Pignatelli, Bartolomeo
Arcivescovo di Cosenza (4 novembre 1254 - 30 settembre 1266), è comunemente identificato con il pastor di Cosenza il quale, dopo essere stato irriducibile avversario di Manfredi, ne profanò il cadavere (l'ossa del corpo mio... / di fuor dal regno, quasi lungo 'l Verde / ... trasmutò a lume spento, Pg III 124-132). Sul dissotterramento del corpo di Manfredi e sulla sua traslazione non si hanno testimonianze documentarie: l'episodio è tramandato, oltre che da D., da Ricordano Malispini (Hist. Flor. CLXXX) e Villani (VII 9), i quali espongono il fatto con parole simili, in forma dubitativa, come frutto di una diceria (" si dice... ma noi non l'affermiamo " conclude il Villani), senza far il nome del vescovo. Egualmente i più antichi commentatori non danno un nome al pastor di Cosenza, parlando genericamente del legato papale presso l'Angioino; storici più recenti hanno cercato di puntualizzare la questione proponendone l'identificazione con il P. o con Tommaso d'Agni.
Gli argomenti a favore di quest'ultimo, illustrati dal De Blasiis, accettati e ampliati dal Torraca, s'incentrano sul fatto che Tommaso d'Agni fu legato papale e commissario apostolico alla crociata contro Manfredi, quindi vescovo di Cosenza dal l'8 aprile 1267. Per il Torraca è inoltre conclusivo l'argomento ricavato da una lettera del papa al cardinale di Sant'Adriano, in data 8 maggio 1266, in cui è detto che " rex Siciliae... tenet pacifice totum regnum, illuis hominis pestilentis cadaver putridum... obtinens "; perciò, se l'8 aprile il cadavere di Manfredi era ancora in potere dell'Angioino, il dissotterramento non poteva essere stato opera del P. che dal 25 marzo 1266 era stato trasferito alla sede di Messina, bensì del suo successore, e inoltre dev'essere avvenuto il 27 settembre 1267 secondo quanto riporta l'Historia diplomatica del Capasso.
I motivi a favore dell'identificazione del pastor di Cosenza con il P., sostenuta dal De Chiara, trovano giustificazione, oltre che da argomenti contingenti, dall'indole e dai precedenti del P., il quale, membro di una nota famiglia napoletana di antica nobiltà, fu acceso avversario di Manfredi dal quale era stato leso nei suoi interessi familiari. Infatti Cesario P., fratello di Bartolomeo, fu spogliato dei suoi beni dal re svevo. Durante i torbidi e le ribellioni che seguirono la morte di Corrado IV e la presa di potere di Manfredi, il P. combatté accanto a Pietro Ruffo, conte di Catanzaro, contro le truppe sveve, occupò San Lucido e quindi Cosenza, predicando nel frattempo la crociata contro Manfredi. Fu quindi inviato da Urbano IV come legato in Provenza, per offrire la corona di Sicilia a Carlo d'Angiò; nuovamente inviato presso di lui da Clemente IV, rimase al fianco dell'Angioino durante la sua spedizione, secondo quanto aveva scritto il papa a Carlo (30 ottobre 1265): " credas ei in cuius ore posuimus verba nostra ". Il P., dopo aver occupato la sede episcopale di Amalfi dal marzo al novembre 1254, fu arcivescovo di Cosenza dal 4 novembre del 1254 al 25 marzo 1266, allorché gli fu affidata la diocesi di Messina (e lì morì nel 1272): in effetti il trasferimento in questa città avvenne dopo il 30 settembre del 1266 in quanto in tale data il papa avverte i Messinesi del prossimo arrivo del nuovo pastore. Considerando queste date perdono consistenza gli argomenti di coloro che sono portati a escludere la partecipazione del P. al dissotterramento di Manfredi in quanto non avrebbe avuto il tempo necessario per attuarlo.
Il dissotterramento di Manfredi infatti dev'essere avvenuto dopo il 1 marzo 1266, data in cui Carlo d'Angiò comunica al papa il ritrovamento e la tumulazione di Manfredi e non entro il 25 dello stesso mese, data in cui l'arcivescovo fu assegnato alla sede di Messina, bensì entro il settembre dello stesso anno; infatti, come si è visto, il P. non raggiunse la sua nuova sede prima dell'ottobre. Viene perciò a cadere l'argomento centrale del Torraca; d'altra parte non è certo una fonte determinante quella presentata dallo studioso, cioè l'Historia diplomatica del Capasso, in quanto si tratta di un manoscritto del XVII secolo, copiato da un altro del XVI. E inoltre il Capasso, che riporta tale brano, indica come autore del misfatto proprio il Pignatelli. D'altra parte, accettando questa successione di avvenimenti (sepoltura di Manfredi senza onori, quindi profanazione della tomba e occultamento del cadavere), non si spiega per quale motivo questo sia avvenuto dopo oltre un anno dalla morte del re svevo, mentre è più ragionevole pensare che la circostanza si sia verificata subito dopo la sua morte, quando si poteva temere che, con la sopravvivenza di partigiani di Manfredi, la tomba potesse divenire quasi un centro spirituale di ribelli. Comunque, protagonista di questi avvenimenti appare come il più probabile il P., specie se si considera il suo carattere e il suo comportamento durante gli eventi che precedettero la morte di Manfredi e durante tutto il periodo della calata dell'Angioino, mentre sarebbe una forzatura logica imputare tutto ciò a Tommaso d'Agni, il quale dopo il supposto trafugamento non conseguì vantaggi notevoli, mentre sappiamo che il P. e la sua famiglia ottennero grandi benefici alla corte d'Angiò. Dunque se il trafugamento di Manfredi avvenne veramente, la persona che appare la più interessata a compierlo e la più adatta è proprio il P., il quale oltre tutto, come si è visto, ebbe l'opportunità di agire. Se si nega la realtà storica del trafugamento e lo si considera solo frutto di diceria (come sembrano suggerire gli stessi cronisti) che D. raccolse per drammatizzare ancor più il suo Manfredi, il riferimento alla figura del P. nel personaggio poetico viene naturale, dati i suoi precedenti antisvevi.
Bibl. - G. De Blasiis, Fabrizio Marramaldo e i suoi antenati, in " Arch. Stor. Prov. Napoletane " I (1876); S. De Chiara, D. e la Calabria, Cosenza 1895 (recens. di E.G. Parodi, in " Bull. " II [1895] 51); F. Torraca, Noterelle dantesche (Nozze Morpurgo-Franchetti), Firenze 1895 (recens. di G. Mazzoni, in " Bull. " II [1895] 163); A. Meomartini, La battaglia di Benevento tra Manfredi e Carlo d'Angiò, Benevento 1896 (recens. di S. De Chiara, in " Bull. " III [1896] 47); G.A. Alfero, Il Pastor di Cosenza, Perugia 1910 (recens. di E.G. Parodi, in " Bull. " XVIII [1911] 72); P.F. Russo, " Il Pastor di Cosenza " (Nota storico-critica a " Purgatorio" III, 103-133), in D. e la cultura sveva, Firenze 1970, 169-179.