BASILIO
Romano di elevata condizione sociale, venne arrestato tra il 510e il 511 insieme con un certo Pretestato, sotto l'imputazione di essersi dedicato a pratiche magiche. L'accusa era assai grave (il codice Teodosiano contemplava per il reato di magia la pena di morte) e il "praefectus urbi" allora in carica, Argolico, per evitare le noie e la responsabilità di un processo a carico di persone tanto influenti, aveva creduto opportuno deferire la questione a Teoderico, asserendo che la cosa era di sua competenza e che le sue decisioni sarebbero certo state più autorevoli. Ma il re gli faceva rispondere che non vedeva la necessità di un suo intervento diretto; anzi, ricordandogli di non sapere "a legibus discrepare", gli ordinava, con una sua lettera, di applicare la legislazione vigente: istruisse pertanto regolarmente il processo, con l'assistenza del "iudicium quinquevirale", e lo conducesse secondo i rigori di legge. Son proprio i personaggi che Teoderico chiama nominativamente a far parte del collegio - Simmaco, Decio, Volusiano, Celiano e Massimiano -, patrizi tutti e senatori, a farci comprendere a quale ambiente appartenessero B. ed il suo correo Pretestato. I due imputati, però, eludendo la sorveglianza dei loro custodi, verosimilmente corrotti dai loro amici, riuscirono a fuggire; con una lettera indignata Teoderico affidò allora l'incarico di farli ricercare e di portarli nuovamente davanti al tribunale quinquevirale a un conte goto, il patrizio Arigerno, che venne inviato appositamente a Roma. E poiché il re temeva un ulteriore tentativo da parte degli amici di sottrarre B. e Pretestato al giudizio con la forza o, come minimo, che essi cercassero di influenzare i giudici, non esitò ad affidare ad Arigerno tutti quei poteri - che sarebbero rientrati nelle attribuzioni del "praefectus urbi" - "ut violenta omnium defensione summota hanc causam discuti facias legibus et finiri". In più Teoderico invitò il Senato di Roma a conformarsi alle misure che il conte avesse preso.
Non sappiamo se i due fuggiaschi furono rintracciati, né come andarono a finire le cose; in proposito tacciono i documenti ufficiali conservatici da Cassiodoro. Gregorio Magno, tuttavia, nel primo libro dei suoi Dialogi fa menzione di un B., originario di Roma, "qui magicis operibus primus fuit", e della sua attività "diabolica", che si sarebbe svolta intorno al 510-11, o poco dopo. Il fatto che il B. ricordato da Gregorio I sia romano, mago e fuggiasco da Roma, ha fatto propendere gli studiosi per l'identificazione dei due personaggi. Ove tale identificazione fosse certa, il seguito della vicenda di B., sulla base della tarda testimonianza di Gregorio Magno, e con le coloriture che la tradizione popolare poteva avere apportato ai fatti, si sarebbe svolto nel modo seguente.
B. fuggì da Roma travestito da monaco, trovando un primo rifugio ad Amiterno (ora S. Vittorino, a poca distanza da L'Aquila), presso il vescovo di quella città, Castorio. Da questo si fece credere monaco ottenendo così di essere ammesso nel monastero retto da Equizio, abate noto per la santità della vita. Il vescovo volle presentare personalmente il falso monaco ad Equizio, che si rifiutò d'accoglierlo: "Questi che tu mi raccomandi, padre" avrebbe detto l'abate a Castorio, dopo aver valutato B. con uno sguardo, "io vedo bene che non è un monaco, ma un diavolo". Tuttavia, avendogli il vescovo intimato d'accoglierlo ugualmente, per obbedienza, Equizio, sebbene riluttante, accondiscese. Ma B. doveva restare per poco nel suo nuovo rifugio. Qualche tempo dopo, infatti, profittando dell'assenza dell'abate, si recò in un monastero femminile posto sotto la sorveglianza di Equizio, per prestare le sue cure ad una giovane monaca malata. La cosa destò grande scandalo; Equizio, prontamente avvisato, ordinò ai monaci di riportare nella sua cella B., che in seguito venne espulso, per la fama delle sue stregonerie (si diceva, fra l'altro, che alla presenza dell'abate si fosse sollevato da terra). B. ritornò a Roma, dove continuò nelle sue pratiche, onde fu preso e bruciato a furia di popolo.
Fonti e Bibl.: Cassiodorii Variae, IV, 22, 23, a cura di Th. Mommsen, in Mon. Germ. Hist., Auct. Antiquiss., XII, Berolini 1894, pp. 123 s., 489; Gregorii Magni Dialogi, I, 4, a cura di U. Moricca, Roma 1924, pp. 28 ss.; P. Batiffol, Saint Grégoire le Grand, Paris 1928, pp. 141 s.; O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio ed ai Longobardi, Bologna s. d. [ma 1941], pp. 65 s.