NARDI, Basilio
– Nacque a Bagno di Romagna – e non, come viene anche indicato erroneamente, a Pratovecchio – intorno al 1460, da Giovanni di Biagio.
Si hanno poche notizie sulla famiglia e sull’infanzia. Fin da ragazzo aspirò alla vita monastica, attratto dall’esempio dell’eremita Alessio, priore del nuovo cenobio di Tramonte, nelle vicinanze di Bagno di Romagna. Entrato giovanissimo nell’Ordine camaldolese (del quale fece parte anche il fratello Gabriele), ricevette la sua educazione a Camaldoli, dove fece buoni progressi negli studi ed emise la professione solenne, presto guadagnandosi la fiducia di Pietro Delfino (Dolfin), priore generale dal 1480, che iniziò ad affidargli alcuni incarichi. Intanto dava prova di eloquenza, componendo dotte orazioni latine in occasione dei capitoli generali dell’Ordine. Nel 1485 venne inviato nell’ospitale di S. Martino di Pisa, del quale l’anno successivo fu nominato priore. Il 10 maggio 1487 Delfino lo designò suo vicario generale per l’eremo di Camaldoli e il sottostante monastero di Fontebuono.
Tra i primi atti del suo governo vi fu la convocazione del capitolo degli eremiti nel giugno 1487, durante il quale propose e ottenne l’affidamento dell’abbazia di S. Michele di Arezzo, che in realtà, all’insaputa degli eremiti di Camaldoli, già da tempo gli era stata affidata dal priore generale. Nardi utilizzò la decisione capitolare per far ricadere sugli eremiti quanto avrebbero dovuto pagare lui stesso e l’ospitale di S. Martino (Annales Camaldulenses, VII, p. 328; Chronicon Camalduli, pp. 538 s.). Quando nel 1488 i monaci di Fontebuono si resero conto di essere stati raggirati, insorsero contro il priore e il suo vicario. Ritenendo di dover accondiscendere alle richieste della comunità, il priore si ritirò per un certo tempo a Firenze e inviò Nardi ad Arezzo. Questo non evitò che venisse istituito contro di lui un processo dinnanzi a Lorenzo de’ Medici con l’accusa di aver defraudato la comunità di Camaldoli di vino, olio e altri beni. Il cardinale protettore dell’ordine camaldolese lo convocò a Roma e lo condannò a una pena pecuniaria dalla quale Delfino, convinto della sua innocenza, riuscì a farlo assolvere. Quando nel 1489 il giovane Giovanni de’ Medici dovette recarsi a Roma perché elevato a cardinale diacono di S. Maria in Domnica, il priore generale, richiesto di accompagnarlo, affidò nuovamente a Nardi l’amministrazione di Camaldoli.
Dal 1490 al 1492 Nardi promosse la costruzione nei poderi agricoli della comunità di una villa, chiamata la Musolea e ubicata vicino alla pieve di Partina su una collina alle spalle dell’attuale villa omonima. Nei primi anni del Cinquecento si occupò anche del rifacimento della chiesa del cenobio di Fontebuono, che fu ricostruita dalle fondamenta sul modello della chiesa del monastero camaldolese di S. Michele di Murano.
L’occasione propizia per allontanare Nardi da Camaldoli venne, nel 1493, dalla visita all’eremo del cardinale parmense Gian Giacomo Schiaffinati, il quale, avendo ricevuto dopo il conclave del 1492 molti benefici da Alessandro VI, gli conferì l’abbazia fiorentina di S. Felice in Piazza, dal 1413 camaldolese, e confermò suo fratello Gabriele abate di S. Michele di Arezzo con documento pontificio (Annales Camaldulenses, VII, p. 347). L’autorità di Nardi sull’abbazia fiorentina non risultò priva di controversie: nominato abate, fu cacciato appena un anno dopo dallo stesso Schiaffinati e poté fare ritorno a S. Felice solo nel 1496.
Nel settembre 1498 guidò il contingente armato inviato dal governo fiorentino contro Bartolomeo d’Alviano, che al soldo di Venezia aveva mosso guerra dalle Romagne ai fiorentini per soccorrere Pisa e, penetrando in Casentino da Forlì, era arrivato a Camaldoli, l’aveva assediata per un’intera giornata e infine se ne era impadronito. Portate a termine con successo le operazioni belliche, Nardi rientrò a Firenze, acclamato a porta Santa Croce dal popolo. La Repubblica, in segno di riconoscimento, ascrisse tutta la sua famiglia alla nobiltà fiorentina. All’episodio fa riferimento Machiavelli: «Camaldoli la difese l’Abate Basilio, cujus fuit summa manus in bello, et amor et fides in patriam» (Istorie fiorentine, ed. Italia 1813, II, p. 366).
Nel 1501 Nardi, avendo avuto ordine dal governo fiorentino di rafforzare tutti i luoghi attraverso i quali voleva transitare Cesare Borgia con il suo esercito, si recò nel Casentino, rafforzò i castelli della zona e subito dopo, richiamato per la difesa di Firenze, inviò armati a Prato, Empoli e Peretola. Con il resto dell’esercito si pose sopra Fiesole, riuscendo a indurre Borgia a scendere a patti con Firenze. Quando rientrò in città con le truppe da porta S. Frediano, i fiorentini gli andarono incontro, salutandolo quale salvatore della patria. L’anno seguente in occasione dell’insurrezione di Arezzo, quando Vitellozzo Vitelli condusse gli aretini in Casentino, Nardi guidò le truppe fiorentine che assediarono Arezzo e la conquistarono. A causa delle varie spedizioni militari era incorso nelle censure ecclesiastiche e aveva perso l’abbazia di S. Felice, ma ottenne l’assoluzione e il reintegro nella carica.
Nel 1504 il priore Delfino, che aveva perso potere in curia, non poté evitare che il suo vicario Nardi fosse processato e deposto, essendo stato accusato di aver trafugato i libri contabili e il registro generalizio per coprire la propria amministrazione e di aver venduto il bestiame al tesoriere apostolico nello Stato pontificio. Delfino gli tolse il suo appoggio e fece circolare le notizie relative alle accuse anche fuori dall’Ordine. Tuttavia nel 1512, scoppiata una divergenza tra la comunità di Camaldoli e il priore generale, Nardi fu nuovamente nominato vicario per poter rispondere della propria amministrazione dinnanzi allo Stato fiorentino e al cardinale protettore. Il ritorno a Firenze dei Medici mutò però la situazione e Delfino, sapendo che Nardi si era mostrato ostile al cardinale Giovanni de’ Medici, lo sollevò subito dall’ufficio. Nardi dovette rimanere lontano da Firenze e durante l’esilio fu oggetto di accuse da parte dei sostenitori del partito mediceo. Delfino lo raccomandò comunque presso il cardinale affinché non perdesse anche i redditi dell’abbazia fiorentina, ma, divenuto papa, Giovanni de’ Medici il 17 giugno 1513 ordinò l’alienazione dei beni camaldolesi a Firenze e costrinse Nardi a restituire l’amministrazione della proprietà.
In seguito la Repubblica fiorentina ricorse a Nardi più volte, conferendogli il capitanato delle proprie armi e affidandogli la propria difesa. Nel 1516 militò per Lorenzo di Piero de’ Medici, nuovo duca d’Urbino, sedando i moti degli urbinati insorti e mediando la pace tra la popolazione e il duca. Nel febbraio 1517 alla guida di un gruppo di fiorentini fortificò Bagno, Montecoronaro e Borgo Sansepolcro, che temevano il passaggio dell’esercito di Carlo di Borbone diretto verso Roma, e tentò di espugnare la Rocca di Pennabilli, dove subì gravi perdite. Nel novembre 1527, quando era impegnato a contrastare l’avanzata dell’esercito imperiale che attraverso l’Appennino intendeva invadere la Toscana, giunse a Camaldoli con 80 armati e occupò l’eremo e il monastero saccheggiando gli edifici; tenendo sotto sequestro tutti i monaci, si fece eleggere vicario e amministratore, a quanto pare per il risentimento accumulato negli anni contro gli eremiti e la comunità di Camaldoli. Il 29 dicembre la Repubblica fiorentina liberò gli eremiti, garantendo loro la libertà e il risarcimento dovuto, e Nardi fu dichiarato ribelle e privato della voce attiva e passiva nell’Ordine (Annales Camaldulenses, VIII, p. 56).
Nardi servì per 39 anni la Repubblica fiorentina e fu ritenuto un abile stratega; comandante rispettoso dei soldati, venne da essi tenuto in buona considerazione. Nelle sue missive inviate alla Signoria di Firenze o a Francesco Fortunati pievano di Cascina mostrò premura per gli approvvigionamenti delle truppe da lui guidate ed espresse ammirazione per i successi militari di Giovanni dalle Bande Nere. Scrisse anche un commentario delle proprie imprese di condottiero, che tuttavia non è pervenuto.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita nella badia di S. Felice in Piazza, dove il 22 dicembre 1542 morì e fu sepolto.
Fonti e Bibl.: i carteggi inediti di Nardi sono conservati nell’Archivio di Stato di Firenze, Signori Carteggi Responsive originali, filza 9, c. 106; filza 10, cc. 279, 298, 300, 310, 311, 313, 315; filza 12, c. 391; Mediceo avanti il Principato, filza LXX, 520; filza LXXI, 167, 424, 584, 649, 824, 843; Otto di Pratica, Missive, reg. 49, 32; reg. 31, 316; reg. 50, 46; Carte Strozziane, serie III, CIX, c. 15; CXL, c. 232; Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Conventi Soppressi, Petri Delphini Gen. Camald., Epistolarium, E III, 405, I; P. Delphini, Epistolarium volumen, Venetiis 1524, lib. II, 32, 35, 67, 86; III, 78, 98; IV, 68, 71, 93; X, 96. Parte di questa documentazione è stata utilizzata da Luca Hispano, La historia Romoaldina, Venetia 1590; A. Fortunio, Historiarum Camaldulensium libri tres (…), Florentiae 1575, pp. 273-280; [O. M. Baroncini], Chronicon Camalduli, ovvero Ms. 343 della Biblioteca Città di Arezzo, pp. 538-542, e da J.B. Mittarelli - A. Costadoni, Annales Camal-dulenses, VII-VIII, Venezia 1762-64, passim. Si vedano inoltre: G. Farulli, Istoria cronologica del monastero degli Angioli di Firenze, Lucca 1710, pp. 184 s.; D. Zanobi Valmori, Teatro storico del Sacro Eremo di Camaldoli, Lucca 1723, pp. 13-15; E. Repetti, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, IV, Firenze 1841, p. 419; P. Prezzolini, Storia del Casentino, I, Firenze 1859, pp. 253, 279-289; II, ibid. 1861, p. 230; F. Caffi, Camaldolesi. Le figure più espressive dell’Ordine, Pergola 1944, pp. 144, 150; A. Pagnani, Storia dei Benedettini Camaldolesi, Sassoferrato 1949, pp. 138, 169; V. Guerri, Il Casentino. Storie, tradizioni e leggende, Arezzo s.d. [1952], pp. 85-95; Agostino Vespucci a Niccolò Machiavelli, Bologna, 28 dicembre 1506, in N. Machiavelli, Tutte le opere, a cura di M. Martelli, Firenze 1971, p. 1093; P. Scapecchi, Aldo Manuzio. I suoi libri, i suoi amici tra XV e XVI secolo: libri, biblioteche e guerre in Casentino, Firenze 1994, pp. 26-30, 42 n. 59; E. Massa, L’eremita evangelizzatore. Un topos umanistico nella vita e nel pensiero di Paolo Giustiniani, Roma 2006, pp. 17 n. 64, 211-214; E. Guerrieri, s.v. Basilius Balnensis Abbas, in Clavisdegli scrittori camaldolesi. Secoli XI-XVI, a cura di E. Guerrieri, Firenze, in corso di stampa.