LORENZI, Bartolomeo
Nacque da Lorenzo e da Francesca Ganascini, terzo di quattro figli, a Mazzurega, nel Veronese, il 4 giugno 1732. Due suoi fratelli, Francesco e Giandomenico, furono noti rispettivamente come pittore e incisore. I genitori, non nobili ma "abbastanza favoriti dalla fortuna" (Montanari, p. 4), gli consentirono una prima solida educazione affidandolo all'età di sette anni a un precettore ecclesiastico, il quale, dopo averlo iniziato al culto della lingua latina e della poesia epica, lo indirizzò a studi di filosofia e teologia nel seminario veronese, dove fu ordinato sacerdote. Nel 1753 fu nominato professore di retorica, e conseguì presto vasta fama di predicatore e di oratore in latino. A Verona godeva della protezione delle famiglie Serego Pompei e Miniscalchi Erizzo ed era bene accolto nei salotti di Silvio Curtoni Verza, del canonico O. Guasco e dei Pindemonte. Lasciata la sua cattedra, nel 1765 istituì a Verona una scuola privata di lettere per i rampolli delle famiglie più in vista, anche delle città contermini.
Negli anni Sessanta iniziò a manifestare una vocazione poetica, espressa nell'esercizio estemporaneo in versi, nel quale riscosse un successo strepitoso che per una ventina d'anni gli guadagnò ospitalità e accoglienze talora trionfali nei salotti e nelle accademie dell'Alta Italia. Memorabile tra tante, e decisiva per le sue fortune, fu un'esibizione a Verona nel maggio 1774, sollecitata personalmente dall'arciduca Ferdinando d'Austria, governatore della Lombardia, che lo volle con sé nelle corti di Milano e di Modena e nei soggiorni nelle ville dei Visconti, dei Gonzaga e degli Estensi. Qui il L. ebbe modo di misurarsi, sempre con successo, con i più celebrati improvvisatori, in particolare il napoletano G. Mollo, tanto da essere indicato da S. Bettinelli nel suo Entusiasmo delle belle arti quale modello dell'"ottimo" improvvisatore. Membro di parecchie accademie, si produsse, secondo l'uso del tempo, in una lunga serie di elogi, orazioni funebri e sacre in lingua latina, in versi per ogni occasione, in parte confluiti in una silloge (Versi dell'abate Bartolomeo Lorenzi poeta estemporaneo, Verona 1804) riproposta quasi integralmente nella raccolta postuma Prose e versi dell'abate Bartolomeo Lorenzi (Milano 1826), preceduta da un Elogio di B. Montanari pubblicato tre anni prima, fonte principale per la biografia del Lorenzi.
Nel 1770 era precettore in casa del patrizio veneto A. Dolfin, reggitore di Verona, il quale, terminata la magistratura, lo condusse con sé a Venezia per l'istruzione del figlio. Tra Venezia e Padova il L. approfondì studi di scienze naturali, fisica e chimica, di cui vi è ampia traccia nei successivi scritti di agronomia. Nel 1772 G. Morosini, divenuto vescovo di Verona, lo richiamò nella città scaligera e lo volle suo consultore. A Verona, dove fu di nuovo educatore nelle famiglie patrizie più distinte, il L. compose e pubblicò nel 1778 il poemetto Della coltivazione de' monti (ed. anast., a cura e con Introduzione di G.P. Marchi, Verona 1971), dedicato all'arciduca Ferdinando e nella prima edizione impreziosito dai rami dei suoi fratelli Francesco e Giandomenico.
L'opera, suddivisa in quattro canti di 150 ottave circa ciascuno, secondo la ripartizione per stagioni derivata da modelli come Virgilio e Alamanni, qui tuttavia invertite nella successione (L'inverno, La primavera, La state, L'autunno), si configura come un vero e proprio manuale in versi di impiego concreto nella pratica agricola attraverso un prospetto dettagliato e competente, quasi specialistico, di cure e occupazioni, sussidi e rimedi, risorse e insidie, da provvedere o da affrontare in quella particolarissima coltura. Si inseriva in una ricca fioritura di poesia sposata all'agronomia, nella quale si erano distinti veronesi autori di poemetti georgico-didascalici proliferati in quegli anni grazie anche alla diffusione delle dottrine fisiocratiche prontamente accolte in area veneta: Z. Betti (Il baco da seta, 1756), G.B. Spolverini (La coltivazione del riso, 1758), A. Tirabosco (L'uccellagione, 1775) e L. Miniscalchi (Mororum libri, 1769, in esametri latini tradotti in italiano nel 1792 dal figlio Leonardo con il titolo La coltivazione dei gelsi). Il poemetto del L., che nelle ultime stanze sembra preannunciare i toni elegiaci delle Poesie campestri di I. Pindemonte, si caratterizzava tuttavia per alcune significative novità rispetto alle consuetudini del genere: l'ottava rima in luogo dell'endecasillabo sciolto; la riduzione drastica del bagaglio mitologico; l'impiego abbondante di termini tecnici e scientifici di norma esclusi. Il successo fu notevole, anche per le due riedizioni (l'ultima, del 1810, passata attraverso un'ampia revisione linguistica per la quale il L. ricorse alla consulenza del purista e bibliofilo veronese don S. Fontana), e gratificato degli apprezzamenti di A. Cesari, V. Monti, P. Zajotti, A. Maffei (che in morte dedicherà al L. una Visione, Verona 1822) e più avanti di G. Leopardi, che ne ospitò due ottave nella sua Crestomazia italiana. La poesia (CLXXVIII). In un "giudizio" pubblicato postumo, ma noto a Pindemonte che lo divulgò, G. Parini lo disse "uno de' più nobili poemi della nostra lingua" e, pur rimarcando alcune "costruzioni intralciate, urtantisi, equivoche, mancanti, irregolari", retaggio dell'esercizio di improvvisatore, e non poche mende linguistiche, pose addirittura il L. tra i pochi lirici contemporanei "veri e degni d'essere agguagliati agli antichi" (G. Parini, Poesie e prose, con un'appendice di poeti satirici e didascalici del Settecento, a cura di L. Caretti, Milano-Napoli 1951, pp. 545-547).
Nel 1789 il L. divenne padre spirituale nel Collegio militare della Serenissima nel Castelvecchio di Verona, dove poté approfondire le sue conoscenze scientifiche in conversazioni con P. Cossali, A. Cagnoli, L. Salimbeni e soprattutto A.M. Lorgna, che ne era presidente. Chiuso dopo il 1797 il Collegio dai Francesi, si ritirò in Valpolicella, nella sua casa di Mazzurega, rifiutando ogni collaborazione con il nuovo governo. Nel 1808 fu nominato membro del Collegio dei dotti del Regno Italico e si dedicò interamente alla vita dei campi e agli studi di agronomia, su cui produsse una notevole quantità di scritti. Tra questi, oltre alle Osservazioni agrarie ospitate nelle Osservazioni meteorologiche, mediche ed agrarie di Verona dal 1791 al 1816 (con l'eccezione degli anni 1797, 1800, 1801), vanno ricordate la dissertazione De' pregi dell'agricoltura (in una Raccolta di poemi georgici, Lucca 1785), la Lettera sopra la coltivazione delle risaie (Verona 1786), i trattati e le memorie Della coltivazione del salice viminale (ibid. 1799), Del tempo migliore di letamare i campi per seminarvi il frumento (ibid. 1812), Del pastino di Columella, ossia Della gruccia toscana e dell'uso suo per piantar viti (Milano 1818) e, ripresi postumi dalle Osservazioni per la Biblioteca scelta di G. Silvestri, Trattato sopra la coltivazione de' gelsi (ibid. 1837) e Sopra i terreni e la maniera di coltivarli (ibid. 1838).
L'attività poetica del L. non si era comunque mai interrotta. Oltre a un Commentarium rusticum in esametri, disperso, e a capitoli, sonetti, canzoni, quartine composte per le più varie occasioni, vanno segnalate le 16 Stanze per le nozze Ravignani e Orti (Verona 1820) e più ancora le 71 stanze del poemetto Il pastore (ibid. 1820), dedicato all'arciduchessa Maria Beatrice d'Este e giudicato da P. Zajotti "ricco d'assai bellezze" (Zajotti, p. 163).
Il L. morì il 13 febbr. 1822 nella sua casa di Mazzurega.
Lettere e versi del L. sono conservati, in parte ancora inediti, presso la Biblioteca civica di Verona e la Biblioteca civica di Rovereto nonché nell'Archivio dell'Accademia Roveretana degli Agiati. Cfr. inoltre: Lettere inedite dell'abate Bartolomeo Lorenzi veronese, Milano 1827; Lettere inedite dell'abate Bartolomeo Lorenzi, Verona 1836; G.P. Marchi, Vicende testuali dei poemi didascalici veronesi del Settecento: il carteggio tra B. L. e Santi Fontana a proposito della correzione della Coltivazione de' monti, in Studi e problemi di critica testuale, 1972, n. 5, pp. 84-130; Lettera inedita dell'abbate B. L. alla marchesa Eleonora di Canossa, Verona 1880. Altre lettere si trovano sparse in vari opuscoli per nozze.
Fonti e Bibl.: S. Curtoni Verza, Ritratti d'alcuni illustri amici, Verona 1807, pp. 1-7; P. Zajotti, B. L.: due sonetti ed una canzone (inediti) dello stesso. In morte di lui. Visione di A. Maffei, in Biblioteca italiana, 1822, vol. XXVII, pp. 145-169; B. Del Bene, Elogio dell'abate B. L., Verona 1823; B. Montanari, Elogio dell'abate B. L., Verona 1823, p. 4; G. Orti, Poesie dell'abate B. L. precedute da un parallelo [con G.B. Spolverini](, Verona 1823; L. Gaiter, Elogio dell'abate B. L., Verona 1876; L. Ravignani, Cenni e indice di alquanti componimenti in morte dell'ab. L., Verona 1876; L.M. Zini, Della poesia didascalica a Verona nel '700, Verona 1907, passim; F. Nicolini, B. L. poeta didascalico e improvvisatore, Verona 1913; L. Messedaglia, B. L. agricoltore e scrittore d'agraria: con un saggio bibliografico, Verona 1922; O. Viviani, L'abate veronese B. L. e il suo pensiero economico-agrario, Lecce 1949; G. Zalin, Ricordo di B. L.: poeta e agronomo del Settecento, in Economia e storia, XX (1973), 1, pp. 50-64.