FERRARI, Basilio
Nacque a Milano nel 1493 da Luigi e Caterina Castiglioni, di illustre casato milanese: era fratello di Francesco, maggiore di lui, morto in giovanissima età, e di Bartolomeo, più giovane di quattro anni, che diverrà uno dei fondatori dell'Ordine dei barnabiti. Sarà proprio il rapporto con quest'ultimo - sorta di filo ininterrotto che accompagnerà, sia pure nella lontananza fisica, la vita di entrambi - a illuminare la personalità del Ferrari.
Si sa che divenne notaio ed esercitò la professione: con sicurezza almeno dal 1513 al 1518. Entrò nello stato ecclesiastico, anche se né allora né in seguito prese gli ordini sacri, e ottenne un canonicato a S. Maria Fulcorina. Quanto il fratello fin dalla prima giovinezza era apparso tutto preso da esigenze religiose e da pratiche ascetiche che lo estraniavano dal mondo, tanto negli stimoli mondani il F. si muoveva a proprio agio e li ricercava. Nel 1521, volendosi recare alla corte di Roma per ottenere un consistente avanzamento di carriera, chiese e ottenne la divisione anticipata del patrimonio col fratello. Una volta alla corte papale, in breve tempo si seppe inserire molto bene nell'ambiente e divenne poi, per scelta di Clemente VII, scrittore apostolico, carica rinnovatagli anche dai successori. Il legame con la vicenda spirituale del fratello e con le sorti dell'istituzione barnabitica che proprio in quegli anni andava prendendo forma rimase sotterraneo ma vivo e, anzi, diede i suoi primi frutti. Gli storici concordano sull'importanza da attribuire al F. nella celerità - eccezionale per la prassi dei tempi - con cui giunse alla nascente Congregazione milanese il primo breve di approvazione da parte di Clemente VII, datato febbraio 1533. E costante dovette essere il suo interessamento anche per l'istituzione femminile parallela voluta e promossa dalla contessa Ludovica Torelli di Guastalla e da padre Battista Carioni da Crema. Per costoro i buoni uffici del F. ottennero la promulgazione della bolla istitutiva dell'Ordine religioso delle angeliche di S. Paolo sotto la regola di S. Agostino, datata 15 genn. 1535.
Quando a Milano Bartolomeo lo aveva eletto suo erede universale, poco prima di impegnarsi duramente nell'assistenza ai malati di peste durante il contagio che aveva colpito la città nel 1530, il F., buon cristiano certo ma lontano dagli slanci comportamentali del fratello, gli indirizzò più volte lettere improntate al consiglio di "... non darsi al disprezzo della vita nel vivere, habitar et solitaria et melanconica prattica et nelle troppe larghezze di limosine" (Premoli, Una lettera inedita, p. 668). Alla scomparsa di Bartolomeo, nel 1544, il F., che nei suoi confronti era sempre stato diviso tra ammirazione e biasimo, volle che fosse eretta nella chiesa di S. Barnaba a Milano una ricca cappella titolata al nome dei due fratelli che gli erano premorti.
Il legame del F. con l'istituzione dei barnabiti e delle angeliche non venne meno con la morte di Bartolomeo e, anzi, ebbe modo di concretizzarsi in aiuti fattivi nelle fasi successive della storia dei nascente Ordine, particolarmente nel 1551, quando i barnabiti furono espulsi dalla Repubblica di Venezia e G.P. Besozzi e G. Melso, inviati a Roma dalla Congregazione, furono arrestati e deferiti al tribunale dell'Inquisizione. Il F. fu prezioso mediatore in tale occasione, coadiuvato da M. Daverio, emissario della contessa Torelli. Fu sempre il F. a dare asilo in casa sua ai due, una volta usciti dal carcere, risoluzione a cui finalmente si giunse nel corso del '52, grazie anche ai buoni uffici di Ignazio di Loyola.
Del periodo finale della vita del F. è dato arguire più che documentare puntualmente le attività. Inalterati dovettero restare simpatia e aiuti all'Ordine di cui il fratello era stato uno dei fondatori. Una data certa: nel 1557 concorse con un'offerta di 50 scudi d'oro alla ricostruzione della chiesa di S. Barnaba.
Morì a Roma nel 1574.
Bibl.: O. Premoli, Fra' Battista da Crema, Roma 1910, pp. 61, 64, 80; Id., Storia dei barnabiti nel Cinquecento, Roma 1913, pp. 11, 31, 70, 105, 111, 116, 146, 153, 164, 181, 239, 417, 508 s., 539; Id., Una lettera inedita di B. F., in Arch. stor. lomb., XLIV (1917), pp. 667-673.