SESTINI, Bartolommeo
SESTINI, Bartolommeo. – Nacque a Santomato, nei pressi di Pistoia, il 14 ottobre 1792, da Francesco, perito agrimensore, e da Maddalena Biagini.
All’età di cinque anni apprese i primi rudimenti del latino sotto la guida del parroco locale, don Stefano Diddi. Non mostrando tuttavia particolare predilezione per lo studio, il padre, che aveva scorto in lui una passione per il disegno, lo mandò novenne a Pistoia presso il pittore Giuseppe Vannacci e di qui, poi, all’Accademia di belle arti di Firenze, dove Sestini ebbe modo di perfezionare le proprie abilità artistiche sotto la guida del pittore Giuseppe Castagnoli e seguire le lezioni di Giovanni Battista Niccolini, titolare della cattedra di storia e mitologia.
In questi anni coltivò l’algebra e riprese lo studio del latino, cui affiancò quello del greco. Divenuto frequentatore abituale della Biblioteca Magliabechiana, lesse Virgilio, Dante, Francesco Petrarca e Torquato Tasso. Del 1813 è la conoscenza di Ugo Foscolo, che lo ospitò spesso nella villa fiorentina di Bellosguardo dove attendeva alla composizione delle Grazie.
Fu richiamato a Pistoia dal padre, che gli chiedeva aiuto per lo svolgimento di alcuni lavori di agrimensura. Ma da quell’occupazione, presto venutagli a noia, fu distolto dalla mai sopita passione per la poesia.
La morte di una fanciulla di cui era innamorato, colpita da un fulmine, lo gettò nella disperazione e ispirò alcuni versi poi inclusi in Amori campestri, piccola raccolta di liriche edita nel 1814 (ma senza indicazione di editore).
Fra i testi, alcuni erano di ispirazione settecentesca e guardavano all’esempio di Pietro Metastasio e degli Amori di Ludovico Savioli; altri ricorrevano invece al metro dell’ottava, rivelando un’influenza tassiana.
Assieme a Giovan-Giacomo Baldinotti, di lui più anziano e già affermato poeta estemporaneo, viaggiò a Volterra, Pisa, Firenze, Siena e Roma, tenendo accademie pubbliche con versi improvvisati. A Cortona, durante uno dei suoi spostamenti, conobbe Zanobi Zucchini, capo della carboneria toscana, grazie al quale aderì ai principi della società segreta.
Il successo delle performances spinse alcuni entusiasti ascoltatori romani a trascrivere tre suoi testi in una plaquette dal titolo Poesie estemporanee di Solimano Erbosetti. Queste sviluppavano, rispettivamente, un episodio della Gerusalemme liberata (Tancredi alla selva incantata), il ‘tema’ di Simon Mago (improvvisato nella sala del duca di Altemps) e la Morte di Glicistoma (dalla Vita di Erostrato di Alessandro Verri). La pubblicazione, edita dalla Stamperia De Romanis (Roma 1815; poi Pistoia 1816), mostrava anche l’abilità prosodica di Sestini, in grado di improvvisare in quartine di ottonari, in terzine e in ottave.
Dopo un breve periodo a Pistoia, partecipò alla disperata impresa di Gioacchino Murat e compose un Inno di guerra per le armate napoletane, messo in musica da Gioachino Rossini. La disfatta di Tolentino lo costrinse tuttavia a riparare a Macerata, da dove tornò di nuovo a Roma e quindi a Napoli, alternando le peregrinazioni a fugaci rientri al paese natio.
Il 1816 è l’anno di L’incendio di Mosca, improvvisato «nella sala del signor Santi Maioli e trascritto dai sigg. dott. Cecchi e Pietro Donnini», che vide la luce per i tipi Fabbrini di Firenze. Ma è soprattutto l’anno degli Idillj polimetrici, composti sull’onda del successo degli Idyllen del poeta zurighese Salomon Gessner, che Sestini lesse in una delle numerose traduzioni in italiano all’epoca in circolazione.
Di ispirazione teocritea e bucolico-virgiliana, la raccolta palesava influenze colte sin dal primo componimento, La tomba di Sannazaro, ossia la pace di Partenope, che rinviava non solo all’autore dell’Arcadia, ma anche a Dante per l’uso della terzina e taluni echi testuali (di cui era innervata del resto l’intera silloge). Non vi mancavano ovviamente reminiscenze tassiane: sin troppo presente, il poeta dell’Aminta era adombrato nell’idillio La tomba del saggio (come «Colui che cantò l’armi pietose») assieme a Virgilio e allo stesso Gessner. Edita dai tipi pistoiesi della tipografia Manfredini, la raccolta era aperta da una dedica a don Leopoldo di Borbone, cui Sestini era stato raccomandato prima del suo viaggio napoletano. Il sovrano, invitato a mettere da parte le cure quotidiane e a meditare sulla vita innocente dei primi uomini, ricompensò il poeta con una tabacchiera d’oro.
Una seconda edizione del volume comparve nel 1818 a Messina, ove Sestini si era nel frattempo trasferito, presso i tipi di Giuseppe Pappalardo. Da Messina si spostò a Girgenti e poi a Catania, in cui tenne un’accademia il 29 luglio 1818. A Palermo, dove si portò in seguito, scrisse la cantica Il trionfo della sapienza in morte del barone Antonio Pisani, ispirata a quadri eseguiti per ricordare la morte del figlio del nobile palermitano. Oltre a svolgere l’attività di poeta improvvisatore, in Sicilia aveva anche cominciato ad ‘aprire vendite’, facoltà di cui disponeva dopo essere stato insignito del grado di ‘fondatore maggiore’ dai carbonari napoletani. Tuttavia, tradito da un certo Oddo che si era finto suo amico ed era in realtà una spia, fu arrestato e liberato solo un anno dopo, il 29 luglio 1819, grazie all’intervento di un cognato che intercesse presso il ministro degli Affari esteri del Granducato di Toscana.
Imbarcatosi a Messina, raggiunse Livorno; di qui rientrò a Pistoia, dove fu accolto calorosamente dai suoi concittadini e tenne due accademie presso il teatro dei Risvegliati. Fu poi a Firenze, Empoli e Livorno, dove si esibì presso il teatro del Giardinetto; si condusse quindi a Genova e a Milano; rientrò infine in Toscana, da dove, caduto in sospetto alla polizia, fu nuovamente costretto ad allontanarsi.
A Viterbo, dove si diresse nel 1821, compose i drammi Guido di Montfort conte di Montefeltro, che lesse presso l’Accademia degli Ardenti, e il Trionfo di Santa Rosa dopo l’esilio, che recava una dedica al cardinale Antonio Gabriele Severoli.
Il primo dramma prendeva spunto dalla figura del violento dantesco, omicida nel marzo del 1271 di Enrico di Cornovaglia (Inferno XII, 118-120); il secondo dalla vita della francescana viterbese, che Sestini immaginò avesse soggiornato in un contesto idillico e pastorale all’indomani dell’esilio per la sua difesa del pontefice contro Federico II.
Sempre nel 1821 si trasferì a Roma dove, abbandonati gli idilli boscherecci e le celebrazioni dell’età dell’oro, stese Pia de’ Tolomei, poema in ottave edito nel 1822 dalla romana Stamperia Ajani.
L’esergo dantesco (Purgatorio V, 130-136), che lasciava nel mistero le vicende della penitente senese, era solo una base di partenza per una narrazione che Sestini dichiarava di ricostruire a partire da leggende e documenti «degni di fede». La storia della Pia, segregata e lasciata morire dal marito geloso Nello dei Pannocchieschi, non arricchiva solo la tradizione ottocentesca della novellistica in versi, che vantava già celebri esempi nella produzione di Tommaso Grossi (La fuggitiva, 1816, e Ildegonda, 1820); ne rinverdiva anche la voga medievaleggiante e il gusto per il sentimentalismo, che di lì a qualche anno avrebbe sostanziato la composizione dell’Edmenegarda di Giovanni Prati. Alla Pia, il cui immediato successo ne favorì diverse ristampe, per lo più postume, seguì La prigionia di Torquato Tasso, racconto in terzine che rinnovellava invece il mito (anch’esso tutto romantico) del poeta della Liberata e che sarebbe apparso solo nel 1839, per i tipi romani di Salviucci. Sempre nel 1822 compose le strofe saffiche di I voti dell’Etruria. Al suo principe Ferdinando III.
L’eco dei moti carbonari del 1821 ne mise in pericolo la permanenza in Italia e lo costrinse all’esilio volontario: si imbarcò da Civitavecchia e arrivò a Marsiglia il 20 luglio 1822. Poco prima aveva improvvisato un canto in quartine di settenari dal titolo Addio all’Italia. Testimonianza dettagliata del viaggio è una lunga lettera che vergò il giorno stesso all’amica letterata Enrichetta Orfei.
Giunse a Parigi il 12 ottobre, preceduto dalla fama che si era guadagnato in patria come poeta estemporaneo. Nella capitale francese scrisse la poesia Pitagora, in cui «fingeva che il filosofo osservando i colpi misurati di un martello in una fucina concepisse le leggi dell’armonia» (Vaccolini, 1837, p. 175). L’esperienza transalpina fu però di breve durata: alla fine di ottobre fu colpito da un’infiammazione cerebrale che lo portò in breve tempo a uno stato di incoscienza.
Morì a Parigi, all’età di soli trent’anni, l’11 novembre 1822, assistito dall’amico Urbano Lampredi.
A dare l’addio al poeta furono, tra gli altri, due suoi conterranei, Giovanni Fuocosi e Ippolito Niccolai, quest’ultimo futuro vescovo di Montelpuciano. Due giorni dopo la salma fu traslata al cimitero di Vaugirard. Le sue carte autografe furono bruciate da un prete che fiutò in esse «odore di carbonarismo» (Bugiani, 1916, p. 41). La prima omnia poetica uscì solo nel 1840, in due volumi per cura del concittadino Atto Vannucci.
Fonti e Bibl.: D. Vaccolini, Sestini (Benedetto), in Biografia degli Italiani illustri, a cura di E. De Tipaldo, V, Venezia 1837, pp. 171-174; A. Vannucci, Notizie di B. S., in B. Sestini, Opere, Firenze 1855, pp. 5-33; V. Capponi, Biografia pistoiese, Pistoia 1878, s.v.; F. Bugiani, Lettere d’Improvvisatori, in Bullettino storico pistoiese, XVIII (1916), pp. 34-45; R. Falci, Scienziati e patriotti siciliani negli albori del Risorgimento, Palermo 1926, ad ind.; E.V. della Robbia, Un Inno inedito del Sestini fra le carte del presidente del Buon Governo di Toscana, in Leonardo, VII (1936), 7-8, pp. 232-234; G. Zaccagnini, Della vita e delle opere di B. S., Pistoia 1938; A. Bolognesi, B. S. di Santomato, Pistoia 1999; S. Vaiana, Una storia siciliana fra Ottocento e Novecento, Barrafranca 2000, pp. 28-30; C.O. Gori, Far versi a Pistoia..., in Microstoria, 2007, n. 54, http://goriblogstoria.blogspot. it/search/label/Sestini%20Bartolomeo%20%281792-1822%29 (16 aprile 2018); C. Chiodo, B. S. fra Arcadia e Romanticismo, in Id., Letture di poeti, Roma 2012, pp. 79-143.