SERMARTELLI, Bartolomeo
– Nacque a Firenze il 12 agosto 1532 da Michelangelo di Bartolomeo di Francesco, detto de’ Libri, e da Elisabetta di Giovanni di Domenico Sermartelli (il contratto di matrimonio dei genitori data 18 maggio 1531).
Ebbe almeno due sorelle, Maria e Caterina. In assenza di un nome di famiglia ereditato dal padre, Bartolomeo assunse il cognome materno. I Sermartelli provenivano dal ceto artigianale ed esercitavano il mestiere di legnaiuoli. Nelle prime sottoscrizioni di libri stampati da Bartolomeo il cognome figura nelle forme seguenti: «Bartolomeo di Michelangelo S.M.», «Bartolomeo S.M.», «Bartolomeo Ser Martelli» e poi fu adottato nella forma univerbata Sermartelli.
Bartolomeo de’ Libri, cosiddetto per la sua attività di stampatore, fu attivo a Firenze tra il 1482 e il 7 agosto 1511, data della sua ultima opera certa, il Libro da Compagnia ovvero Fraternita dei Battuti. Il figlio Michelangelo proseguì l’attività paterna a Firenze tra il 1515 e il 1535, tra il 1519 e il 1524 lavorò anche a Siena su commissione del libraio Giovanni di Alessandro Landi. Morì il 14 ottobre 1542, qualche mese dopo essersi iscritto all’Arte dei medici e speziali.
Il primo a sottoscriversi nelle stampe con il cognome Sermartelli fu Bartolomeo di Michelangelo, che si deve considerare il fondatore dell’azienda con questa denominazione. Le prime edizioni con il nuovo nome risalgono al 1553.
Anteriormente a questa data si colloca l’episodio della stampa clandestina della versione italiana della Nicodemiana di Giovanni Calvino, opera di Ludovico Domenichi, impressa senza note tipografiche a Firenze nel 1550 o 1551. La tiratura fu sequestrata e distrutta in un autodafé davanti a S. Maria del Fiore nel gennaio 1552, il 26 febbraio Domenichi fu condannato al carcere perpetuo nella fortezza nuova di Pisa, in agosto la pena fu commutata in domicilio coatto di un anno nel convento domenicano di S. Maria Novella a Firenze. Il 6 settembre gli inquisitori concessero la scarcerazione completa, ma l’episodio segnò l’inizio della nuova politica intransigente di Cosimo I in religione, dopo la tolleranza garantita fino ad allora. Per avere eseguito la stampa fu condannato un Bartolomeo, indicato negli atti dell’Inquisizione come di diciotto-diciannove anni quando fu esaminato (febbraio 1552) e descritto come «mendico», «povero», «ignorantissimo», il quale se la cavò con un giro per la città a cavalcioni di un asino con una delle copie appesa al collo, perché la sua responsabilità fu considerata modesta. I caratteri con cui fu stampata la Nicodemiana (unico esemplare superstite, con data 1551, nella Universitätsbibliothek di Erlangen-Nürn-berg) sono gli stessi con cui furono impressi I Germini sopra quaranta meritrice della città di Fiorenza anonimi (1553) e i Quattro canti della guerra di Siena di Laura Pieri (1554), entrambi con sottoscrizione «Bartolomeo di Michelangelo S.M.». La tendenza della critica (Bertoli, 2001; Garavelli, 2004) è perciò di identificare il giovane stampatore Bartolomeo con Sermartelli, agli esordi alquanto sprovveduti della sua attività di stampatore, che non aveva ancora adottato il cognome materno.
In principio Sermartelli ebbe abitazione e bottega in via nuova di San Giuliano presso al Castello, cioè la fortezza da Basso. Il 9 marzo 1554 prese in affitto dal capitolo di S. Lorenzo nel Popolo di S. Maria Novella una bottega nella strada detta borgo S. Lorenzo. Nel 1555 si iscrisse all’Arte dei medici e speziali dichiarando di avere bottega in via de’ Ferrivecchi, oggi parte di via Strozzi, che confluiva in Mercato Vecchio. Ma già nel 1556 aveva bottega in via del Vescovato. Finalmente, nel 1564 approdò in via della Condotta.
Nel primo decennio la produzione fu scarsa e la presenza nel mercato fiorentino marginale. Lo dimostra anche la società tipografico-editoriale stretta con Taddeo di Bartolomeo Pavoni e compagni nel 1561-62. Pavoni, libraio bresciano attivo a Firenze dalla metà degli anni Cinquanta, non era una figura di primo piano. Con il nome congiunto stamparono due edizioni del Trattato de gli uffici communi tra gli amici superiori et inferiori di Giovanni Della Casa con una marca raffigurante il Tempo come vecchio con barba e ali che si appoggia a un tavolo con le rotelle.
All’inizio Sermartelli utilizzò l’attrezzatura ereditata dai predecessori, che doveva essere rimasta inutilizzata per un decennio, considerando che egli cominciò a stampare dieci anni dopo la morte del padre: i caratteri e alcune xilografie risalgono addirittura alla officina di Bartolomeo de’ Libri e dunque erano usurati. Solo dal 1565 si dotò di nuove serie di caratteri, che gli permisero di migliorare la qualità della stampa e raggiungere livelli che fanno di lui uno dei più importanti stampatori fiorentini della seconda metà del XVI secolo, accanto ai Giunti e a Giorgio Marescotti.
Adottò come marca la tartaruga che tiene sul guscio un albero con una vela rigonfia con il giglio fiorentino, in cornice figurata in alcune esecuzioni accompagnata dal motto Festina lente. Venne usata per la prima volta nel 1568 accanto a una versione senza giglio che rimase in uso ma minoritaria; in alternativa, fu impiegato lo stemma mediceo con corona ducale, universalmente in uso presso i tipografi fiorentini dell’epoca. La presenza del giglio nella marca sermartelliana fu oggetto di contesa con i Giunti, che lo adoperavano come emblema da oltre sessant’anni. Sulla questione fu richiesto il parere del giurista Antonio Ciofi (1521-1576), professore dello Studio di Pisa, probabilmente su iniziativa dei Giunti. Il consilium non è datato, ma è plausibile risalga a subito dopo l’apparizione delle prime stampe con la nuova marca, e fu favorevole ai Giunti, ma non ebbe alcun effetto pratico, poiché la marca con la testuggine e il giglio rimase l’emblema riconoscibilissimo della tipografia sermartelliana per più generazioni.
La produzione di Sermartelli ammonta a trecentoventi titoli fino al 1600 (dati Edit16); negli anni successivi il suo nome non appare più nelle sottoscrizioni, sostituito da quelli del figlio e dei nipoti. Apprezzato e favorito dalla dinastia regnante, la sua produzione spaziò in tutti i campi. In particolare, Sermartelli impresse autori fiorentini della tradizione, recenti e contemporanei. Tra di essi si segnalano Pietro Angeli, Scipione Ammirato, Francesco Cattani da Diacceto, Giovanni Maria Cecchi, Giovanni Battista Gelli, Pietro Vettori, Benedetto Varchi, Leonardo Salviati. Sono del 1562 Canzone a ballo composte dal Magnifico Lorenzo de’ Medici et da M. Agnolo Poliziano e altri authori , del 1574 il Morgante di Luigi Pulci, del 1576 l’editio princeps della Vita nuova di Dante con quindici canzoni e la Vita di Dante di Giovanni Boccaccio. L’ampia messe di opere celebrative dei principi del casato mediceo e le dediche a personaggi della famiglia testimoniano la vicinanza alla corte. Uscirono nel 1578 la Vita di Cosimo I di Baccio Baldini, nel 1584 Le storie della città di Firenze di Iacopo Nardi, con dedica ad Alessandro de’ Medici vescovo di Firenze e frontespizio in bicromia. Interessante è la miscellanea Alcune composizioni di diversi autori in lode del ritratto della Sabina. Scolpito in marmo dall’eccellentissimo M. Giovanni Bologna posto nella piazza del Serenissimo Gran Duca di Toscana (1583), raccolta di versi volgari e latini sulla scultura del Giambologna collocata nella Loggia dei Lanzi in piazza della Signoria, cui fu dato il titolo di Ratto delle Sabine da Vincenzio Borghini. Stampò leggi, bandi, provisioni, gabelle e altre pubblicazioni dello Stato toscano; oltre a svolgere anche l’attività di libraio, impresse per altri editori fiorentini: Giorgio Marescotti ricorse a lui per le sue prime edizioni e anche in seguito.
Morì a Firenze l’11 aprile 1604.
Dal 1591 gli successe nella direzione dell’azienda il figlio Michelangelo che proseguì l’attività nel solco paterno. In una edizione del 1593 figura l’indirizzo «appresso all’Arcivescovado» dell’officina di Bartolomeo, ma nei Cinquanta sermoni sopra il santissimo sacramento di Ludovico Agostini del 1596 la libreria della Testuggine è associata all’indirizzo «rincontro a S. Apollinari». L’11 ottobre 1603 ottenne il privilegio decennale per la stampa del Libro degli offitii delle Compagnie dei secolari secondo il Breviario riveduto ultimamente da Papa Clemente VIII; prevalse sui Giunti che avevano chiesto lo stesso privilegio dichiarando di avere già acquistato la carta e predisposto nuovi caratteri apposta per eseguire l’edizione. Michelangelo si offrì anche di pagare i fogli che i concorrenti avessero già tirato, sapendo probabilmente che non era ancora stato prodotto nulla.
Il libro apparve per i tipi di Michelangelo nel 1604 con il titolo Libro da compagnie con li tre ufizii continovati, e con le commemorazioni de’ santi, delle domeniche, e giorni feriali dell’anno: secondo il nuovo breviario, e messale. Riformati per ordine del sagro Concilio di Trento; e confermati da papa Pio quinto, et ultimamente riveduti per ordine della santità di N.S. papa Clemente ottavo.
Michelangelo stampò fino al 1608 (impresse il Panegyricus del pittore belga Daniele Eremita per le nozze del principe Cosimo de’ Medici con Maria Maddalena d’Austria); poi solo i Decreta synodi dioecesanae Florentinae. Habitae in metropolitana ecclesia 6 Kal. Iunii 1610 con il suo nome nello stesso 1610, ma forse già opera dei figli Bartolomeo, Marco e Antonio. Essi cominciarono a sottoscrivere dai primi anni del XVII secolo e proseguirono l’attività fino al 1640, figurando talvolta separatamente talvolta insieme, fino al prevalere della dicitura «Officina» o «Typographia Sermartelliana». Marca tipografica rimase fino alla fine dell’attività la tartaruga con la vela.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca Moreniana, Manoscritti, 214: D. Moreni, Annali dei Sermartelli; A. Ciofi, Consiliorum sive responsorum iuris... liber primus atque secundus, Venetiis 1583, cc. 35r-36v, cons. XVI; B. Maracchi Biagiarelli, I Sermartelli, discendenti di Bartolomeo de’ Libri. A proposito di un «Libro di Compagnia», in La Bibliofilia, LXIII (1961), pp. 281-288; R. Ridolfi, Briciole bibliologiche, in Contributi alla storia del libro italiano. Miscellanea in onore di Lamberto Donati, Firenze 1969, pp. 275-286 (in partic. pp. 282-286); D.E. Rhodes, Postille alla carriera di B. S., in La Bibliofilia, LXXXV (1983), pp. 41-48; G. Zappella, Le marche dei tipografi e degli editori italiani del Cinquecento, Milano 1986, ad ind.; F. Ascarelli - M. Menato, La tipografia del ’500 in Italia, Firenze 1989, pp. 83 s.; G. Bertoli, Documenti su Bartolomeo de’ Libri e i suoi primi discendenti, in Rara volumina, 2001, n. 1-2, pp. 19-56 (in partic. pp. 40-45, 55 s.); E. Garavelli, Lodovico Domenichi e i “Nicodemiana” di Calvino. Storia di un libro perduto e ritrovato, Manziana 2004, ad ind.; P. Maffei, I Giunti, B. S. ed il giglio fiorentino in un parere di Antonio Ciofi in tema di marche editoriali, in Panta rei. Studi dedicati a Manlio Bellomo, a cura di O. Condorelli, III, Roma 2004, pp. 455-471; Edit16. Censimento nazionale delle edizioni del XVI secolo, a cura dell’Istituto centrale per il Catalogo unico, http://edit 16.iccu.sbn.it/ web_iccu/.