MEDUNA, Bartolomeo
– Nacque a Motta di Livenza, nel Trevigiano, da nobile famiglia (Manzano; errato Derossi), probabilmente dopo la metà del XVI secolo. Da Camilli si ricavano i nomi del padre, Giovan Battista, e di alcuni familiari versati in varie discipline, tra cui il fratello Francesco, medico. Il M. fu francescano conventuale della provincia di S. Antonio (Norditalia), ma si ignora pressoché tutto della sua vita, che dovette trascorrere ritirata nei conventi dell’Ordine. È deduzione plausibile basata sulle opere edite che sia vissuto a Padova e a Venezia. Camilli lo dice «filosofo e teologo celeberrimo» (p. 23), Sbaraglia maestro di teologia.
Il M. era ancora vivo nel 1605; si ignorano l’anno e il luogo della morte.
La sua importanza nella cultura del Cinquecento è legata a Lo scolare. Nel quale si forma a pieno un perfetto scolare opera divisa in tre libri (Venezia, P. Fachinetti, 1588, dopo il 12 marzo, data del privilegio di stampa, cfr. Nuovo - Coppens), la cui composizione deve essere arretrata di qualche anno rispetto alla stampa, poiché Camilli nel 1586 ne dà notizia come di un lavoro «scritto da lui ultimamente» (p. 23). L’opera è indirizzata al cardinale Alessandro Peretti, pronipote di papa Sisto V.
Lo scolare è concepito come un dialogo in tre giornate, che si svolge a Siena nel 1575 in casa di Alessandro Piccolomini: qui convengono Marco Mantova Benavides e Bernardino Tomitano di ritorno da Roma, dove si erano recati per l’anno santo. Tutti e tre i personaggi, alla data del dialogo in età avanzata, erano stati docenti dello Studio di Padova; inoltre Piccolomini e Tomitano erano stati membri, al principio degli anni Quaranta, dell’Accademia padovana degli Infiammati. Partecipa alla conversazione anche un anonimo «scolare». Che il M. abbia dinanzi a sé il modello alto della dialogistica cinquecentesca si intuisce dalla presenza, nelle pagine iniziali, di lacerti riconoscibili del Libro del cortegiano di B. Castiglione, che del resto Lo scolare richiama in maniera palese già nel titolo: «Nel centro quasi di tutta la Toscana sorge vagamente sopra cinque maravigliosi, et ameni colli Siena città antica, e nobilissima […]» (c. 2r), ricorda anche nel cursus «Alle pendici dell’Appennino, quasi al mezzo dell’Italia, verso il mare Adriatico, è posta, come ognun sa, la piccola città d’Urbino» (Cortegiano, p. 17); e «piacciavi con esso loro formare un perfetto scolare con quelle condizioni, e qualità, che gli si convengono ricordando tutte quelle cose, le quali nello studiare gli possono essere di giovamento, overo di danno» (c. 3v) è coniato su «si desse carico di formar con parole un perfetto cortegiano, esplicando tutte le condicioni e particular qualità, che si richieggono a chi merita questo nome» (pp. 35 s.). Il M. costruisce con abilità l’intreccio dialogico: i ruoli sono distribuiti in maniera meditata, gli argomenti ripresi talvolta da una giornata all’altra, frequenti sono le registrazioni di atteggiamenti e reazioni degli interlocutori, le notazioni metadialogiche che segnalano il progresso del discorso, i dettagli che contribuiscono a delineare con verosimiglianza la scena dialogica e il profilo psicologico e culturale dei personaggi. In apertura sono ricordate le opere dei due interlocutori principali, Piccolomini e Tomitano (il ruolo di Mantova Benavides è più defilato), che li accreditano come protagonisti credibili di un dialogo sull’educazione: il De la institutione di tutta la vita de l’homo nato nobile e in città libera del primo (Venezia 1543) e i Ragionamenti della lingua toscana dell’altro (Padova 1546, poi accresciuti con il titolo Quattro libri della lingua thoscana, ibid. 1569). La notizia ha però il fine di presentare i due letterati sul piano dottrinale, come esponenti delle due discipline, filosofia ed eloquenza, che il M. considera alla base della formazione intellettuale dell’uomo e la cui collaborazione concorre al ritratto dello scolare che egli si accinge a costruire.
All’interno di questa impostazione, il M. si muove con uno stile grave, sostenuto da una massiccia erudizione. Con la letteratura pedagogica contemporanea egli condivide la tendenza a formare il perfetto scolare muovendo dal principio e toccando anche aspetti che non concernono direttamente l’attività dell’apprendimento. Il primo libro tratta del matrimonio (dei genitori dello scolare), della gravidanza, del parto (Tomitano si oppone alla tesi delle influenze astrali sul nascituro), della puerizia, delle caratteristiche fisiche, e si conclude con precetti sul modo di conservare la sanità, sul clima, l’esercizio fisico (utili giocare «alla palla, perché in tal modo si vengono a mover tutte le parti del corpo», c. 50r, e l’equitazione), cibi e bevande, sonno e veglia, su come non farsi influenzare dai sogni. Anche il resto dell’opera è pieno di ragguagli ispirati al senso pratico e finalizzati a una minuziosa regolamentazione della vita quotidiana. Ma l’importanza del trattato poggia altrove. Poiché lo scolare cui si rivolge è quello della facoltà di arti, nel primo libro il M. passa in rassegna l’ampio spettro delle discipline che rientrano nella sua formazione, fornendo una descrizione compendiosa di ciascuna di esse, fruibile anche in maniera autonoma dal discorso principale. Dunque lo scolare dovrà essere sapiente di dialettica, retorica, poetica, memoria naturale e artificiale, musica, aritmetica, prospettiva (cioè ottica), pittura, «misura del mondo» (divisa in cosmografia e geografia), architettura, arte metallaria, scultura, astrologia. Segue una panoramica su discipline condannate dalla Chiesa, o almeno sospette, nella quale il M. rivela non comuni curiosità culturali: geomanzia («vana, et in tutto pestifera, e diabolica», c. 45v), arte dei dadi e delle sorti («invenzioni de i diavoli», ibid.), metoposcopia (cioè l’arte di scoprire il carattere dall’esame della fronte), fisionomia («tolerabile», c. 46r), magia («superstiziosa», c. 46v), alchimia («dannosa, e vile certamente e opera di femine, e giuoco di fanciulli», ibid.), arte combinatoria o «alfabetaria rivoluzione» («prodigiosa», ibid.); infine sono ricordate la cabalistica e la talmudistica.
Il secondo libro affronta questioni più generali: quali siano gli uffici verso il lettore, la necessità del soccorso celeste, quali i modi di studiare utilmente, come si è buon discepolo, quali scrittori imitare, quale il fine degli studi, perché molti non giungano al fine della dottrina. Ma il M. travalica l’ambito degli studia e affronta anche aspetti etici e sociologici: alle donne non viene negato l’accesso alle scienze, ma lo studio è considerato contrario alla loro disposizione naturale; lo scolare prima baderà a completare la sua formazione poi deciderà se restare laico o farsi religioso; è opportuno che sia mediocremente ricco piuttosto che sprovvisto di mezzi, affinché possa provvedere alle cose necessarie allo studio; la nobiltà è un ulteriore pregio ma non può costituire un requisito. Le conclusioni cui il M. arriva ribadiscono lo status quo e aderiscono senza particolare acume al buon senso, ma non mancano questioni delicate, come quando si affronta il problema se il grado dottorale generi la nobiltà civile. Nel terzo libro Piccolomini dichiara «perché già habbiamo a bastanza ragionato delle scienze, e del modo, e dell’ordine di apprenderle fa luogo discorrere al presente intorno alle virtù» (c. 96r). Accanto alle convenienze sociali che allo scolare spetta osservare (il silenzio, l’ordine da tenere prima di questionare, quando e come ragionare, il parlare di se stesso, con chi intrattenere conversazione), si illustrano le quattro virtù cardinali e trovano posto temi centrali della riflessione contemporanea sul comportamento. La necessità di intrattenere buoni rapporti con gli altri studiosi introduce una lunga trattazione sull’amicizia, dove si affronta una questione cruciale come la diversità tra amicizia e adulazione. L’interrogativo se lo scolare possa innamorarsi porta a dibattere se tale condizione sia di ostacolo alla vita intellettuale (il matrimonio è interdetto senza discussione); la necessità di essere costumato e piacevole innesta una minuziosa enumerazione di regole di etichetta sul modello del Galateo di G. Della Casa (ricordato a c. 109r); la tradizionale disputa sulla superiorità tra armi e lettere è occasione per riproporre la tesi umanistica della necessità del letterato al principe, non solo come ornamento, ma anche per l’indispensabile contributo che egli dà all’arte del governo.
Al M. si deve anche Vita della gloriosa Vergine Maria madre di Dio, regina dei cieli. Con l’humanità del redentor del mondo Giesù Christo, nostro signore (Venezia, Gabriele Giolito, 1574; una seconda edizione sottoscritta dai figli di Gabriele, Giovanni e Giovan Paolo, nel 1580, alcuni esemplari con data 1581). Apre il volume, impreziosito da iniziali figurate e xilografie di buona fattura, la dedica di Giovanni Giolito alla duchessa di Mantova Eleonora d’Asburgo, in data 25 maggio 1574 da Padova, dove Giovanni risiedeva per studio. L’opera è divisa in tre libri: il primo sulla vita della Vergine, il secondo su quella di Gesù, il terzo va dalla Risurrezione all’Assunzione di Maria. Il racconto procede senza implicazioni dottrinali, mirato al coinvolgimento emotivo del lettore, nello spirito della devozione mariana radicata nell’Ordine francescano. Lo stile retoricamente sostenuto conferma le qualità di buon prosatore del Meduna. Tale dote, insieme con la propensione per la scrittura dialogica, emerge anche dal Dialogo sopra la miracolosa vittoria ottenuta dall’armata della Santissima Lega christiana, contra la turchesca nel quale si dimostra essa vittoria esser venuta dalla sola mano di Dio et si discorre a pieno l’ordine del conflitto (Venezia, s.n.t., 1572, con dedica al vescovo di Treviso Giorgio Corner, di Venezia 6 dic. 1571), con cui il M. diede il suo tributo alla celebrazione della vittoria di Lepanto (7 ott. 1571).
Fonti e Bibl.: C. Camilli, Imprese illustri di diversi …, Parte prima, Venezia 1586, pp. 22-24; B. Castiglione, Il libro del cortegiano, a cura di A. Quondam, Milano 1981, pp. 17, 35 s.; I. Marracci, Bibliotheca Mariana (1648), Roma 2005, p. 123; O. Derossi, Scrittori piemontesi, savoiardi, nizzardi…,Torino 1790, p. 19; F. Di Manzano, Cenni biografici dei letterati ed artisti friulani dal secolo IV al XIX, Udine 1887, p. 129; R. Bongi, Annali di Gabriel Giolito de’ Ferrari, II, Roma 1895, pp. 337, 374; C. Trabalza, Storia della grammatica, Bologna 1963, pp. 274 s.; F.L. Wadding, Scriptores Ordinis minorum, Romae 1906, p. 38; G.G. Sbaraglia, Supplementum et castigationes ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci …, I, Romae 1908, p. 124; Il pensiero pedagogico della Controriforma, a cura di L. Volpicelli, Firenze 1960, pp. 81 s., 356-392 (estratti dallo Scolare); L. Secco, La pedagogia della Controriforma, Brescia 1973, pp. 70-73; E. Patrizi, La trattatistica educativa tra Rinascimento e Controriforma. L’«Idea dello scolare» di Cesare Crispolti, Macerata 2005, ad ind.; A. Nuovo- Chr. Coppens, I Giolito e la stampa nell’Italia del XVI secolo, Genève 2005, p. 443; Enc. biografica e bibliografica «Italiana», E. Codignola, Pedagogisti ed educatori, p. 294.
F. Pignatti