PIGNATELLI, Bartolomeo
PIGNATELLI, Bartolomeo. – Discendente da una nobile famiglia napoletana, nacque verosimilmente a Brindisi intorno al 1200. Nel 1239 fu chiamato da Federico II a insegnare Decretali presso lo Studium di Napoli. Terminato il magistero accademico, fu eletto vescovo di Amalfi nel marzo del 1254, ma rimase alla guida di quella diocesi solo pochi mesi per passare, nel novembre successivo, alla guida della Chiesa cosentina (Amici, 1996, pp. 483-485). La sua esperienza arciepiscopale segnò il passaggio dalla monarchia sveva a quella angioina a livello sia politico sia militare. Infatti, già Innocenzo IV nel giorno della sua elezione (4 novembre 1254) confermandogli i privilegi concessi alla Chiesa cosentina da Federico II e la terra di Rende con i vassalli e tutti i beni a essa pertinenti (Russo, 1974, p. 147, nn. 881-882) avviò il lungo contrasto con Manfredi, la cui affermazione politica, scandita da violenze e soprusi contro le istituzioni ecclesiastiche e monastiche, si traduceva localmente in dissenso e dissociazione. Sicché Bartolomeo, anche per la confisca dei beni subita dal fratello Cesareo, abbandonò il partito svevo proponendosi come acerrimo nemico di Manfredi.
L’instabilità del contesto politico calabrese condizionò l’azione pastorale del presule e ne accentuò il contrasto e la divaricazione tradotti in azioni militari e diplomatiche. Alla morte dell’imperatore svevo, infatti, si accese una vivace rivalità tra Manfredi e Pietro I Ruffo, conte di Catanzaro e gran marescalco del Regno, il quale progettava di creare un’ampia signoria tra Calabria e Sicilia. L’esperienza di governo maturata sotto Federico II consentiva al Ruffo di smorzare i disordini scoppiati in Sicilia all’indomani della morte dell’imperatore, con vivo disappunto di Manfredi che cercò sinanche di legarlo a sé come governatore della Sicilia. La situazione sembrò normalizzarsi con l’arrivo in Italia di Corrado IV, ma la sua repentina morte (21 maggio 1254) incrinò definitivamente i rapporti. La Calabria si era schierata con Manfredi e quando i Messinesi seppero che «exercitus Principis totam jam fere Calabriam acquisiverat, et videntes se quodammodo per id voto suo frustrari» (Jamsilla, in Cronisti e scrittori, 1845-68, p. 173), allestirono un esercito per opporsi al Ruffo, che perse anche Reggio. Gli rimase fedele solo Bartolomeo Pignatelli, con il quale Ruffo organizzò lo sbarco di un esercito a San Lucido, tradizionale feudo dei presuli cosentini; braccati dalle truppe di Manfredi, i due riuscirono comunque a raggiungere Cosenza e la terra di Montalto che ben presto sarebbero anche cadute in mano sveva. La sconfitta acuì il rancore del Pignatelli che, tornato per poco alla guida della Chiesa cosentina, predicò la crociata contro Manfredi sino alla sua incoronazione a re di Sicilia (11 agosto 1258), quando dovette lasciare la Calabria e riparare presso la Curia papale.
A Roma ricoprì importanti incarichi diplomatici. Tra l’altro, il 13 marzo 1259 per conto di Alessandro IV si recò dal conte di Nevers per notificargli la scomunica; e il 25 luglio 1263 Urbano IV lo nominò nunzio apostolico presso Luigi IX ed Enrico III, re d’Inghilterra, per negoziare la rinuncia da parte del figlio Edmondo agli obblighi feudali «super regnum Siciliae». Fallito questo tentativo, l’anno successivo (7 maggio 1264) tornò in Francia per trattare con successo con i d’Angiò la concessione della Corona siciliana (Russo, 1974, p. 154-157, nn. 948, 966, 968-969, 976). Altri delicati incarichi lo videro protagonista nel 1265, quando ottenne da Clemente IV la facoltà di assolvere dalla scomunica i sostenitori di Manfredi convertiti alla causa angioina e di catturare gli avversari del Papato a Roma (14 luglio 1265). L’abilità diplomatica dell’arcivescovo cosentino era abbastanza nota se lo stesso Carlo I d’Angiò il 23 settembre 1265 chiedeva al pontefice di mandarlo in Lombardia per facilitare con il suo «auxilium et consilium» il raduno dei soldati per marciare contro lo Svevo (Russo, 1974, p. 159, nn. 990, 991, 993, 994). L’ultima missione diplomatica, affidatagli da Clemente IV, prima di destinarlo alla diocesi messinese, risale al 10 gennaio 1266, quando venne inviato in Francia per negoziare la liberazione dell’abate del monastro di San Policarpo, nella diocesi narbonense.
È verosimile che, tornato da quella missione, Bartolomeo Pignatelli venisse trasferito alla sede episcopale messinese (verosimilmente nell’agosto 1266), in un Mezzogiorno ormai sotto il pieno controllo angioino. Con la conquista da parte di Carlo, il regno di Sicilia tornò a essere feudo della Chiesa a cui il sovrano riconosceva un rapporto vassallatico sancito dal versamento di un censo annuo e dall’obbligo di governare in base a regole condivise. Ne approfittarono vescovi e abati per reclamare la restituzione dei beni usurpati dagli svevi e dal baronato locale. Nel rinnovato clima di distensione tra Papato e Corona, il nuovo arcivescovo di Messina, avvalendosi dei buoni rapporti con la Curia regia, reclamò la restituzione di alcuni beni feudali appartenuti alla Mensa episcopale, come il «magnum jardinum» dell’episcopio, occupato abusivamente da Federico Trare, secreto e maestro portolano in Sicilia, e la chiesa di S. Lucia (I Diplomi della cattedrale di Messina, pp. 96-98, 100-101, nn. LXXIV, LXXV, LXXVII).
Non mancarono, tuttavia, occasionali episodi di attrito con la feudalità legata alla Corona, come nel 1267 quando i procuratori del Pignatelli si opposero ad alcuni vassalli di Amelina che volevano impossessarsi, in nome del re, del castello di Calatabiano (I Diplomi..., pp. 99-100, n. LXXVI).
Un tratto significativo del suo episcopato riguarda anche il riassetto dei monasteri della diocesi ricordato in una «bulla plumbea» del giugno dello stesso 1267 (I Diplomi..., pp. 100-101, n. LXXVII). Del resto, già nell’agosto dell’anno precedente Bartolomeo Pignatelli, sollecitato da Clemente IV, si era occupato del monastero di San Michele di Traina rimasto senza guida per la rimozione forzosa dell’abate Nicodemo da parte del nunzio apostolico (I Diplomi..., p. 94, n. LXXI). Negli anni successivi Bartolomeo Pignatelli fu ripetutamente interpellato dal sovrano angioino in merito a questioni di carattere fiscale sui demani della Curia e sulle prebende (Decimae, 2009, p. 385, nn. 1269, 1293-1295 e p. 386, n. 1300).
Pignatelli morì agli inizi del 1272; ma l’opera di ricostituzione del patrimonio diocesano messinese da lui avviata proseguì negli anni successivi (I Diplomi..., pp. 109-111, n. LXXXIV e n. LXXXVI).
La sua figura, tuttavia, rimane legata anche all’episodio del disseppellimento dei resti di Manfredi presso il ponte Valentino a Benevento e alla traslazione lungo le sponde del Liri, fuori dal regno: azione di evidente significato politico, consumata nei confronti del suo nemico, ma forse condivisa da Clemente IV. La vicenda fu immortalata, con evidente disappunto, da Dante Alighieri nel Purgatorio (canto III, vv. 124-132).
Fonti e Bibl.: F. Ughelli, Italia Sacra sive de espiscopis Italiae et insularum adiacientium, t. IX, Venezia 1721, coll. 215-216; R. Pirri, Sicilia Sacra disquisitionibus et notitiis illustrata, I, Palermo 1733, p. 406; Nicolai de Jamsilla, Historia de rebus gestis Federici II, Imperatoris ejusdem filiorum... (1210-1258), in Cronisti e scrittori sincroni napoletani, a cura di G. Del Re, II, Napoli 1845-68, pp. 103-200; L.A. Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Friderici II, V, 1, Parigi 1852, p. 496; Regesta pontificum Romanorum ab anno p.Ch.n. 1198 ad annum 1304, a cura di A. Potthast, I-II, Berlino 1874-75; I Diplomi della Cattedrale di Messina, a cura di R. Starrabba, I, 2, Palermo 1877, pp. 93-111, docc. LXX-LXXXVI; P.F. Russo, Regesto Vaticano per la Calabria, I, Roma 1974, pp. 147-160, nn. 881, 882, 895, 913, 926, 948, 966, 968-972, 976, 990-991, 993-995, 998-1000; Decimae. Il sostegno economico dei sovrani alla Chiesa del Mezzogiorno nel XIII secolo, a cura di K. Toomaspoeg, Roma 2009, pp. 385-387 nn. 1293-1306).
S. De Chiara, Dante e la Calabria, Cosenza 1895; F. Torraca, Noterelle dantesche (Nozze Morpurgo-Franchetti), Firenze 1895; A. Meomartini, La battaglia di Benevento tra Manfredi e Carlo d’Angiò, Benevento 1896; G.A. Alfero, Il Pastor di Cosenza, Perugia 1910 (recens. di E.G. Parodi, in Bullettino della società dantesca italiana, XVIII [1911], p. 72); A. Salinas, Un palinsesto araldico svevo-angioino nel duomo di Messina, in Bollettino d’arte, V (1911), n. 3-4, pp. 89-92; E. Pontieri, Ricerche sulla crisi della Monarchia siciliana nel secolo XIII, Napoli 1958, pp. 116-121; P.F. Russo, Storia dell’Arcidiocesi di Cosenza, Napoli 1958, pp. 390-397; P.F. Russo, Il Pastor di Cosenza. Nota storico-critica a “Purgatorio” III, pp. 103-133), in Dante e la cultura sveva, Firenze 1970, pp. 169-179; Bartolomeo Pignatelli, sub voce (a cura di S. Saffiotti Bernardi), in Enciclopedia Dantesca, I, Roma 1970, p. 124; E. Kantorowicz, Federico II imperatore, Milano 1976, pp. 714-715; P.F. Russo, Storia della Chiesa in Calabria dalle origini al Concilio di Trento, parte seconda, Soveria Mannelli 1982; H. Enzensberger, La struttura del potere nel Regno: corte, uffici, cancelleria, in Potere società e popolo nell’età sveva, Atti delle seste giornate normanno-sveve, Bari - Castel del Monte - Melfi, 17-20 ottobre 1983, Bari 1985, pp. 49-69; S. Amici, Bartolomeo Pignatelli, una meteora sulla cattedra metropolitica amalfitana, in La Chiesa di Amalfi nel Medioevo, Convegno internazionale di studi..., Amalfi-Scala-Minori... 1987, Amalfi 1996, pp. 483-492; A. Romano, I centri di cultura giuridica, in Centri di produzione della cultura nel Mezzogiorno normanno-svevo, Atti delle dodicesime giornate normanno-sveve, Bari, 17-20 ottobre 1995, Bari 1997, pp. 218-227; L. De Rose, Le dominazioni in Calabria. Analisi storico-linguistica, Cosenza 2004, pp. 65-66.