, ai quali bisogna aggiungere, nelle province, casi come quello della dea Nehalennia, in Batavia. Tuttavia molti altri esemplari, che potremmo aggiungere a questi, forse non sono che ex voto, e molto spesso la mancanza di sufficienti notizie ci impedisce di pronunciarci con sicurezza.
Si potrebbe quindi pensare che, per rispondere ai bisogni di un pubblico di basso livello culturale, ci si adattava a rappresentare la divinità per mezzo del bassorilievo o della pittura; può anche darsi, però, che semplici ragioni di economia abbiano determinato la scelta d'una rappresentazione grafica. Questo fenomeno potrebbe essersi verificato su più larga scala nelle province, e in alcune più che in altre; si potrebbe con questa supposizione spiegare il caso della Tracia, dell'Anatolia e della Siria. Arte provinciale e popolare insieme, quindi, potrebbe essere il termine adatto per descrivere i santuari della regione palmirena nord-occidentale. Nella città di Dura, invece, i bassorilievi cultuali sembrano testimoniare un indebolimento della distinzione fondamentale più sopra enunciata, indebolimento accentuato anche dalla presenza dell'autore della dedica accanto al dio sulla tavola dell'ex voto. In questo caso però potrebbe trattarsi dell'evoluzione particolare d'una provincia, così come in tutti gli altri casi sorge il dubbio che il bassorilievo costituisse un modo più economico della statua per la rappresentazione della divinità. D'altra parte, spesso è evidente la trasposizione in bassorilievo d'un modello preso dal tutto tondo. Il fatto più notevole rimane il regresso di quest'ultimo in certe regioni e in alcune forme inferiori dell'arte.
In altri casi tuttavia, è avvenuto il contrario, e il modello originale appartiene al rilievo e alla pittura, ed è appunto qui che abbiamo le serie più complete e meglio conosciute, come quelle del Cavaliere tracio, o dei Cavalieri danubiani e di Mitra, alle quali si può aggiungere quella di Iuppiter Dolichenus. In queste diverse serie il tutto tondo non è ignorato, e anzi nelle due ultime ha anche una parte importante. La presenza, tuttavia, d'un grande bassorilievo cultuale nel santuario di Doliche potrebbe essere accertata per mezzo d'un certo numero di indizi, e non v'è dubbio che l'immagine del tauroctono fosse inizialmente concepita per la rappresentazione grafica, come è dimostrato dalla presenza della grotta e delle figure accessorie; i gruppi a tutto rilievo, inoltre, si trovano soprattutto nelle regioni di forte tradizione ellenica, come l'Italia e Roma. Altra difficoltà che si incontra è la distinzione tra l'ex voto e l'immagine destinata al culto; ciò è, per esempio, impossibile nel caso del Cavaliere tracio, ma si può in genere dire che è alquanto probabile che esistessero rilievi per il culto domestico. Lo stesso può dirsi delle numerose tavolette dei Cavalieri danubiani, la maggioranza delle quali sembra però avesse funzione di amuleto (non è infatti stato trovato alcun santuario di queste divinità). Nei mitrei sono stati ritrovati rilievi di indiscussa funzione cultuale, che però non si distinguono dagli ex voto in nessun particolare della rappresentazione. Si può dire che in questi culti la forma di espressione normale per l'immagine della divinità sia appunto il rilievo (o la pittura); la stessa cioè dell'ex voto, ma che abbia come principale funzione quella di immagine destinata al culto.
Le sculture così riunite possiedono due caratteri comuni: appartengono a culti che non sono né greci né romani, ma barbari o orientali, e sono tutti dell'epoca imperiale.
La data dei rilievi rinvenuti non prova nulla per quella del primo modello. Per il Cavaliere tracio, alcune considerazioni storiche, i contatti tra la Tracia e il mondo greco, i documenti forniti dall'Egitto, e alcuni indizî, come la forma del galoppo, ci permettono di affermare che la formazione dell'iconografia e del tipo corrisponde all'epoca ellenistica. Nel caso di Mitra la storia ci riporta, per quel che riguarda le origini dei misteri, al 100 a. C.; l'aspetto ibrido, greco-orientale, di alcune figure accessorie, come il Mitra Petrogeno, i dadofori, Chronos-Aion e la parentela di quest'ultimo con le immagini dell'Artemide Efesica, ci riportano alla stessa data per la costituzione dell'iconografia. La versione romana del Giove Dolicheniano deriva, senza dubbio, dalla nuova statua per il culto eretta nel santuario principale dell'epoca ellenistica. La serie dei Cavalieri danubiani appartiene, invece, interamente al periodo imperiale, tra il II e il III sec., ma nella sua iconografia di tradizione prettamente ellenistica, non rivela alcun carattere specificatamente romano. Al momento quindi in cui l'arte romana si prepara a prendere il posto di quella greca, il rilievo cultuale appare già costituito e pronto a maggiormente diffondersi grazie alla costituzione. dell'Impero.
Il fatto che i culti che son ricorsi al bassorilievo non siano né greci né romani, è di grande significato. L'abbandono infatti della statua per il culto dei fedeli, non ha potuto verificarsi che in culti nuovi o stranieri, indipendenti rispetto alla tradizione greco-romana, e soggetti ad esigenze particolari l'assenza di tradizioni artistiche indigene rendeva ancora più accentuata quest'indipendenza. La Tracia e i paesi danubiani hanno infatti assorbito l'arte greca e romana; i misteri legati al dio iranico Mitra non si costituirono che in quella tarda epoca che più sopra abbiamo detto, e in un ambiente tutto pregno della civiltà ellenistica. Solo Giove Dolicheno risale ad un'epoca anteriore, e la sua immagine è la sola che perpetui l'antica formula del dio in piedi sul toro. A questo proposito è interessante notare che Mitra, altro dio sempre rappresentato col toro, si distacca completamente (salvo qualche rara eccezione, come il bassorilievo Altieri a Roma) dai motivi forniti dall'antico Oriente per piegarsi docilmente ai dati della tradizione greco-romana.
Lungi dal testimoniare le influenze e le persistenze straniere, soprattutto orientali, i rilievi cultuali appartengono interamente alla tradizione greco-romana. Innanzitutto, la scelta del modello non lascia dubbi su questo punto: perché è molto facile scoprire le fonti di quella che sembra una immagine nuova e inedita: e queste fonti sono rappresentate dall'iconografia eroica. Nel caso del Cavaliere tracio, è probabile che il suo nome e l'identificazione d'un eroe da parte dei Greci abbiano fornito ben presto il prototipo della figura dell'eroe cavaliere di cui i paesi ellenici offrono numerosi esempî; l'imitazione è inoltre dimostrata anche dalla persistenza di alcuni particolari, come l'albero col serpente, l'ara, gli acroliti. Allo stesso modo, come è già stato visto molto tempo fa, i Cavalieri danubiani non fanno che riprodurre l'antico gruppo araldico dei "Dioscuri al servizio di una Dea". Anche l'elemento originale della nuova immagine, il vinto steso sotto gli zoccoli del cavallo, risponde ad una formula banale dell'arte greco-romana, come mostrano i Cavalieri che combattono l'anguipede e le stele di militari delle regioni renane. Eroica è infine l'immagine di Mitra Tauroctono, in cui rivive l'antico motivo del domatore delle belve, ma sotto forma specificatamente greca, come si può constatare osservando l'esempio di Eracle, di Artemide e quello della Vittoria che sacrifica un toro, alla quale è stata attribuita una importanza assolutamente esagerata.
L'abbandono della statua come oggetto di culto ha dunque comportato anche l'abbandono della figura tradizionale degli dèi, quella dell'Olimpico in piedi o in trono, sereno e indifferente, munito dei suoi attributi e con accanto il suo animale preferito. Ed è precisamente quest'abbandono che caratterizza il rilievo cultuale vero e proprio e lo distingue dal semplice sostituto a poco prezzo della statua. La scelta del modello eroico tradisce però, allo stesso tempo, un'ispirazione nuova ed esigenze religiose particolari. Il Cavaliere tracio appare come un cacciatore divino, i Cavalieri danubiani come guerrieri che hanno steso a terra il loro avversario: nell'uno e nell'altro caso sono le forze del male che soccombono di fronte alla potenza benefica della divinità. Mitra, infine, immola il toro cosmico la cui morte garantisce la rinnovazione del mondo. Ciò che vediamo sempre è la rappresentazione dell'atto di liberazione del dio. Anche la nuova devozione che rivelano queste immagini è propria dei culti particolari, dei culti misterici per i Cavalieri danubiani e per Mitra.
Questa nuova ispirazione spiega anche certi particolari dell'elaborazione del rilievo cultuale. La figura del dio non compare più sola, ma fiancheggiata da accoliti diversi, umani e animali; inoltre è sormontata dalle luci divine, il Sole e la Luna, mentre tutta una serie di simboli mitici, mistici e cultuali (animali, strumenti e altro) vengono ad aggiungersi alla scena principale. Il mitraismo presenta inoltre qualcosa di originale: l'immagine divina accompagnata o racchiusa da scene della vita del dio. La nuova religione esigeva la rappresentazione degli aspetti reali del culto e della leggenda.
La semplice constatazione di questi dati - la rappresentazione dell'atto di liberazione del dio e la presenza di elementi accessorî - spiega l'origine e l'evoluzione del rilievo cultuale: la caccia o il combattimento del cavaliere, infatti, e il sacrificio del toro non potevano essere rappresentati facilmente se non in un rilievo o in un dipinto, forme che rendevano anche possibile l'aggiunta degli accessorî. Basta paragonare gruppi di statue e di bassorilievi di Mitra Tauroctono per rendersi conto della fondatezza di queste asserzioni.
Il bisogno di avere una rappresentazione completa, rivela una fede ingenua e popolare, ed è infatti dall'arte popolare e provinciale che nasce il rilievo cultuale. I monumenti del Cavaliere tracio e di quelli danubiani non si incontrano mai al di fuori dei limiti del loro luogo di origine: l'elemento popolare e, senza dubbio anche militare, doveva avere grande importanza nei fedeli; la forma adottata, la stele dalla sommità arcuata, è di tipo locale. Il mitraismo è senza dubbio una religione "imperiale", e se si è esagerata la parte avuta dal legionario nella nascita e nella diffusione del culto, è però senz'altro certa l'importanza da lui avuta nelle conventicole di alcune regioni; per il resto, il carattere segreto di queste conventicole, le proteggerà in qualche modo dai contatti troppo stretti con l'arte ufficiale dei grandi centri. Infine, se l'iconografia del culto, per quel che riguarda i suoi dati essenziali, è nata nella sua patria orientale, le regioni occidentali passate a questa nuova fede, portarono il loro contributo originale alla concezione dell'immagine del dio. Il fatto si rivela particolarmente evidente sul Reno e sul Danubio. I rilievi compositi, colà, elaborati, non devono infatti la loro origine all'azione di qualche grande centro, e tanto meno di Roma, che pare abbia avuto una parte del tutto trascurabile nella diffusione dei misteri. In Dacia e nelle province vicine viene adottata la forma di tavoletta a più registri, la stessa che viene usata nel culto degli Dèi cavalieri. Ora, questo tipo di composizione, che non penetrerà mai nell'arte maggiore, tradisce i suoi legami con le arti minori, toreutica, cammei, avori, ed è ancora la toreutica che usa anticamente, il principio dei simboli accostati gli uni agli altri senza alcun legame; è probabile quindi la influenza delle botteghe locali, forse militari. Nelle Alpi e sul Reno ha origine la forma del grande rilievo inquadrato in piccoli pannelli che illustrano le vicende della vita del dio. Il principio delle figure situate su diversi piani in modo da formare un quadro, le cui origini sono molto antiche, e di cui offrono begli esempî alcuni rilievi di Cibele, viene qui allargato ed esteso alle scene; si tratta di monumenti enigmatici di carattere didattico, e comunque collegati all'arte maggiore, alle Tavole Iliache, che offrono l'esempio di somiglianza più vicino. Gli stretti legami infine con l'arte provinciale della Gallia sono testimoniati dai pilastri funerarî del Belgio o da alcuni archi di trionfo locali. Gli altri archi, al contrario, offrirono solo raramente una versione un poco diversa del sistema delle figure disposte a piani, adattata qui alla decorazione del tralcio d'acanto (tralcio animato). Dappertutto si colgono le tracce d'una attività artistica in certo qual senso marginale in confronto ai centri dell'arte ufficiale. In tutti i casi, un particolare in apparenza non classico non deve essere preso come la rivelazione di influenze straniere, ma ci deve solo far ricercare i complessi elementi dell'arte dell'Impero.
Questo carattere provinciale e popolare permette di apprezzare quale è il vero posto detenuto dai rilievi cultuali nella storia dell'arte imperiale. Uno dei tratti caratteristici di questa storia è il progressivo declino della sensibilità plastica, il regresso del tutto tondo di fronte alla rappresentazione grafica del rilievo e della pittura: bisogna quindi finire col riconoscere ai rilievi cultuali una parte d'una certa importanza in questa evoluzione? Pare che la risposta debba essere negativa. La limitata diffusione di tali rilievi sia nello spazio che nella società del loro tempo, non era affatto favorevole ad un'espansione efficace. In realtà, la durata di questo tipo di monumento non fu più lunga di quella della statua da culto; le stele dei Cavalieri non resistettero alle avversità politiche e alla decadenza del paganesimo, mentre i loro rapporti con le icone dei santi cavalieri, sparse nei Balcani, restano del tutto dubbî; i rilievi mitriaci a quadri istoriati, se appartengono ad un culto che ebbe maggiore vitalità, d'altra parte restarono confinati agli ipogei (le "grotte" sotterranee del culto) e non offrono alcuna chiara connessione con i portici decorati delle chiese romaniche e gotiche. Se risaliamo alle origini, non dobbiamo perdere di vista il fatto che la scelta del rilievo non risponde inizialmente ad esigenze artistiche, ma ad esigenze religiose: fu il soggetto a decidere la forma. Particolarmente caratteristico, in questo contrasto, un elemento di stile, ben visibile in queste immagini: tutti i rilievi, soprattutto quelli di Mitra, rispettano la frontalità, così che il dio è sempre rappresentato di fronte. Non si tratta, però, di una convenzione rigorosa come quella che regna già nell'arte greco-mesopotamica di Dura e di Palmira, ma soltanto di una manifestazione della tendenza generale dell'arte greco-romana a rappresentare il personaggio principale, che sia divino o umano, di fronte: tendenza i cui primi esempî risalgono al IV sec. a. C. In definitiva, qui come altrove, i rilievi cultuali sono semplicemente buone testimonianze dell'evoluzione generale di un'arte alla quale essi devono tutto: concezione generale e particolari della rappresentazione. La loro portata non è maggiore di quella di quei rilievi, citati sopra, che non sono altro che un modo di sostituire le statue; essi tuttavia ci offrono, con soluzioni particolarmente originali, una delle illustrazioni migliori di quella corrente popolare e provinciale la cui importanza a fianco dell'arte ufficiale sta oggi diventando sempre più evidente.
Bibl.: V. Müller, in Pauly-Wissowa, Suppl. V, c. 472 ss., s. v. Kultbild; B. Schweitzer, Dea Nemesis Regina, in Jahrbuch, XCV, 1931, p. 175 ss.; A. Moortgat, Die bildende Kunst des alten Orients und die Bergvölker, Berlino 1932, p. 62; D. Schlumberger, La Palmyrène du Nord-Ouest, Parigi 1951, p. 114; U. Rapp, Das Mysterienbild, Münsterschwarzach 1952; E. Will, Le relief cultuel gréco-romain, Parigi 1955.