RINALDINI, Bartolomeo
RINALDINI, Bartolomeo (Bartolomeus, Bartholomeus, Bartalomeus). – Bartolomeo figlio di Renaldino (Renaldini, Rinaldini) è, come la grandissima maggioranza dei componenti del ceto dominante dei Comuni cittadini italiani nel passaggio tra XII e XIII secolo, una figura refrattaria a un compiuto profilo biografico: che sia comprensivo cioè delle date di nascita e di morte, dei matrimoni, dei modi e luoghi della formazione intellettuale.
Ma l’anno di nascita, se non la data di mese e giorno, di Bartolomeo si desume dal proemio del liber iurium senese del quale diremo, e riconduce al 1171. E la sua memoria vive in tale libro, un monumento solenne per la storia di Siena, promosso nel 1204 al tempo del suo podestariato. Egli era stato eletto podestà del Comune di Siena nell’ottobre dell’anno precedente, e avrebbe ricoperto l’ufficio ancora nel 1205 e poi nel 1209.
Come nella gran parte delle città comunali italiane, il discorrere da un organismo di vertice configurato in un collegio di consoli al governo di un’unica persona, il podestà (potestas, al femminile), si realizzò a Siena tra la fine del XII secolo e gli inizi del Duecento. Altrettanto conforme alla storia generale dei Comuni fu l’oscillazione, durata alcuni anni, fra regimi consolari e regimi podestarili, come vi fu oscillazione nella scelta di un podestà cittadino o di un forestiero: entro la prima metà del Duecento l’opzione del podestà, e del suo essere forestiero, si confermò dovunque. Tanto occorreva ricordare per dire come Bartolomeo fu protagonista di una delle prime esperienze del sistema podestarile. Era stato preceduto nell’ufficio, nel 1199, da un cittadino di Lucca, cui seguirono nell’immediato podestà senesi, di nobile stirpe: un Malavolti nel 1200 e nel 1201, poi dopo due anni di ripresa del collegio consolare (un collegio del quale Bartolomeo fece parte, nel 1202) un nuovo esponente dell’antica nobiltà cittadina: appunto Bartolomeo di Rinaldino.
Se l’ascendenza aristocratica di Bartolomeo è indubitata, e lo vede appartenente alla dinastia dei Maconi, non è dato tuttavia di ricostruire con puntualità onomastica e cronologica una linea di filiazioni che lo colleghi al suo illustre avo, Macone, primo a essere attestato quale console di Siena, nell’anno 1125, all’interno di un collegio del quale non si conoscono gli altri componenti. L’ipotesi più semplice è che il Rinaldino padre di Bartolomeo fosse figlio di Macone, ma la struttura discontinua e porosa della documentazione senese del XII secolo non consente un riscontro puntuale. Certo Bartolomeo appartenne presto al ceto di governo, poiché lo conosciamo far parte del collegio del 1194, dunque quando era nei suoi primi vent’anni, dopo essere stato eletto nel dicembre del 1193, accanto a un Malavolti e ad altri esponenti dell’aristocrazia consolare senese. Fra queste date e il 1203, l’anno in cui Bartolomeo venne eletto podestà per l’anno seguente, una serrata sequenza lo vede console ancora nel 1197, poi nel 1202.
I governi consolari ai quali Bartolomeo appartenne ci sono noti perché acquirenti a più riprese di rilevanti immobili cittadini, promotori e partecipi di un impegnativo patto con il vescovo di Volterra, poi di un trattato di alleanza con il Comune di Perugia e di un successivo trattato con il Comune di Orvieto, destinatari del giuramento di obbedienza di Ugo di Valcortese, esponente della dinastia territoriale dei Berardenghi, e in seguito dei suoi consorti in quell’area, destinatari poi di un lodo arbitrale che sanciva la subordinazione a Siena di un’altra grande dinastia del territorio, gli Ardengheschi, nonché riceventi un giuramento di alleanza degli Scialenghi, ancora una compagine aristocratica del contado. E li sappiamo anche coinvolti, pur in un aspetto marginale e particolare, in quell’antica vertenza di giurisdizione ecclesiastica tra Siena e Arezzo che aveva veduto nel 1125 un ruolo protagonistico di Macone, l’avo di Bartolomeo.
Insignito dell’ufficio podestarile, Bartolomeo fu parte attiva in stipulazioni di rilievo, come il patto del novembre del 1203 relativo alla dogana del sale di Grosseto e il patto del marzo del 1205 stretto con l’abate di San Salvatore del Monte Amiata per assicurare ai senesi il controllo del castello di Montelaterone, controllo formalizzato poi dal giuramento che i residenti di quel castello prestarono nelle mani degli ambasciatori inviati da Bartolomeo; nel febbraio del 1204 e nel gennaio del 1205 egli aveva ricevuto alcune quietanze per indennizzi versati dal Comune per danni di guerra, e nell’aprile del 1205 fece convenire una serie di testimoni per comprovare l’appartenenza di Montepulciano al contado di Siena.
Se questi interventi rientrano in una normale prassi di governo e in un ruolo di alta rappresentanza del Comune, l’iniziativa di promuovere il primo liber iurium cittadino, una raccolta dei documenti già in pergamena sciolta e adesso trascritti integralmente in un codice, conferisce a Bartolomeo una fisionomia di spicco nel paesaggio del ceto dominante senese del primo Duecento. Il cartulario senese, che si sarebbe detto poi il Caleffo Vecchio, appartiene a una prima generazione di tali scritture pubbliche, i libri iurium. Deve essere rilevata la consapevolezza con cui Bartolomeo celebrò l’iniziativa, facendo precedere la serie delle scritture da un proemio, composto certo con l’ausilio di qualche persona di buona cultura retorica, un testo di carattere solenne e che rappresenta uno degli esempi più importanti della cultura letteraria e retorica cittadina in questi anni segnati dall’affermazione delle artes dictandi e dalle connotazioni dei podestà come esperti nell’eloquio e nelle lettere. E non è privo di interesse ricordare come l’avo di Bartolomeo, il console Macone del 1125, fosse ricordato ancora a grande distanza di tempo per l’allocuzione che aveva tenuto ai suoi concittadini in un momento particolarmente drammatico del conflitto tra le Chiese di Siena e di Arezzo per la giurisdizione su alcune chiese pievane e monastiche del territorio.
All’incipit del proemio del Caleffo Vecchio: «Mater equitatis, ratio, propriis contenta limitibus, mundo leges imposuit et mores instituit» faceva seguito un’evocazione del potere da esercitarsi a opera di «rectores et domini» ispirati alla «iustitia», quindi l’indicazione di Bartolomeo quale pienamente idoneo a un simile ruolo di comando e in quanto tale eletto all’unanimità dal «Senensis populus», nell’età di trentadue anni, alla carica di «rector et potestas» (Il Caleffo Vecchio, a cura di G. Cecchini, I, 1931, p. 3). Si celebrava poi l’impresa di raccogliere i documenti pubblici del Comune, sino ad allora abbandonati e dispersi, in un unico libro, per la cura di «discreti» giudici e notai e del camerario Ranieri di Bernardino. Seguivano l’indice delle rubriche entro le quali i documenti erano compresi e un’epistola dettata in prima persona da Bartolomeo, nella quale egli dava nuovamente ragione dell’importanza dell’impresa esortando i suoi successori alla prosecuzione. Dopo una prima confezione in libro compiuta nel 1204, il Caleffo venne ripreso con nuovi quaderni l’anno seguente e introdotto da un più conciso proemio in prima persona.
Nel 1206 succedette a Bartolomeo nell’ufficio podestarile un altro esponente dell’aristocrazia cittadina, Iacob di Ildibrandino. Questi promosse l’iniziativa della costruzione di una torre in un castello strategico della Maremma, Torri, facente parte del dominio dei signori di Gello, e Bartolomeo fu coinvolto nel febbraio di quell’anno nella complessa stipulazione con quei nobili, essendo istituito custode della torre per conto del Comune di Siena, con clausole intese però a salvaguardare i diritti della consorteria.
Si era realizzata nel frattempo a Siena, ancora in analogia con le altre realtà comunali italiane, una divaricazione tra la componente aristocratica, la militia, e i cittadini inseriti nelle arti e in societates non composte da nobili. Bartolomeo appartenne ovviamente al segmento nobiliare e nell’autunno del 1208 lui e un altro esponente del ceto, Guido Marescotti, rivestivano la carica di domini militum: in tale veste ricevettero l’atto di subordinazione di un ramo dei Berardenghi e stipularono un patto di solidarietà con il Comune di Poggibonsi – quest’ultimo nel quadro del contrasto, ormai in essere da molti decenni, tra i Comuni di Siena e di Firenze, e che vedeva in quel 1208 per Siena lo sfortunato esito di un’importante fase di guerra.
L’anno seguente Bartolomeo ricoprì nuovamente l’ufficio di podestà. In rappresentanza del Comune ottenne dagli esponenti di un clan familiare di Montepulciano possessore di immobili in un’area centrale di Siena la promessa di non farne mai alienazione. Poi ricevette un atto di rinunzia al risarcimento dei danni subiti da un alleato dei senesi nella guerra recente, poi una quietanza il cui oggetto non è ben chiaro e infine l’acquisto, per un prezzo assai elevato, di un fondaco situato in due luoghi strategici della città. Nel mese di agosto una stipulazione che assicurava ai senesi il controllo del castello di Castiglione sull’Ombrone (oggi Castiglion del Bosco, nel territorio comunale di Montalcino) venne concordata nella casa di Bartolomeo (cosa normale, essendo di là da venire i palazzi destinati alle autorità e agli uffici del Comune).
Dopo il 1209 le notizie di Bartolomeo si fanno un poco più sporadiche, pure nel quadro di una documentazione senese che è per questi anni abbastanza serrata. Certamente non rivestì più l’ufficio podestarile, che dal 1212 sarebbe stato ricoperto soltanto da forestieri. Nel giugno del 1213, essendo podestà Ubaldo Visconti di Pisa, Bartolomeo prestò insieme a Iacob di Ildibrandino (colui che gli era succeduto nell’ufficio nel 1206) un’impegnativa malleveria per l’eventuale penalità imposta ai nobili Cacciaconti, che si sottomettevano adesso al Comune di Siena, nel caso di loro inadempienza. Bartolomeo fu poi tra i testimoni del patto di sottomissione dei Cacciaconti, e ancora in quell’estate del 1213 fu testimone degli analoghi patti degli Ardengheschi. In un medesimo ruolo e in un simile contesto (la sottomissione dei signori di Montorsaio) Bartolomeo sarebbe stato presente quattro anni dopo, nell’aprile del 1217. Due anni prima egli era stato fra i testimoni della promessa fatta dal podestà senese Giovanni Cocchi da Viterbo di tutela del monastero di San Salvatore dell’Isola. L’atto fu rogato nell’orto retrostante il palazzo di Iacob di Ildibrandino. Ma nel dicembre del 1218 era di nuovo nella casa di Bartolomeo, che adesso ospitava il parmense Pagano de Gilio, appena eletto podestà di Siena, venivano ricevuti gli ambasciatori di Asciano in vista delle formalizzazione dell’obbedienza a Siena di quel castello.
Ormai cinquantenne, Bartolomeo assunse il podestariato dell’importante Comune valdelsano di Poggibonsi e in tale veste partecipò alle stipulazioni che sancivano un’alleanza tra Poggibonsi e Siena in funzione antifiorentina. Era il luglio del 1221. L’alleanza comportava anche la regolazione di questioni di confine in Val d’Elsa, e nel settembre fra i testimoni per la definizione dei confini vi era uno scudiero di Bartolomeo, tale Guineldo. Poi, il 2 ottobre, Bartolomeo era fra i testimoni in un patto cruciale per l’affermazione della sovranità senese in Maremma, stretto fra i cittadini e i conti Aldobrandeschi.
Nel 1230 un figlio di Bartolomeo, Iacopo, fu ambasciatore di Siena presso il Comune di Montalcino, in un contesto politico da sempre assai difficile, e andò ancora, con scudiero, palafreno e ronzino, a Chiusure e ad Asciano, e nella Scialenga per organizzare l’esercito senese predisposto a Montepulciano, e l’anno seguente si recò, ancora in missione per conto del Comune, a Poggibonsi. Nell’agosto del 1233 ricevette dalle autorità comunali e dagli uomini di Montalcino il giuramento di non compiere atti ostili al Comune di Siena o stringere alleanze contro di esso. Nei testi di questi anni Iacopo non è detto orfano del padre, ma il lungo vuoto di attestazioni nei dieci anni fra il 1221 e il 1230 fa ritenere che Bartolomeo fosse morto, o che non fosse nelle condizioni idonee a prendere parte a pubblici uffici o a pubbliche imprese.
Fonti e Bibl.: F. Schneider, Regestum Senense. Regesten der Urkunden von Siena, I, Bis zum Frieden von Poggibonsi, 713-30 Juni 1235, Roma 1911, nn. 363-365, 381, 399, 402, 404, 405, 408, 410, 420, 421, 436, 437, 446, 449, 450, 452, 548, 559, 596, 598, 601, 602, 942. La maggioranza di questi documenti venne trascritta nel liber iurium promosso da Bartolomeo nel 1204 e si legge dunque in Il Caleffo Vecchio del Comune di Siena, I-III, a cura di G. Cecchini, Siena 1931-1940 (i voll. I-II anche Firenze 1932-1934), IV-V, a cura di M. Ascheri - A. Forzini - C. Santini, Siena 1984-1991: sono, nel vol. I, i nn. 22, 45, 47, 56, 57, 59, 61, 74 e 76 (questi non regestati da Schneider), 77 (di questo Schneider diede solo notizia nella nota del n. 420), 78-82, 84 e 85 (questi non regestati da Schneider), 87, 91, 118, 121, 128, 136, 137, 140, 141, 158, 161, 166-168, 172, 173; nel vol. II i nn. 337 (il figlio Iacopo, a. 1233) e 389. Il proemio, la successiva epistola e il proemio della seconda parte si leggono nel vol. I, alle pp. 3 s., 6 e 123. Il vol. V dell’opera contiene, alle pp. 5-81, il saggio di P. Cammarosano, Tradizione documentaria e storia cittadina. Introduzione al “Caleffo Vecchio” del Comune di Siena, edito anche separatamente in Siena 1988, dove si tratta dell’opera di Bartolomeo e del suo contesto storico. Per tale contesto e per il Caleffo Vecchio si veda anche P. Cammarosano, Siena, Spoleto 2009, segnatamente le pp. 33 s., 98 s. e 108. Al proemio del Caleffo Vecchio sono dedicate le importanti pagine di E. Artifoni, Retorica e organizzazione del linguaggio politico nel Duecento italiano, in Le forme della propaganda politica nel Due e nel Trecento, Convegno internazionale..., Trieste... 1993, a cura di P. Cammarosano, Roma 1994, pp. 157-182 (in partic. pp. 174-177). Oltre che nel documento del 1233 citato sopra, il figlio di Bartolomeo, Iacopo, è menzionato in alcune poste dei libri di entrata e uscita del Comune di Siena: le più rilevanti sono in Libri dell’Entrata e dell’Uscita della Repubblica di Siena detti del Camarlingo e dei Quattro Provveditori della Biccherna, a cura della Direzione del R. Archivio di Stato in Siena, III, Siena 1917, pp. 253, 304, 306, IV, 1926, p. 173.