RANCATI, Bartolomeo (in religione Ilarione).
– Nacque a Milano il 2 settembre 1594 da Baldassarre e da Margherita de’ Bagni. Nulla sappiamo dei suoi primi anni, se non che fu allievo dei gesuiti del collegio milanese di Brera e che vestì l’abito cistercense, assumendo il nome religioso di Ilarione, il 10 marzo 1608 presso l’importante monastero di S. Maria di Chiaravalle. Passò poi a studiare il greco antico e l’ebraico, oltre al francese e allo spagnolo, presso il monastero di S. Ambrogio Maggiore di Milano.
Nel 1614 si recò a completare la formazione in teologia presso l’Università di Salamanca, dove ebbe tra i docenti l’illustre confratello Angel Manrique e strinse duratura amicizia con il compagno di studi e frate minore Luke Wadding. Nel 1618 ritornò a S. Ambrogio per insegnarvi teologia, ma già l’anno seguente fu chiamato come docente nello Studio monastico di S. Croce in Gerusalemme a Roma. Nell’ambiente dell’Urbe egli poté anche approfondire la conoscenza dell’ebraico, del maronita, dell’arabo e del siriaco. La sua preparazione gli valse la nomina nella congregazione incaricata della revisione del breviario siriaco dei maroniti e, nel novembre 1622, nella commissione incaricata dalla congregazione di Propaganda Fide dell’edizione della Bibbia in lingua araba.
Legatosi ai Barberini, divenne qualificatore della congregazione del S. Uffizio (novembre 1624), consultore della congregazione dei Riti (1628) e infine del S. Uffizio, nel 1629. In quello stesso anno Urbano VIII lo inserì tra i membri della congregazione per la riforma del Breviario, insieme a Wadding, e, nel 1631, di quella incaricata della revisione del Messale. Nel 1632 fu chiamato, con il maestro del Sacro Palazzo e di nuovo con Wadding, a far parte di una commissione di teologi incaricata di esaminare dubbi provenienti dalle missioni in Giappone.
Nel frattempo aveva assunto anche importanti incarichi all’interno della Congregazione di S. Bernardo, come abate del monastero di S. Croce (1626), e al servizio del pontefice, come visitatore e commissario dell’eremo di Camaldoli (1627). Nell’ottobre 1634, fu incaricato dalla S. Sede di condurre a compimento l’unione fra le due Congregazioni camaldolesi (quella dell’eremo di Camaldoli e quella di Monte Corona).
A coronamento della sua carriera monastica, nel capitolo generale di Ferrara del 1635, egli fu eletto presidente della Congregazione cistercense di S. Bernardo in Italia, sostanzialmente autonoma dall’autorità del generale dell’Ordine, nonché abate del monastero di S. Ambrogio di Milano. Il favore dei Barberini nei suoi confronti si manifestò anche nella decisione del generale dell’Ordine cistercense e abate di Cîteaux, Pierre Nivelle, che, nel maggio 1635, su indicazione del cardinale nipote di Urbano VIII, nominò Rancati procuratore generale dell’intero Ordine a Roma. Per volontà del medesimo pontefice, egli poté cumulare tale importante carica con la presidenza della sua Congregazione.
Quale procuratore dell’Ordine cistercense Rancati si trovò al centro di una delicata vicenda politica. Il cardinale Armand-Jean Du Plessis de Richelieu, ministro favorito di re Luigi XIII, coniugando l’accumulazione di redditi abbaziali e le ampie possibilità di patronage legate al controllo dei più antichi e ricchi ordini monastici di Francia, aveva ottenuto l’abbaziato di Cluny (1629). Nel novembre 1635, il porporato, dopo aver spinto alle dimissioni di Nivelle – ricompensate peraltro con la nomina a vescovo di Luçon – era riuscito a farsi eleggere alla guida dell’Ordine cistercense nel nome della riforma interna e della stretta osservanza. Si era aperta così una fase difficilissima, in quanto la S. Sede non aveva riconosciuto la validità dell’elezione, essendo timorosa delle gravissime ripercussioni di tale atto sulla già precaria unità dell’Ordine.
Tornato a Roma nel 1636, Rancati ebbe un ruolo di primo piano, poiché, in qualità di procuratore generale, redasse nel 1637 un memoriale per la congregazione concistoriale, nel quale sottolineò che il generalato di Richelieu non sarebbe stato riconosciuto né obbedito dai superiori cistercensi al di fuori della Francia. Ciò avrebbe senz’altro aperto la strada a uno scisma, con il conseguente pericolo che fossero creati «tanti Generaletti, quanti sono li stati de Prencipi, ne quali quest’Ordine fiorisce, che sarà la dissolutione totale di questa Religione» (Napoli, Biblioteca nazionale, Brancacciano, I.A.1, c. 1r).
Al contempo la presidenza della Congregazione di S. Bernardo fu segnata per Rancati da gravi tensioni politiche e da aspri scontri fazionali, a partire dalla decisione di dotare la Congregazione di uno Studio universitario in teologia e filosofia nel monastero di S. Croce a Roma. La Congregazione era a quel tempo costituita da 15 monasteri suddivisi in due sole province: quella lombarda (coincidente con lo Stato di Milano) e quella toscana (fra il Ducato di Parma, il Ducato di Savoia, la Repubblica di Venezia e lo Stato della Chiesa). Nel 1636, il gran cancelliere dello Stato di Milano, Antonio Briceño Ronquillo, riferì al marchese di Castel Rodrigo, Manuel de Moura y Corte Real ambasciatore del re cattolico a Roma, le attività sospette di Rancati il quale era entrato in urto con alcuni importanti membri della sua Congregazione, fra i quali l’abate Giovanni Francesco Castiglioni. Gli appunti mossi a Rancati – dietro i quali è facile intravedere la mano della fazione monastica avversa – riguardavano l’avere egli nominato vicepresidente il veneziano Sebastiano Contarini e la conduzione personalistica della Congregazione, senza rendere gli abati dei monasteri partecipi delle sue decisioni. Infine egli era accusato di disporre in maniera arbitraria delle rendite di S. Ambrogio e degli altri monasteri dello Stato di Milano.
Nel gennaio 1637, il governatore dello Stato di Milano, Diego Messía de Guzmán marchese di Leganés, esortò il marchese di Castel Rodrigo a opporsi con tutte le sue forze all’azione di Rancati: in primo luogo, era stato calcolato che, dal 1626 sino a quel momento, egli avesse fatto inviare a Roma dai monasteri cistercensi lombardi ben 70.000 ducati, ai quali, proprio quell’anno, se ne erano aggiunti altri 8000 circa. Particolarmente grave appariva al governatore il fatto che questa somma era destinata a finanziare l’istituzione del nuovo Studio a Roma, con la conseguente prevedibile soppressione di quelli esistenti nello Stato di Milano e segnatamente di quello di Chiaravalle. Proprio da quest’ultimo, per ordine di Rancati, erano stati fatti fuggire nottetempo dieci novizi da condurre nel nuovo Studio romano. Tale fatto risultava particolarmente grave, perché i novizi mandati a Roma «afficionándose a las costumbres, y artificios dessa Corte pierden muchas vezes de aquella natural affición que deven a Su Rey, y señor» (Archivio di Stato di Milano, Registri delle Cancellerie dello Stato, s. XVI, l. 22, c. 72). D’altra parte, l’emorragia di entrate verso Roma avrebbe indebolito i monasteri lombardi che non avrebbero più potuto accogliere novizi, condannandoli all’estinzione. In seguito a queste accuse Rancati fu formalmente espulso dallo Stato di Milano: la decisione assunta dai ministri spagnoli era legata al fatto che il monaco era considerato filofrancese e dunque un vassallo infedele del sovrano, proprio mentre era in atto il conflitto franco-asburgico.
A ogni modo, a Roma egli continuò a lavorare come ascoltato consultore in materia teologica. Partecipò, in compagnia, tra gli altri, di Wadding, dal 1636 al 1645 ai lavori della commissione per la correzione dei libri liturgici dei Greci, detta dell’Eucologio greco, nominata in seno alla congregazione di Propaganda Fide. Inoltre, nel 1639, Rancati divenne segretario della congregazione per gli affari d’Inghilterra e Irlanda, mentre, nel 1641, fu eletto per un nuovo triennio abate di S. Croce. Dal 1642 al 1643 fece parte della congregazione per la correzione delle Costituzioni dell’Ordine di S. Paolo primo eremita e, nel 1643, di una commissione di teologi chiamati a esaminare i dubbi sottoposti a Roma dai missionari in Cina.
Dopo l’ascesa al soglio di Innocenzo X, la stella di Ilarione si appannò almeno in parte. Inoltre, nel maggio 1647, Rancati attirò nuovamente l’attenzione dei ministri spagnoli a causa del tentativo di inviare visitatori nei monasteri cistercensi calabresi e siciliani e di esigere dagli stessi alcuni emolumenti in qualità di procuratore generale dell’Ordine.
Sin dal 1649 egli fu poi chiamato da Francesco Albizzi, assessore del S. Uffizio, insieme ai suoi colleghi consultori, il caracciolino Raffaele Aversa, il teatino Tommaso Del Bene e il carmelitano Domenico Campanella, a esprimere un primo parere su sette proposizioni tratte dall’Augustinus di Cornelis Jansen (Jansenius) che erano state denunciate a Parigi. Allorché fu creata da Innocenzo X una speciale commissione cardinalizia in seno alla congregazione del S. Uffizio, per l’esame di cinque proposizioni gianseniste, Albizzi, nel luglio 1651, chiese a Rancati e ai suoi colleghi un nuovo parere. Il cistercense, pur giudicando che il volume di Jansen contenesse errori di fede, fu l’unico a ritenere che esso non andasse condannato, in quanto erano presenti anche termini e concetti propri di molte scuole teologiche del tutto ortodosse. Il suo suggerimento fu quindi di evitare una condanna formale della S. Sede e di lasciare il testo all’analisi e alla discussione dei teologi. La conseguenza fu che, nel settembre 1652, allorché il numero di qualificatori fu portato a tredici, Rancati rinunciò all’incarico, formalmente per motivi di salute, ma in realtà perché le sue posizioni erano ritenute troppo concilianti da Albizzi.
Dopo la morte di Innocenzo X (1655), il monaco entrò nelle grazie di Alessandro VII, di cui fu consigliere teologico. In segno di benevolenza il pontefice, nel marzo 1659, lo nominò nuovamente, con apposito breve, abate di S. Croce in Gerusalemme e procuratore della provincia lombarda della sua Congregazione, con aggiunta la facoltà di costituirsi una sua 'famiglia' di servitori nel monastero, nonché di nominare priore, lettori e cellario del medesimo. Furono questi gli anni in cui, oltre alla corrispondenza con numerose e importanti figure della scena politica, culturale ed ecclesiastica europea del tempo, anche in relazione alla sua riconosciuta autorità di collezionista di manoscritti antichi, Rancati si dedicò alla creazione e all’arricchimento della biblioteca Sessoriana annessa al monastero di S. Croce in Gerusalemme.
Assai importante fu il ruolo giocato da Rancati nella questione dell’Immacolata concezione. Egli svolse una funzione fondamentale nel corso dei negoziati fra Alessandro VII e l’inviato di Filippo IV, Luis Crespí de Borja, vescovo di Plasencia, circa l’emanazione della costituzione apostolica Sollicitudo Omnium Ecclesiarum (8 dicembre 1661), con cui il papa riconobbe la validità della tradizione immacolista spagnola. In questo modo, il monaco ritrovò la benevolenza del re cattolico e dei suoi ministri: nell’ottobre 1662, su proposta del conte di Peñaranda, viceré di Napoli, gli concesse un’elemosina di 8000 ducati in quattro anni da impiegare nei lavori di riedificazione della chiesa di S. Croce, altra impresa cui Ilarione legò il suo nome, insieme a quella, cominciata anni prima, del restauro degli ambienti del monastero.
Morì a Roma il 17 aprile 1663.
Opere. Rancati fu autore di numerosi consulti e testi di natura teologica, storica e linguistica, rimasti tutti manoscritti e oggi in gran parte conservati tra la Biblioteca Ambrosiana di Milano e la Biblioteca nazionale di Roma.
Fonti e Bibl.: Archivio apostolico Vaticano, Sec. Brev., Reg., vol. 1196, cc. 5-6; Archivio di Stato di Milano, Registri delle Cancellerie dello Stato, s. XVI, l. 22, cc. 71v-72r; s. XVIII, l. 15, cc. 243v-244r; Milano, Biblioteca Ambrosiana, B.238 suss. - B.266 suss.; Napoli, Biblioteca nazionale, Brancacciano, I.A.1, c. 1r; Roma, Biblioteca nazionale, Sessoriano, 365.
F. Argelati, Bibliotheca scriptorum mediolanensium, II, 1745, coll. 1175-1185; R. Besozzi, La storia della Basilica di S. Croce in Gerusalemme, Roma 1750, pp. 217-220; A. Fumagalli, Vita del P.D. I. R. milanese dell’Ordine Cisterciense, Brescia 1762; C. Cochin, Nouveaux documents sur l’accommodement du cardinal de Retz, in Mélanges d’archéologie et d’histoire, 1908, n. 28, pp. 99-100; P. Zakar, Histoire de la stricte observance de l’Ordre cistercien depuis ses débuts jusqu’au généralat du cardinal de Richelieu (1606-1635), Roma 1966, ad ind.; A. Bastiaanse, Teodoro Ameyden (1586-1656). Un neerlandese alla corte di Roma, ‘s-Gravenhage 1967, p. 282; L. Ceyssens, La relation de François Albizzi sur la condamnation des cinq propositions de Jansénius, in Augustiniana, 1971, vol. 21, pp. 232, 237; Id., Les cinq propositions de Jansénius à Rome, in Revue d’histoire ecclésiastique, 1971, vol. 66, pp. 461, 481-484; Sacrae Congregationis de Propaganda Fide Memoria Rerum, a cura di J. Metzler, I, 2, Rom-Freiburg-Wien 1972 (in partic. D. Koksa, L’organizzazione periferica delle missioni in Ungheria e in Croazia, p. 288; B.H. Willeke, Massnahmen für verfolgte Missionkirche in Japan, p. 594; F. Margiotti, La Cina, ginepraio di questioni secolari, p. 606); M. Bascapè, La “perpetuità delli abbati”. Chiaravalle milanese e la riforma della Congregazione cistercense di San Bernardo in Italia (tra XVI e XVII secolo), in Chiaravalle. Arte e storia di un’abbazia cistercense, a cura di P. Tomea, Milano 1992, p. 169; G. Pizzorusso, I satelliti di Propaganda Fide: il Collegio Urbano e la Tipografia poliglotta. Note di ricerca su due istituzioni culturali romane nel XVII secolo, in Mélanges de l’École française de Rome, 2004, vol. 116, p. 294; P. Stella, Il giansenismo in Italia, I, Roma 2006, pp. 3 s., 6 s., 11; F. Trasselli, I. R. “milanese dell’Ordine cistercense”, il Collegio di studi e la Biblioteca romana di S. Croce in Gerusalemme, in Aevum, LXXXI (2007), pp. 794-876; Ead., Manoscritti della Biblioteca Sessoriana di Roma. Segnature, inventari, cataloghi, I, Casamari 2011, pp. 72-127; B. Hazard, Some unpublished correspondence of Luke Wadding OFM to Giovanni Pietro Puricelli, archpriest of San Lorenzo Maggiore, Milan and Pietro di Gallarà, in Seanchas Ardmhacha: Journal of the Armagh Diocesan Historical Society, 2012, vol. 24, pp. 34, 40 s.; T. Thanner, Abt Hilarion Rancati und seine Stellung im Jansenismusstreit, in Analecta Cisterciensia, LXIII (2013), pp. 516-536; M. Bergonzini, Il culto mariano e immaculista della monarchia di Spagna. L’ambasciata romana di D. Luis Crespi de Borja (1659-1661), Porto 2015, pp. 117-121, 124, 126 s.; H.H. Schwedt, Die Anfänge der Römischen Inquisition. Kardinäle und Konsultoren 1601 bis 1700, Freiburg 2017, pp. 497-499; B. Marceau, Exercer l’autorité: l’abbé de Cîteaux et la direction de l’ordre cistercien en Europe (1584-1651), Paris 2018, ad ind.; G. Spoltore, Una lettera di Luke Wadding ad I. R. sull’Immacolata concenzione, in Archivum Franciscanum Historicum, CXI (2018), pp. 551-556.
(in religione Ilarione)
.