SPINA, Bartolomeo
SPINA, Bartolomeo. – Nacque a Pisa da nobile famiglia nel 1476 o nel 1477, come si deduce dalla chiusa del suo Flagellum contro l’Apologia di Pietro Pomponazzi.
Nel 1494 entrò nell’Ordine dei predicatori, accolto nel convento di S. Caterina di Pisa, appartenente alla riformata Congregazione di Lombardia. Ordinato sacerdote nel 1502, l’anno seguente passò allo Studio generale domenicano di Bologna per proseguire gli studi teologici (Bologna, Biblioteca del convento patriarcale di S. Domenico, ms. II.21.000, p. 9). Nel 1509 fu assegnato al convento di Viterbo (Registrum..., a cura di A. De Meyer O.P., 1938, p. 115); nel 1512 il generale dell’Ordine, all’epoca Tommaso De Vio, detto il Gaetano, lo nominò «magister studiorum» presso il convento di S. Eustorgio di Milano (p. 96); in questo incarico fu confermato l’anno seguente presso lo Studio generale di Bologna (Acta capitulorum..., 1901, p. 119); qui rimase almeno sino al 1514, per poi passare come lettore presso il convento di S. Domenico di Castello a Venezia dov’era sicuramente nel 1517.
Dovette la sua prima notorietà agli scritti con cui si inserì nella polemica suscitata nel 1516 dalla pubblicazione del De immortalitate animae di Pietro Pomponazzi. Si tratta dei seguenti tre scritti: Propugnaculum Aristotelis de immortalitate animae contra Thomam Caietanum; Tutela veritatis de immortalitate animae contra Pomponatium Mantuanum; Flagellum in tres libros Apologiae eiusdem Peretti. Furono riuniti nel volume intitolato Opuscula edita per fratrem Bartholomeum de Spina pisanum..., apparso a Venezia il 10 settembre 1519 per i tipi di Gregorio de Gregori.
Non risulta che in precedenza questi scritti fossero stati editi separatamente. Tutti e tre furono composti nel 1518, come si apprende dalla dedica al cardinale Domenico Grimani che apre la raccolta. Contro le conclusioni del De immortalitate animae, nella Tutela Spina non solo riproponeva l’argomentazione tomista secondo cui l’intelletto umano, pur avendo bisogno del corpo come oggetto, non ne ha invece bisogno come di un soggetto, onde risulterebbe provata la sua immaterialità e dunque la sua immortalità, ma ribadiva anche l’idea, architrave della lettura di Tommaso, che tale fosse l’autentico pensiero di Aristotele. La colpa più grave del filosofo mantovano sarebbe tuttavia consistita, secondo Spina, nell’aver presentato le proposizioni della fede come ripugnanti ai principi della filosofia. Oltre all’accusa di eresia rivolta a Pomponazzi, a contraddistinguere gli scritti di Spina fu il punto politico da cui riguardò le sortite del filosofo mantovano, insistendo sui rischi che esse comportavano per l’unità e l’influenza della Chiesa.
L’accusa di eresia non fu da Spina estesa al Gaetano, che nei suoi commenti al De anima di Aristotele, apparsi nel 1509, aveva sostenuto che l’immortalità dell’anima, se pur dimostrabile in termini filosofici, non lo fosse sulla base dei testi aristotelici. Il teologo pisano era tuttavia convinto che proprio l’opera del Gaetano avesse aperto la via alle inaudite tesi di Pomponazzi, sicché non esitava ad attribuire a entrambi la responsabilità di aver spento nei giovani studenti la fede nell’immortalità. L’attacco al Gaetano rivelava un mutamento apparentemente repentino nella disposizione di Spina verso il maestro generale dell’Ordine. Nel 1517 questi lo aveva incaricato di sovrintendere alla stampa dei propri commenti alla Secunda secundae della Summa di Tommaso d’Aquino, che videro la luce il 20 agosto 1518; Spina, lusingato, aveva di sua iniziativa composto nei mesi precedenti una prefazione all’opera di carattere encomiastico (riprodotta in M.H. Laurent, Les premières biographies de Cajétan, in Revue thomiste, 1934-1935, vol. 39, nn. 86-87, pp. 444-503, in partic. pp. 448-454) in cui paragonava De Vio all’Aquinate e ne celebrava l’impegno a favore della riforma dell’Ordine e della Chiesa e nella lotta contro eretici e scismatici. Nell’Ad lectorem degli Opuscula del 1519 lo stesso Spina riconosceva che il proprio attacco al Gaetano, da lui poco prima «meritatamente celebrato» (e ciò significa che il Propugnaculum fu composto nella seconda metà del 1518, se non nel 1519), richiedesse una giustificazione. Il fatto era, spiegava, che non aveva potuto «resistere allo Spirito santo», né tenere a freno «il proprio zelo per la salvezza delle anime e per la verità». Come ha supposto Étienne Gilson (1961, p. 196), è probabile che a rileggere con diversa disposizione un’opera di dieci anni prima fosse stata proprio la comparsa nel 1516 del De immortalitate animae di Pomponazzi. Di quale ordine fossero le preoccupazioni che cominciarono allora a entrare in conflitto con la stima per l’eccelso teologo e con la reverenza per il superiore, quale fosse insomma il nocciolo della discordanza, lo rivela il fatto che nel suo Flagellum Spina invocasse contro Pomponazzi (Opuscula..., cit., c. K IVv) quel decreto del Concilio Laterano V che limitava la libertà delle dispute filosofiche in materia di fede e contro il quale nel 1513 il Gaetano aveva invano preso la parola. In gioco erano in definitiva i rapporti tra teologia e filosofia.
La determinazione polemica che nel 1519 sospinse Spina sino al passo compromettente di un attacco pubblico al Gaetano fu probabilmente alimentata anche dall’esperienza che come vicario dell’inquisitore di Modena e Ferrara ebbe a fare tra il 1518 e il 1520. Dai verbali dei numerosi processi che condusse contro donne e uomini accusati di stregoneria (conservati all’Archivio di Stato di Modena) emergono indizi rivelatori dello sconcerto provocato in lui dall’incontro con inaudite credenze di cui percepiva l’inquietante estraneità alla propria cultura. Frutto notevole di questa esperienza fu la Quaestio de strigibus che Spina compose tra il 1519 e il 1520, ma che poté pubblicare soltanto nel 1523; seguirono, editi nel 1525, il Tractatus de praeeminentia sacrae theologiae super alias omnes scientias e la Quadruplicis apologia de lamiis contra Ponzinibium, l’argomento dei quali era strettamente connesso a quello del primo trattato. Questi scritti (più volte in seguito ripubblicati) si inserirono in una polemica la cui rilevanza storica non fu minore del dibattito sull’immortalità dell’anima, e in cui furono direttamente coinvolti, tra gli altri, il giureconsulto piacentino Giovan Francesco Ponzinibio, la cui opera De lamiis et excellentia iuris utriusque risaliva al 1511, ma fu per così dire resa attualissima dalla veemente confutazione di Spina, e il filosofo, nonché principe della Mirandola, Giovan Francesco Pico, autore del dialogo Strix sive De ludificatione Daemonum, pubblicato nel 1523.
A differenza del Malleus maleficarum di Jacob Sprenger e Henricus Institoris (1487), principale organo della caccia alle streghe nell’Europa moderna, nel quale erano sistematicamente trattati tutti i delitti della «setta delle streghe», queste opere si concentravano sul problema della realtà dei convegni notturni che, secondo i racconti degli accusati, si svolgevano intorno a una misteriosa divinità femminile, la «Signora del gioco». Spina, che come Pico intendeva dimostrare contro Ponzinibio che si trattava di convegni reali promossi dal demonio, sosteneva che Dio li autorizzasse perché nell’imminenza del giudizio, come si legge nell’Apocalisse di Giovanni (22, 11), era concesso a chi fosse impuro di perseverare nell’impurità. La logica apocalittica che improntava l’argomentazione di Spina non era tuttavia orientata verso una prospettiva escatologica: il bene derivante dal permesso divino alle malefatte delle streghe era infatti da lui identificato nell’esaltazione della funzione salvifica dell’Inquisizione, alla quale tutti i veri sapienti erano energicamente richiamati a prestare sostegno. La tensione del discorso apocalittico si risolveva dunque in discorso politico; e si comprende perciò come mai Spina volle associare alla polemica contro lo scetticismo di Ponzinibio a proposito della realtà del sabba un trattato in cui, di fronte alla rivendicazione da parte di questi della superiorità della scienza giuridica, riaffermava l’assoluto primato della teologia. Era la medesima logica che aveva improntato i suoi interventi sull’immortalità dell’anima nei quali, riconosciuto infine Pomponazzi come strumento dell’offensiva diabolica (Opuscula..., cit., c. K IVr), Spina presentava sé stesso come campione di una verità a salvaguardare la quale era indispensabile che la filosofia si sottomettesse alla teologia.
Il 24 ottobre 1519 dal priore del convento di S. Domenico di Bologna fu vietata la vendita degli scritti di Spina sull’anima (Bologna, Archivio del convento patriarcale di S. Domenico, Liber consiliorum conv. S.P. Dominici Bonon., c. 36 A). Gli effetti di questo provvedimento furono annullati dal decreto del 16 ottobre 1526 con cui il maestro generale Francesco Silvestri gli concesse la più ampia facoltà di pubblicare (Archivum generale Ordinis praedicatorum (AGOP), IV.20, c. 44v): era il segno che l’indirizzo del domenicano pisano, ispirato all’esigenza di coniugare alla riforma morale della Chiesa la più decisa lotta ai suoi nemici interni ed esterni, corrispondeva ora agli orientamenti controriformistici che tendevano a prevalere. Da allora in poi la carriera di Spina non incontrò più ostacoli: nel 1530 gli fu affidata la reggenza dello Studio di Bologna (Bologna, Biblioteca del convento patriarcale di S. Domenico, ms. II.21.000, p. 11), l’anno seguente ricoprì la carica di vicario generale dell’Ordine (Bullarium..., a cura di P.A. Bremond, IV, 1732, pp. 490 s.), nel 1532 fu provinciale di Terra Santa e nel 1535 provinciale di Calabria (AGOP, IV.24, c. 13v); infine nel 1536 venne chiamato alla cattedra di teologia in via S. Thomae dell’Università di Padova, che tenne sino al 1545 (Contarini, 1769).
In due volumi di Opuscula, pubblicati nel 1535 a Venezia da Stefano Sabiense, Spina raccolse i suoi scritti editi e inediti del precedente decennio che trattavano i più vari argomenti e la maggior parte dei quali erano intesi a confutare opinioni del Gaetano. Nella dedica del primo volume al cardinal Grimani, in cui dichiarava l’unità di ispirazione dei suoi scritti e ne affermava il valore provvidenziale sullo sfondo della «rovinosa peste degli immondi luterani» (Opuscula..., cit., c. Iv), confessava che, essendo De Vio morto l’anno prima, poteva finalmente rivelare chi fosse il bersaglio dei propri attacchi.
Nel 1545 fu nominato maestro del Sacro Palazzo apostolico da papa Paolo III, che lo volle inoltre tra i consulenti del Concilio di Trento. In relazione alla controversia sorta sul tema della concezione della beata Vergine nella quinta sessione del Concilio promosse una nuova edizione dell’opera che sull’argomento Juan de Torquemada aveva pubblicato nel 1437. Compilò inoltre un elenco di 50 errori del confratello Ambrogio Catarino Politi, egli pure impegnato nelle discussioni conciliari (J. Schweizer, Ambrosius Catharinus Politus und Bartholomeus Spina, in Römische quartalschrift, XXII (1908), pp. 3-16). Infine manifestò l’intenzione di scrivere una confutazione del De revolutionibus orbium coelestium di Niccolò Copernico, compito che adempì il suo confratello e amico Giovanni Maria Tolosani (E. Garin, Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo, Roma-Bari 1975, pp. 280, 283).
Spina era infatti ormai gravemente malato; morì a Roma nel 1546 o nel 1547.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivum generale Ordinis praedicatorum; Bologna, Biblioteca del convento patriarcale di S. Domenico, ms. II.21.000: Series cronologica admodum Reverendorum patrum qui magisterio Studii functi sunt caeterorumque qui in almo Studio generali Bononiensi Ordinis praedicatorum cathedras moderati sunt. Quotquot in Regestis eiusdem Studii generalis ab anno 1458 reperiri potuerunt; Bullarium Ordinis praedicatorum, a cura di P.A. Bremond, IV, Romae 1732; Acta capitulorum generalium Ordinis Praedicatorum, IV, Romae 1901; Registrum litterarum fratri Thomae De Vio Cajetani O. P., a cura di A. De Meyer O. P., Romae 1938.
Utili profili biografici, non esenti da errori, si leggono in J. Quetif - J. Echard, Scriptores Ordinis praedicatorum recensiti..., I-II, Lutetiae Parisiorum 1719-1721, II, pp. 126 s.; G.B. Contarini, Notizie storiche circa li pubblici professori nello Studio di Padova, scelti dall’ordine di San Domenico, Venezia 1769, pp. 33-39; Memorie istoriche di più uomini illustri pisani, I-IV, Pisa 1790-1792, III, pp. 269-287 (l’elogio di Spina è di S. Canovai). L’elenco più completo delle opere di Spina è nel profilo citato di J. Quetif - J. Echard; la maggior parte di esse è raccolta nei tre volumi di Opuscula citati nel testo (nel secondo volume degli Opuscula del 1535 sono pubblicati anche i tre interventi nella polemica sulla stregoneria, di cui sono irreperibili le prime edizioni). Per la parte che Spina giocò nella discussione sull’immortalità dell’anima: É. Gilson, Autour de Pomponazzi. Problématique de l’immortalité de l’âme en Italie au début du XVIe siècle, in Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age, XXVI (1961), pp. 163-279; M.L. Pine, Pietro Pomponazzi. Radical philosopher of the Renaissance, Padova 1986, pp. 134 s., 175-194. Sull’esperienza inquisitoriale e sugli scritti relativi alla stregoneria: P. Burke, Witchcraft and magic in Renaissance Italy: Gianfrancesco Pico and his “Strix”, in The damned art. Essays in the literature of witchcraft, a cura di S. Anglo, London 1977, pp. 32-52; M. Bertolotti, Le ossa e la pelle dei buoi. Un mito popolare tra agiografia e stregoneria, in Quaderni storici, XIV (1979), 41, pp. 470-499; Id., Pomponazzi tra streghe e inquisitori. Il De incantationibus e il dibattito sulla stregoneria intorno al 1520, in Pietro Pomponazzi. Tradizione e dissenso. Atti del Congresso internazionale..., Mantova... 2008, Firenze 2010, pp. 385-405; utili informazioni in M. Tavuzzi, Renaissance inquitors. Dominican inquisitors and inquisitorial districts in Northern Italy 1474-1527, Leiden-Boston 2007, pp. 41, 186, 200-202.