Tosinghi (della Tosa), Baschiera
Figlio di Bindo di Baschiera, apparteneva a un ramo secondario di quella potente consorteria guelfa. Dopo la morte del padre (1289), i membri del ramo principale privarono Baschiera e altri ancora dei loro consanguinei - Biligiardo, Baldo di Talano -, quantunque fossero guelfi di provata fede politica, delle dignità e degli uffici ai quali avevano diritto, adoperandosi perché fossero riservati solo ai parenti più prossimi. Ebbe, tuttavia, qualche incarico di governo fuori di Firenze, come quando, nel 1298, fu chiamato a Città di Castello per ricoprirvi l'ufficio di podestà. Dai contrasti suddetti derivò l'odio che Baschiera nutrì a lungo contro Rosso della Tosa, il principale autore delle sue umiliazioni politiche; odio che l'indusse a schierarsi con i Cerchi contro i Donati, ai quali, invece, aveva aderito il suo avversario.
Questo fatto divise in due campi la consorteria. L'adesione ai Cerchi e l'attiva partecipazione alle lotte contro i Neri valse a Baschiera, nel 1300, il confino a Sarzana, ove, per ordine della signoria della quale faceva parte anche D., furono esiliati i principali capi delle due fazioni in lotta. L'anno seguente, rifiutò le profferte di pace che a lui e agli altri esponenti della Parte bianca vennero avanzate dai Neri per ‛ ammollare ' (Compagni II 16) l'ostilità e la vigilanza dell'opposta fazione. In quell'occasione Baschiera rifiutò a Rosso il perdono richiesto, e continuò a combattere " con fuoco e con ferri " i Neri anche dopo il loro trionfo, affrontandoli armato, alla testa della compagnia di fanti romagnoli. Questi, però, lo abbandonarono ben presto, e Baschiera fu obbligato alla fuga. La cattiva fortuna, tuttavia, non lo piegò; il Compagni, anzi, lo cita come esempio di coraggio e di tenacia: " Di tanto vigore fussono stati gli altri cittadini di sua parte, che non arebbono perduto! " (ibid.). Insieme a Naldo Gherardini e a Baldinaccio Adimari, Baschiera ordì con Pierre Ferrand d'Auvergne la ben nota congiura volta a uccidere Carlo di Valois (1302), che fu scoperta. Baschiera, condannato al bando, alla confisca dei beni e alla distruzione delle sue case, insieme agli altri maggiorenti della fazione cerchiesca, fu colpito (5 aprile e 27 settembre 1302) dalla repressione della Parte nera che travolse anche Dante. Tra i fuorusciti, Baschiera assunse una posizione di primo piano, e come loro capo venne a Firenze nel 1304, munito del salvacondotto che permetteva agli esuli ghibellini e bianchi d'incontrarsi con gli avversari, nel quadro delle vane trattative patrocinate dal cardinale Niccolò da Prato. In quella circostanza egli s'incontrò nuovamente con Rosso, e per la prima volta, quantunque fossero divisi politicamente, si onorarono " in parole e in vista " (Compagni III 7). Fallito il tentativo di pacificazione, Baschiera si dedicò alla preparazione dell'impresa detta della Lastra, organizzata dai Bianchi nella speranza di rientrare con la forza in Firenze. Tuttavia, fu proprio il suo ardore, insieme alla sua impazienza, a far fallire il piano che egli stesso aveva contribuito a preparare. Senza attendere il giorno stabilito, Baschiera si spinse avanti da solo con la sua scorta, arrivando fino alla porta detta degli Spadai o Nuova, nella fiducia di trovarvi amici disposti ad aprirla al suo arrivo. La mancanza di aiuto trasformò la certezza di vittoria in disastro e lo obbligò a ritirarsi precipitosamente, ma non senza aver prima tratto a forza fuori dal convento di San Domenico al Maglio due monache sue nipoti, che intendeva sottrarre alla vendetta che certamente si sarebbe abbattuta sui consorti dei ribelli. Il gesto sacrilego suscitò contro di lui l'ira delle autorità ecclesiastiche ma salvò il convento dalla furia della plebe scatenata, che certamente vi avrebbe cercato le due giovani, legate da parentela a un fuoruscito tanto temuto. La conseguenza del fallimento fu, per lui e i compagni, il perpetuarsi dell'esilio. Come molti altri suoi amici politici, lo troviamo al campo di Enrico VII quando questi venne in armi contro Firenze; nel seguito dell'imperatore Baschiera ebbe una parte non secondaria, presente come fu, in qualità di testimone, all'emanazione delle condanne pronunciate dal tribunale imperiale. Morì parecchi anni dopo, nel 1323, profugo dalla patria, quantunque fosse stato liberato dalla condanna a morte qualche tempo prima (c. 1321).
Bibl. - Le principali fonti della biografia di questo T. sono le cronache di D. Compagni (Cronica ... delle cose occorrenti ne' tempi suoi, a c. di I. Del Lungo, in Rer. Ital. Script., IX 2, Città di Castello 1916, 64, 70, 117, 133-141, 180, 181, 188-191), e di G. Villani (Cronica, III, Firenze 1823, 56-64, 68-74). Per la considerazione del personaggio nel quadro della storia cittadina, cfr. G. Capponi, Storia della Repubblica di Firenze, I, Firenze 1875, 111 ss. e partic. pp. 119-120; F.T. Perrens, Histoire de Florence, III, Parigi 1877, 13, 25, 28, 65, 99, 101; Davidsohn, Storia, ad indicem.